Pace in terra agli uomini che Dio ama
Padova,
15 Gennaio 2000
“PACE
IN TERRA
AGLI UOMINI CHE DIO
AMA”
MOMENTO
DI PREGHIERA INIZIALE
Canto
iniziale: LÂ’UOMO NUOVO
Dal Messaggio di Giovanni Paolo II° in occasione della Giornata Mondiale della pace
“Nel
secolo che ci lasciamo alle spalle, l’umanità è stata duramente provata da
una interminabile ed orrenda sequela di guerre, di conflitti, di genocidi, di
“pulizie etniche”, che hanno causato inenarrabili sofferenze: milioni e
milioni di vittime, famiglie e paesi distrutti, maree di profughi, miseria fame,
malattie, sottosviluppo, perdita di immense risorse. Alle radici di tanta
sofferenza c’è una logica di sopraffazione, nutrita dal desiderio di dominare
e di sfruttare gli altri, da ideologie di potenza o di utopismo totalitario, da
insani nazionalismi o antichi odi tribali.
Il
secolo XX ci lascia in eredità soprattutto un monito:
"le guerre
sono spesso causa di altre guerre.
Con la
guerra è l’umanità a perdere”
“Ogni
venti minuti, in qualche parte del mondo, si ripete il rito macabro: scoppia una
mina, un altro ferito, un altro mutilato, non di rado un morto.
Cambiano
i paesi, i nomi, il colore della pelle, ma la storia di questi sventurati è
tragicamente simile. C’è chi sta camminando su un prato, chi gioca nel
cortile di casa o sta seguendo le capre al pascolo, chi zappa la terra o ne
raccoglie i frutti.
Poi
lo scoppio.
Abdurahman
ha detto di aver sentito la terra esplodergli dentro. Jabbar ha fatto in tempo a
vederlo, quel piccolo oggetto color sabbia seminascosto nellÂ’erba, ma era
ormai troppo tardi per evitarlo. Djamila ha sentito un clic metallico sotto il
piede, e ha avuto una frazione di tempo per pensare, prima che la sua gamba
sinistra si disintegrasse.
Molti
altri, come Esfandyar, non ricordano nulla. Un rumore assordante, e sono stati
scaraventati a terra, in una strana poltiglia di polvere, sangue e carne
bruciata.
Il
piede calpesta una placca di gomma, o la gamba urta un filo metallico, che in
vari modi – meccanico, elettrico, chimico – attiva il detonatore. Il
detonatore è un piccolo oggetto, grande come il cappuccio di una biro, fatto di
esplosivo di alta qualità . Quando scoppia, fa scoppiare anche tutto il resto
dellÂ’esplosivo contenuto nella mina.
Meccanismo
di attivazione, detonatore, carica principale. Tutto cosi asettico, per tecnici
e militari. La chiamano “la catena esplosiva”. Dimenticano però che alla
fine della catena, quello che è esploso è Esfandyar, bambino di dodici anni.
LÂ’esplosione
ha la forma di un cono rovesciato, che sale verso lÂ’alto. Il piede si
disintegra, le ossa diventano frammenti, i muscoli si spappolano, la carne
brucia.
Sassi,
terra ed erba, e fango se ha piovuto di recente, si mescolano con pezzi della
scarpa, con i chiodi della suola, con brandelli di calza e di pantaloni, e tutto
penetra nella carne, sparato ad altissima velocità dai cinquanta o cento grammi
di TNT, o tritolo, contenuti nella mina.
LÂ’esplosione
sale, pela le ossa della gamba, che poi il calore annerisce, i muscoli del
polpaccio diventano grotteschi cavolfiori bruciacchiati.
Si
è svegliato diverso, Esfandyar, senza braccio e senza una gamba, e resterÃ
diverso, giovane handicappato in un paese cosi povero da non poter badare a lui.
Gli
faranno lÂ’elemosina, certo, ma ben difficilmente potranno dargli speranze,
progetti, sogni. Per lui il peggio non è ancora passato, il difficile comincia
adesso.
(Pappagalli
verdi, Gino Strada).
“I
miliziani krahn avanzavano su per Broad street. Erano circa duecento, armati di
Ak 47, machete, arpioni da pesca e utensili da cucina, e il loro obiettivo era
strappare lÂ’elegante quartiere litoraneo di Mamba Point ai miliziani del
Fronte Patriottico Nazionale Liberiano (Npfl) di charles taylor. Era lÂ’Aprile
del 1996 e Monrovia, la capitale della Liberia, era in pieno caos: centinaia di
abitanti erano morti e decine di migliaia abbandonavano la città in preda al
panico.
Un
comandante udì il rumore proveniente da un edificio. “Che cosa è?”,
gridarono i soldati. Un uomo disarmato venne tirato fuori dal suo nascondiglio
al secondo piano: per noi era il custode, che probabilmente aveva solo cercato
di stare alla larga dai guai, ma per i krahn era il nemico.
Di
li a pochi minuti veniva inseguito come un animale da un gruppo di dieci
soldati. Lo fecero correre in tondo pugnalandolo con le baionette finché non
riuscì più a stare in piedi a causa delle forti emorragie. Il custode, un uomo
robusto ma dai modi gentili, non durò molto: gli spararono alla schiena con una
pistola, e mentre giaceva a terra morto i soldati lo pugnalarono a turno con un
coltello da macellaio lungo trenta centimetri.
Forse
lÂ’ultima immagine che vide, prima di sprofondare ne buio della morte, fu
quella di Double Trouble, un bambino soldato di nove anni con indosso una
maglietta viola stinta troppo grande e ciabatte di gomma, che aveva afferrato il
coltello e glielo conficcava fra le scapole. Poi il ragazzino prese una
bottiglia di Coca Cola vuota e, con un colpo di grazia, la spaccò sulla testa
del moribondo. Poi si guardò intorno per riscuotere l’approvazione dei suoi
compagni come se avesse segnato un gol. Adesso il punteggio era 1a 0. Gli altri
gli dettero delle pacche sulle spalle sorridendo.
“Dov’è
tua madre?”, gli chiesi dopo la battaglia. Aveva un visino paffuto da bambino,
ma il suo sguardo si indurì quando rispose: “E’ morta”. “E tuo
padre?”. “Morto pure lui. Tutti morti”. “ma quanti anni hai?”, chiesi.
“Abbastanza
per ammazzare un uomo”, fu la risposta
Double
Trouble era solo uno delle migliaia di soldati bambini della Liberia.
Molti
di loro hanno vissuto più dolori e perdite prima di compiere otto anni di
quanto accada alla gente comune in tutta una vita. Molti hanno visto uccidere i
genitori sotto i loro occhi o, peggio ancora, sono stati costretti ad uccidere i
loro parenti in una sorta di perverso rito iniziatico.
Alcuni
giorni dopo quellÂ’episodio fu concordato un breve cessate il fuoco tra le due
parti in conflitto. I combattenti si rilassarono. I bambini sono sempre bambini,
pensai quando mi imbattei in un gruppo di cinque giovanissimi soldati dellÂ’Npfl
– il più grande non aveva più di dodici anni – che giocavano a pallone in
uno degli angoli più duramente contesi di quella guerra urbana. Vidi i loro
fucili abbandonati sullÂ’asfalto sotto una bandiera liberiana zuppa di pioggia,
e solo dopo un attimo capii che il pallone bianco che stavano calciando era un
cranio umano. A una ventina di metri di distanza giaceva il cadavere in
decomposizione.
Prendevano
a calci il loro pallone su una montagna di frammenti di guerra – bossoli
vuoti, vecchi portafogli, vestiti abbandonati da civili in fuga, vecchie foto
– e gridarono di gioia quando entrò nella porta, formata da due scatolette di
sardine arrugginite. Per un attimo erano tornati bambini, il mattino seguente
sarebbero stati di nuovo dietro le barricate. “Ehi, donna bianca”, mi
apostrofò da dietro un muro crivellato dai proiettili un ragazzino di circa
undici anni, che portava scarpe da tennis troppo grandi, un cappello a fiori
gialli rubato e un Ak 47 che gli arrivava alla vita. “Oggi niente scuola.
Proprio così. Oggi si ammazzano i krahn”
(Crimini
di guerra, Corinne Dufka, fotografa della Reuters).
Spazio
di silenzio
Dal Messaggio di
Giovanni Paolo II° in occasione della Giornata Mondiale per la Pace
“In
questÂ’anno giubilare, la Chiesa, nel ricordo vivissimo del suo signore,
intende confermare la propria vocazione e missione ad essere in Cristo
“sacramento” ossia segno e strumento
di pace nel mondo. Per essa, adempiere la sua missione evangelizzatrice è
lavorare per la pace.
Pertanto
lÂ’impegno di costruire la pace e la
giustizia per i fedeli cattolici non è secondario, ma essenziale, e va assolto
con animo aperto verso i fratelli della altre Chiese e Comunità ecclesiali,
i credenti di altre religioni e verso tutti gli uomini e le donne di buona
volontà , con cui condividono la stessa ansia di pace e di fraternità ”
Ti prego, Signore per la pace,
pace per questo mondo:
la gente ha pagato per esso sangue e lacrime,
umiliazione e miseria degradante.
Basta Signore!
Ma anche altri pagano con il loro sangue,
i loro soldi,
e forse, con la loro malvagità ,
perché non ci sia pace.
Non tener conto di questo contro di loro.
Per ripagarli
della sofferenza e dei danni
che essi hanno causato,
dovresti distruggerli
ma tu, Signore, sei venuto
perché tutti abbiano la vita!
Tu sei tutto misericordia, perdono amore.
Possa la pace,
che tu hai promesso
alle persone di buona volontà ,
scaturire da loro in torrenti di perdono e di amore
che avvolgano e trasformino
anche quelle persone di cattiva volontà .
Possiamo noi capire che,
il perdono, lÂ’amore e la solidarietÃ
sono molto più potenti della forza delle armi
e dellÂ’umana cattiveria,
perché sono te.
(Gabriel Zubier Wako, Arcivescovo di Khartoum)
Padre
Nostro
Canto
finale: CANZONE DI S. DAMIANO