Dalla complicità alla solidarietà (2)
CONVIVENZA di
FINE ANNO
Padova, 30/12/1999
VEGLIA
DI PREGHIERA
DALLA COMPLICITAÂ’
ALLA SOLIDARIETAÂ’
“IL BELLO…
DEVE ANCORA VENIRE”
Canto di inizio della veglia
VIVERE LA VITA
Introduzione
alla veglia
Canto
di acclamazione alla Parola
OGNI MIA PAROLA
Lettura tratta dal Vangelo di
Luca
(Lc. 10,29-37)
Ora
egli, volendo giustificare se stesso disse a Gesù:
E
a me chi è vicino?
Rispondendo,
Gesù disse: Un uomo discendeva da
Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti, che, spogliatolo,
e riempito di colpi, si allontanarono, lasciandolo semimorto.
Ora, per combinazione un sacerdote discendeva
in quella stessa via, e, vistolo,
deviò oltre. Ora, similmente, anche
un levita, venuto sul luogo e vistolo,
deviò oltre.
Ora un samaritano viaggiando, venne presso di lui e, visto, si commosse, e, avvicinatosi, fasciò le sue ferite, versando sopra olio e vino e, caricatolo su ciò che si era acquistato, lo condusse nel tutti-accoglie e si prese cura di lui. E l’indomani, tirati fuori, diede due denari a chi tutti-accoglie e disse:
Prenditi cura di lui; quanto spenderai in più, io, al mio sopraggiungere, renderò a te.
Chi
di questi tre sembra a te si è fatto
vicino a chi incappò nei briganti?
Ora egli disse: Chi fece misericordia con lui! Ora gli disse Gesù.
VaÂ’, e anche tu faÂ’ lo stesso!
Breve spazio di silenzio
Risposta
corale alla proclamazione della Parola
SALMO 103
Benedici
il Signore, anima mia,
quanto
è in me benedica il suo santo nome.
Benedici
il Signore, anima mia,
non
dimenticare tanti suoi benefici.
Egli
perdona tutte le tue colpe,
guarisce
tutte le tue malattie;
salva
dalla fossa la tua vita,
ti
corona di grazia e di misericordia;
egli
sazia di beni i tuoi giorni
e
tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.
Il
Signore agisce con giustizia
e
con diritto verso tutti gli oppressi.
Ha
rivelato a Mosè le sue vie,
ai
figli d'Israele le sue opere.
Buono
e pietoso è il Signore,
lento
all'ira e grande nell'amore.
Egli
non continua a contestare
e
non conserva per sempre il suo sdegno.
Non
ci tratta secondo i nostri peccati,
non
ci ripaga secondo le nostre colpe.
Come
il cielo è alto sulla terra,
così
è grande la sua misericordia su quanti lo temono;
come
dista l'oriente dall'occidente,
così
allontana da noi le nostre colpe.
Come
un padre ha pietà dei suoi figli,
così
il Signore ha pietà di quanti lo temono.
Perché
egli sa di che siamo plasmati,
ricorda
che noi siamo polvere.
Come
l'erba sono i giorni dell'uomo,
come
il fiore del campo, così egli fiorisce.
Lo
investe il vento e più non esiste
e
il suo posto non lo riconosce.
Ma
la grazia del Signore è da sempre,
dura
in eterno per quanti lo temono;
la
sua giustizia per i figli dei figli,
per
quanti custodiscono la sua alleanza
e
ricordano di osservare i suoi precetti.
Il
Signore ha stabilito nel cielo il suo trono
e
il suo regno abbraccia l'universo.
Benedite
il Signore, voi tutti suoi angeli,
potenti
esecutori dei suoi comandi,
pronti
alla voce della sua parola.
Benedite
il Signore, voi tutte, sue schiere,
suoi
ministri, che fate il suo volere.
Benedite
il Signore, voi tutte opere sue,
in
ogni luogo del suo dominio.
Benedici
il Signore, anima mia.
Gloria
al PadreÂ…
TRACCIA
PER LA RIFLESSIONE PERSONALE
“
E a me chi è vicino? “
Il
racconto si apre con una domanda posta a Gesù da un dottore della legge. Si
tratta di uno studioso della Torah, una persona preparatissima, che ha fatto
della legge la sua ragione di vita. EÂ’ convinto di poter stare accanto a Dio
osservando scrupolosamente unÂ’insieme di norme; non si rende conto che egli,
in realtà , in questa sua logica, non fa altro che chiudere il cuore al Signore.
Il dottore della legge è COMPLICE, forse inconsapevole, di un generale
orientamento di pensiero per cui osservare le norme della legge sia il modo
“giusto” – dove la giustizia è in realtà scambiata con la convenienza
– per rendere lode a Dio. Ciò che accade negli altri ambiti della vita, poi,
non ha importanza. Usa la legge per “giustificare se stesso”, per nascondere
la sua falsità . Per lui, inoltre, la fede ha una dimensione esclusivamente
personale: Dio lo si incontra nel tempio, non nel volto di chi ci passa accanto.
Secondo lui, essere veri credenti significa andare a messa ogni domenica,
confessarsi regolarmente, presentare le proprie offerte al parroco di tanto in
tanto. Rappresenta ognuno di noi, siamo invitati ad identificarvisi. Chiuso in
questo orizzonte, il legista, pur dimostrando di conoscere a memoria il
comandamento “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lc 10, 27), dimostra
al tempo stesso di non comprenderne la portata.
Di
fronte quindi all’invito di Gesù ad adempiere a tale comandamento, il suo
problema non è quello di individuare coloro nei quali riporre il suo amore, ma
è l’opposto: chi mi ama? A me, chi mi vuol bene? Posto dinanzi all’invito
ad amare, il legista si preoccupa innanzitutto di essere amato. Non accetta che
sia lui ad amare per primo. Egli si scopre COMPLICE della cultura del “do ut
des”, della cultura che rifiuta l’amore gratuito. <<Ricordati: nella
vita non si riceve niente per niente!
Tutto ha un prezzo!>>. Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa
frase, forse anche dai nostri genitori, complici inconsapevoli anchÂ’essi di
tale “filosofia”? E quante volte ci siamo conformati a questa logica?
Attraverso
la sua domanda, il dottore della legge mette in luce inoltre il suo
“ateismo”: egli, così scrupolosamente attento al rispetto delle norme, ha
perso Dio come punto di riferimento e unico scopo della sua vita. Infatti, con
il suo quesiti dimostra di non sentirsi amato da Signore. Siamo consapevoli che
è Dio colui che ci ama per primo e incondizionatamente? Lo sentiamo nella vita
di tutti i giorni?
“Un
uomo discendeva da Gerusalemme a Gerico”
Gesù
invita allora il legista ad identificarsi in un uomo in viaggio. Si tratta di un
cammino di allontanamento da Dio: dalla città santa, la città del tempio, dove
dimora Jahvè, a Gerico, la città del commercio e degli affari. L’uomo – un
uomo qualsiasi, nel quale tutti siamo chiamati ad identificarci – scegliendo
di percorrere questa strada in discesa, nel senso di marcia meno impegnativo, si
rivela COMPLICE di una società per la quale gli affari, gli “schei”,
vengono prima di Dio. Il rapporto con Lui è messo in secondo piano.
Lungo
questo cammino di progressivo allontanamento dal Dio della vita, sostituito dal
dio denaro, lÂ’uomo incappa nei briganti, diviene preda del male. Sperimenta
allora la condizione di ritrovarsi spogliato: allontanatosi dallÂ’unica roccia
di salvezza, per rifugiarsi in false sicurezze, si sente ora fragile e indifeso.
“Riempito di colpi”, rimane sulla strada “semimorto”: l’uomo, che non
accetta di essere creatura di Dio, vive il vuoto di se stesso, lÂ’angoscia e la
paura della morte; conduce una vita mezza morta, che poi sarà morte piena.
“Ora,
per combinazione un sacerdote discendeva”
Entrano
in scena due figure di spicco nel sistema religioso d’Israele. Il sacerdote è
il custode della legge, colui che ne garantisce la conservazione e
lÂ’applicazione. Egli, alla vista dellÂ’uomo steso a terra moribondo, si pone
dall’altro lato della strada. È la dimostrazione che la legge, se
scrupolosamente osservata nella chiusura del cuore alle sofferenze e alle
situazioni di morte che ci circondano, non porta a Dio, ma ci allontana da Lui.
EÂ’ la dimostrazione che la pura osservanza dei nostri doveri liturgici,
accompagnata dai periodici atti di liberalità che mettono a tacere la nostra
coscienza, se non inserita in una vita capace di farsi essa stessa dono,
continua attenzione allÂ’altro, non ci avvicina a Dio. Anche il sacerdote
compie il proprio cammino in discesa, da Gerusalemme a Gerico.
“Ora,
similmente, anche un levita..”
I
leviti sono gli addetti al culto, gli unici che hanno il diritto di accedere
allÂ’altare del tempio per immolare i sacrifici. Sono gli intermediari tra Dio
e il Suo popolo, coloro che più degli altri, secondo la comune concezione
religiosa Israelita, possono dirsi vicini al Signore.
Anche
il levita passa oltre. Egli “non può” avvicinarsi al moribondo, “non può”
correre il rischio di contaminarsi. La legge prescrive infatti che un addetto al
culto che tocchi un morto cada in uno stato di impurità , per cui gli è
proibito officiare nella settimana a lui assegnata. Ecco la paura del levita: se
quellÂ’uomo fosse morto? Non officiare il culto per una settimana
significherebbe per lui perdere tutte le offerte che in tale periodo riceverebbe
dai numerosi fedeli che si recherebbero al tempio per fare sacrifici al Signore.
No: meglio non rischiare. <<Chi te lo fa fare? Cosa ci guadagni?>>.
Il levita si dimostra COMPLICE di un sistema basato esclusivamente sulla logica
del guadagno e dellÂ’accumulo. Un sistema che annulla la vita: lÂ’uomo,
lasciato lì sulla strada, è sempre più vicino alla morte. Le offerte di cui
potrà godere il levita corrispondono alla morte a cui andrà incontro l’uomo.
Ci siamo mai soffermati a riflettere sulla nostra complicità ad un sistema che
oggi schiaccia gli ultimi del pianeta e grazie al quale possiamo accumulare,
come il levita, le “offerte” che sostengono il nostro benessere? Stiamo
passando oltre a milioni di uomini moribondi.
“
Ora un samaritano…”
Tutti
noi lo sappiamo, da questo punto in poi nella parabola raccontata da Gesù, si
ha una inversione di rotta, un cambiamento di tendenza; si passa dalla complicitÃ
alla solidarietà .
Il
samaritano è in viaggio; anche Gesù mentre racconta questa parabola è in
viaggio, è diretto a Gerusalemme (Lc. 9,51ss), verso il luogo della sua piena
manifestazione, verso il luogo della sua morte e della sua resurrezione.
Impariamo
quindi da questo samaritano e da Gesù che solidarietà significa percorrere una
strada, mettersi in viaggio.
SolidarietÃ
non è un gesto limitato nel tempo, tanto per “metterci la coscienza a
posto”, per sentirsi tranquilli e “farsi belli” agli occhi degli altri.
Nessuno
di noi è “maestro di solidarietà ” ma la si vive ogni giorno, camminando
lungo le strade della vita.
Vivere
la solidarietà , percorrere questa strada ci porta a Gerusalemme.
La
solidarietà è la strada che ci porta alla città di Dio all’incontro con
Dio.
Gesù
ci mostra e ci indica questa strada perché lui per primo l’ha vissuta in modo
pieno sino a dare la propria vita.
Acquistano
allora un senso le domande fatte dal dottore della legge:
“Maestro,
facendo che cosa erediterò la vita eterna?” (Lc. 10,25).
“E
a me, chi è vicino?”
Essere
solidali, condividere, è la strada per ottenere la vita in pienezza e in questo
ci è vicino Gesù, pedagogo dell’Amore di Dio.
Così
come Gesù ci è vicino, è solidale con noi anche noi dobbiamo esserlo nei
confronti di chi, percorrendo la strada, è incappato nei briganti.
Gesù
attraverso la parabola non ci indica soltanto lÂ’atteggiamento di fondo, la
motivazione “teologica” della solidarietà , ma la sua pedagogia è
esistenziale ci indica concretamente che cosa significa solidarietà :
“venne presso di
lui”
la
solidarietà si vive nei luoghi dove regna l’ingiustizia, il dolore, la
sofferenza, la povertà . Non si vive la solidarietà attraverso la “CartaSi”
e i numeri verdi.
Gesù
ci chiede di andare versoÂ…
Il
Natale che stiamo celebrando in questi giorni è manifestazione visibile della
solidarietà di Dio “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a
noi”.
Siamo
chiamati ad abitare questo nostro tempo, non possiamo e non dobbiamo essere
semplici spettatori.
“visto”
Non
basta abitare questo nostro tempo, dobbiamo “vederlo”.
Vedere
significa essere attenti, conoscere, studiare questo nostro tempo.
I
“briganti” di oggi richiedono attenzione, conoscenza, studio.
Dio
nell’esodo “vide” la miseria del suo popolo, “conobbe” i suoi dolori,
“scese” a liberarlo.
“si commosse”
La
commozione nasce dal dentro. Nasce dal sentire proprie le situazioni di disagio,
di povertà , di ingiustizia. La commozione nasce dal condividere la vita.
La
commozione nasce dall’avere in noi gli stessi sentimenti di Gesù che sa
gioire con chi è nella gioia e piangere con chi è nel pianto.
“avvicinatosi”
Forse
la traduzione migliore è “fattosi avanti”.
Questa
azione nasce come conseguenza dallÂ’abitare, dal vedere, dal commuoversi.
EÂ’
un farsi avanti rispettoso della dignità e della libertà dell’altro, attento
alle esigenze dellÂ’altro, umile nella proposta di aiuto e di servizio.
EÂ’
un farsi avanti che sa che è molto più ciò che riceveremo di ciò che potremo
dare.
EÂ’
anche un farsi avanti deciso nei confronti di noi stessi vincendo le paure, i
dubbi e le angosce.
“fasciò le
ferite”
La
solidarietà non è soltanto una questione intellettuale è anche gesto
concreto.
Fasciare
le ferite significa bloccare il flusso del sangue, impedire che impuritÃ
portino ad infezioni.
“versandovi olio e
vino”
LÂ’azione
concreta prosegue; l’olio serve per purificare, per profumare. Il vino è il
simbolo della gioia, della partecipazione piena alla festa. La solidarietà di
Dio ci purifica e ci da gioia perché possiamo a nostra volta essere strumenti
di salvezza e di gioia.
“caricatolo su ciò
che si era acquistato”
La
solidarietà vissuta diventa parte di te, della tua personalità , del tuo
bagaglio, è forma della tua vita.
“lo condusse nel
tutti-accoglie”
EÂ’
uno strano termine quello che viene usato in questa traduzione; in altre si
legge “lo portò in una locanda”.
Dietro
questi termini ci sta un’altra caratteristica della solidarietà :
la
solidarietà non guarda in faccia nessuno, non fa preferenze alcuno, non
richiede il permesso di soggiorno.
La
locanda, il tutti-accoglie indicano anche che la solidarietà non è un fatto
privato ma va vissuta in comunione con altri, va vissuta nella chiesa e come
chiesa.
“e si prese cura
di lui”
la
solidarietà non termina fasciando le ferite, la solidarietà è prendersi cura,
avere a cuore; vivere la solidarietà significa tessere rapporti, relazionarsi.
Tutte
queste azioni che il samaritano (Gesù) compie sono fatte partendo dalla strada
per tornare sulla strada.
Le
parole che Gesù rivolge al dottore della legge al termine del brano sentiamole
rivolte ad ognuno di noi.
Sentiamoci
uomini e donne nuovi,
capaci
di metterci in cammino “VA”
e
compiere la stessa missione “FA LO
STESSO”
MOMENTO DI SILENZIO PROLUNGATO
E CONDIVISIONE
Le
condivisioni saranno intercalate dal canone:
“El
Senyor ès la meva forca, el Senyor el meu cant.
Ell
m’haestat la salvaciò. En ell confio i no tinc por,
en
ell confio i no tinc por.”
Preghiamo
insieme:
Signore
insegnaci
a
non amare noi stessi,
a
non amare soltanto i nostri,
a
non amare soltanto quelli che amiamo.
Insegnaci
a pensare agli altri
ed
amare in primo luogo
quelli
che nessuno ama.
Signore,
facci soffrire
della
sofferenza altrui.
Facci
la grazia di capire
che
ad ogni istante,
mentre
noi viviamo una vita troppo felice,
protetta
da Te,
ci
sono milioni di esseri umani,
che
sono pure tuoi figli e nostri fratelli,
che
muoiono di fame
senza
aver meritato di morire di fame,
che
muoiono di freddo,
senza
aver meritato di morire di freddo.
Signore,
abbi pietÃ
di
tutti i poveri del mondo.
Abbi
pietà dei lebbrosi,
ai
quali, Tu così spesso ai sorriso
quandÂ’eri
su questa terra;
pietÃ
dei milioni di lebbrosi,
che
tendono verso la tua misericordia
le
mani senza dita,
le
braccia senza maniÂ…
E
perdona a noi di averli,
per
una irragionevole paura, abbandonati.
E
non permettere più, Signore,
che
noi viviamo felici da soli.
Facci
sentire lÂ’angoscia
della
miseria universale,
e
liberaci da noi stessi.
Cosi
sia.
Gesto finale della veglia
PADRE NOSTRO
Per una “buona notte”
CÂ’era una volta
un meraviglioso giardino, che si trovava al centro di un grande regno. Il
padrone del giardino aveva lÂ’abitudine di passeggiarvi nella calura del
giorno. Il più bello e il più caro di tutti gli alberi, di tutte le piante
e di tutta la vegetazione del giardino, era per lui un vecchio e nobile
albero di bambù. Anno dopo anno, il bambù cresceva, diventando sempre più
bello ed incantevole. LÂ’albero era consapevole che il padrone lo amava e si
compiaceva di lui.
Un giorno il
padrone si avvicinò impensierito al suo diletto albero, ed il bambù, con
grande sentimento di affetto e di deferenza, piegò la sua poderosa chioma verso
terra.
Il signore gli
parlo e gli disse: “Mio caro bambù, ho bisogno di te”.
Il bambù era
raggiante di felicità : era venuta la grande ora della sua vita. Rispose:
“Eccomi, signore, usami pure come vuoi”.
La voce del
padrone si fece seria: “Bambù, per poterti usare dovrò tagliarti!”.
Il bambù tremò
da cima a fondo: “tagliarmi,
signore? Io, che tu avevi coltivato come il più bell’albero del tuo giardino.
No, ti prego, questo no! Usami per la tua gioia, padrone, ma non tagliarmi!”.
“Se non ti
taglio, non posso usarti”.
Nel giardino si
era fatto un silenzio profondo. Il vento aveva cessato di spirare. Lentamente,
il bambù chinò di nuovo la sua maestosa chioma e sussurrò: “padrone, se
proprio non puoi usarmi senza tagliarmi, fa pure di me quello che vuoi e
tagliami”. E così dicendo offrì la sua chioma regale, perché la tagliasse.
Il padrone soggiunse: “Devo però
troncarti anche i rami!”.
“Ah, signore,
risparmiami tale scempio! Distruggi pure la mia bellezza, ma per favore,
lasciami i rami e le foglie”.
“Se non te li
recido, non posso adoperarti”, rispose.
Il sole nascose la
sua faccia. Una farfalla se ne volò via impaurita.
Allora il bambù
bisbigliò: “Signore, troncali e prenditeli pure”. E il padrone lo fece.
“Mio bambù –
riprese il padrone -, ho bisogno di qualcosÂ’altro. Mi serve il tuo tronco per
tagliarlo a pezzi, perché solo così posso davvero usarti”.
Allora il bambù
piegò il suo tronco divenuto spoglio e, chinandosi fino a terra, disse:
“Padrone, prendilo e taglia”.
Così il signore
del giardino abbatté il bambù, prese la sua chioma, i rami e le fogli ed
infine il tronco, che divise in mezzo. Poi portò amorevolmente il fusto, diviso
in due attraverso il deserto sino alla sorgente d’acqua viva, posò cautamente
il tronco sul terreno, in modo da imboccarne una estremità alla fonte e farne
sboccare l’altra nel canale di irrigazione scavato nei campi arsi dalla siccità .
La limpida e scintillante acqua che
sgorgava dalla fonte della vita prese a scorrere attraverso il corpo diviso del
bambù e dilagò per i campi riarsi, che tanto a lungo avevano atteso la sua
vivificante frescura. Così si poté seminare e piantare. E se ne ricavò un
abbondante messe, che saziò la fame di tanti uomini.
Il bambù, quando
era ancora il più bell’albero del giardino, viveva soltanto della propria
linfa. Ora, si era dato tutto al suo padrone e si era lasciato fare
completamente a pezzi, perfino il tronco. Ma essendo vuoto e cavo, adesso poteva
accogliere, proprio in quel vuoto, la pienezza inesauribile dellÂ’acqua viva, e
la sentiva scorrere benefica e vitale dentro al proprio corpo. E quantunque non
trattenesse quellÂ’acqua per se ma continuasse a darla via, il suo corpo,
sebbene morto, era sempre pieno, colmo di acqua viva.
Canto finale: COME UN FIUME