Carissimi Amici,
Spero che
stiate “al fresco” dopo l’estate torrida che avete
avuto in Europa. Qui per fortuna, il clima è ancora
primaverile. Non è arrivato il grande caldo dell’estate.
Spero che non sia come il vostro.
Sono appena rientrato da un’udienza
pubblica con Asina Jahangir, rappresentante delle Nazioni
Unite, in giro per alcuni stati del Brasile per raccogliere
informazioni sui gruppi di sterminio e sulle esecuzioni
sommarie. Durante la riunione abbiamo ascoltato in silenzio
la testimonianza di alcune madri a rispetto
dell’esecuzione sommaria dei loro figli da parte di
poliziotti. Quasi tutte le vittime avevano meno di 25 anni,
non possedevano antecedenti criminali, sono stati
assassinati a bruciapelo e i loro assassini continuano in
servizio. A me è toccato il compito di presentare un
rapporto sulle condizioni degli adolescenti rinchiusi nelle
carceri minorili. Con me ho portato Esmeralda, madre di
Riccardo,un ragazzo ucciso dai propri amici nel carcere
minorile l’anno scorso, un giorno prima di ricevere
l’ordine di scarcerazione. Esmeralda non riusciva a
parlare. E’ stato terribile ricordare il giorno in cui
ricevette la notizia che suo figlio era stato ucciso mentre
era rinchiuso in carcere, sotto la tutela dello stato. Ma la
cosa peggiore fu ricordare quello che avvenne 20 giorni dopo
la morte del figlio quando, verso le sei del mattino,
ricevette una telefonata da parte di una guardia carceraria
che le chiedeva di recarsi in quello stesso giorno nel
carcere per ritirare alcune parti del corpo del figlio, tra
cui gli occhi che erano rimasti conservati nel frigorifero
comune del carcere. Spaventata e incredula, Esmeralda mi
telefonò subito dopo per raccontarmi il fatto e per
chiedermi un parere sul da farsi. Le chiesi di recarsi al
carcere minorile e chiedere informazioni alla direttrice, ma
non nascosi la sensazione che si trattasse di uno scherzo di
pessimo gusto. Ma, al recarsi al carcere, Esmeralda rimase
attonita quando la direttrice si recò con lei alla cucina
e, aprendo il frigorifero, le consegnò un sacchetto di
plastica con dentro alcune piccole parti del corpo del
figlio. Esmeralda, da sola, usci dal carcere e si recò al
cimitero per seppellire gli occhi con il corpo del figlio.
E’ una storia scabrosa. Non mi
ricordo neanche se ve ne avevo parlato. La ricordiamo sempre
perché gli occhi di Riccardo sono diventati il simbolo
della nostra lotta per cambiare le condizioni di vita dei
ragazzi rinchiusi nelle carceri. Nonostante le promesse del
nuovo governo, i ragazzi vivono in condizioni precarie.
Manca l’acqua. Per bere i ragazzi dipendono dalla buona
volontà delle guardie che passano ogni tanto per fornire
acqua in bottiglie di plastica sporche. Le celle sono scure,
senza ventilazione, piene di topi. Ci sono pochissime
attività pedagogiche. I ragazzi passano 22 ore al giorno
rinchiusi nelle celle, senza niente da fare, sottoposti a
ogni tipo di umiliazione da parte di alcuni poliziotti. Solo
quest’anno cinque ragazzi sono stati uccisi dai loro
compagni di cella, una decina di ragazzi sono stati
torturati, ci sono state tre rivolte con ostaggi e numerose
fughe. Da tempo siamo impegnati per cambiare questa
situazione. La visita della rappresentante delle Nazioni
Unite è un’occasione per far conoscere a livello mondiale
questa realtà e chiedere l’appoggio della comunità
internazionale per porre fine ai castighi disumani e alle
corruzioni sommarie. I fatti dimostrano che in Brasile
esiste la pena di morte. Agenti dello stato, arrestano,
processano sommariamente e condannano a morte. È un potere
parallelo, al servizio della malavita organizzata, che non
“bada a spese” per garantire il controllo assoluto
sull’economia costruita sulle attività illecite.
Secondo dati forniti dalla propria
polizia, nel nostro comune (Serra) che ha una popolazione di
poco più trecentomila abitanti, da gennaio a settembre ci
sono stati 311 omicidi . Una media di oltre un omicidio al
giorno. Nella graduatoria dei quartieri più violenti, Novo
Horizonte e Cenerai Carapina, comunità dove sorgono
rispettivamente il Profeto Cidadao e Il Projeto Legale,
appaiono tra i primi otto. La principale causa di tutta
questa violenza assassina è lo spaccio ed il consumo di
droga. Ci sono forti indizi del coinvolgimento di
poliziotti.
La nostra grande sfida è lottare
contro la violenza che nasce nel ventre di un mondo dove
prevale la legge del “butta fuori”. L’attuale società
brasiliana è sempre più escludente e segnata da un vero e
proprio capovolgimento dei valori.
I nostri progetti rappresentano un
piccolo seme che porta in se la forza e la vitalità di un
nuovo progetto di società. Dal nostro sforzo vogliamo che
nasca un nuovo tipo di persona che si trasformi in
protagonista della costruzione della società.
Per
mancanza di tempo ho dovuto interrompere la redazione della
lettera per qualche giorno, tempo sufficiente per
raccontarvi l’ultima drammatica esperienza che ho vissuto
oggi (07 Ottobre) nel carcere minorile. Verso le 10.45 ho
ricevuto una telefonata del direttore del carcere
informandovi che era in corso un’ennesima rivolta dei
ragazzi e che questi mantenevano 5 guardie come ostaggi. Il
direttore mi ha chiesto di recarmi fino al carcere per
condurre le trattative con i ragazzi. Appena arrivato,
affacciatomi alla sbarra dove i ragazzi si agglomeravano con
gli ostaggi ho visto una scena terribile. Due ragazzi,
saliti su un tavolo, scagliavano un grande blocco di cemento
sulla testa di un loro amico che giaceva per terra e, subito
dopo, saltavano sul suo petto. Scusatemi se vi racconto
tutti i particolari ma è come se volessi affidare allo
scritto una scena che non si cancella dalla mia memoria. Non
riesco a liberarmi dal peso di non esser arrivato in tempo
per salvare Ronilson, di soli 16 anni, di fronte a quella
scena, ho perso il controllo. Ho gridato verso i ragazzi di
smettere con quella atrocità, poi ho ordinato agli altri di
rilasciare gli ostaggi. I ragazzi esigevano la presenza
della stampa e di un giudice ma ho risposto che, di fronte a
quell’efferato delitto, non meritavano nessuna trattativa.
Inizialmente i ragazzi hanno riluttato un poco, sobillati da
un loro compagno che non mi conosceva. Poi, di fronte alla
mia insistenza e soprattutto alla mia minaccia di entrare
personalmente per liberare gli ostaggi, i ragazzi si sono
arresi. Usciti gli ostaggi, sono entrato da solo. Riuniti i
ragazzi intorno al corpo dì Ronilson, lacerato da vari
tagli, ho mostrato tutta la mia indignazione. Nessuno ha il
diritto di togliere la vita di un altro. Davanti a me
c’era un ragazzino di soli sedici anni, falciato da una
violenza cieca e assassina messa in atto non solo da altre
giovani mani, ma da tutti coloro che, attratti da un sistema
economico e sociale escludente, difensore dei privilegi, che
assolutizza il patrimonio e non difende la vita, getta le
basi per atti cosi disumani. E’ vero che gli autori
materiali dell’omicidio sono stati ragazzi, ma è anche
vero che le loro mani e i loro cuori sono stati armati dal
disprezzo e dalla violenza di cui sono stati vittime
innocenti.
Dopo un piccolo momento di preghiera e
dopo aver coperto il corpo con un lenzuolo, ho chiesto ai
ragazzi, in silenzio, di ritirarsi nelle loro celle. Mi
hanno obbedito. Poi ho spiegato che un plotone speciale
antisommossa sarebbe entrato per perquisire le celle.
Uscito, ho chiesto al comandante del
plotone di non usare la violenza. E successo esattamente il
contrario. Di faccia al muro, i ragazzi hanno dovuto
togliere tutti i vestiti e rimanere nudi. Poi, sono stati
costretti a rimanere seduti, sempre di faccia al muro, con
le mani sulla testa per altre due ore. I soldati,
inferociti, insultavano e gridavano. I cani latravano e
cercavano di avventarsi contro i ragazzi con una voracità
spaventosa. Dopo la perquisizione dei ragazzi, è cominciata
quelle delle celle. Calpestavano i vestiti e le foto di
persone care ai ragazzi, briciole di affetto che quei
ragazzi ancora potevano permettersi. Finita la
perquisizione, i ragazzi sono stati chiamati per rientrare
in piccoli gruppi nelle loro celle. I poliziotti battendo i
manganelli per terra gridavano come pazzi perché i ragazzi
corressero. A un certo punto il comandante ha cominciato a
spruzzare nelle celle e sui ragazzi un gas orribile. Tutti
abbiamo cominciato a tossire. La nostra gola bruciava e gli
occhi si inondavano di lacrime. La rabbia mi ha invasò, ho
protestato duramente il comandante mi snobbava e continuava
la sua spietata tortura. Sono uscito dal padiglione per
chiedere aiuto alla direzione del carcere, ma quando siamo
rientrati, ci hanno impedito di accedere al cortile dove
c’erano i ragazzi. Si sentiva tossire vomitare non so se
stavo sognando, mi sono ricordato delle scene del film di
guerra del periodo nazifascista. C’era solo odio negli
occhi di quei poliziotti. I ragazzi, che pur avevano
commesso quello spietato delitto mi avevano poi rispettato,
obbedito, in silenzio si erano ritirati nelle celle senza
che io facessi uso della forza. I poliziotti, al contrario,
non mi hanno rispettato. E’ vero che i ragazzi si erano
comportati come Caino, avevano macchiato, ancora una volta,
le loro mani di sangue giovane, tutto ciò mi abbatteva e mi
faceva sentire sconfitto ma è anche vero che il Signore
disse: “Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette
volte!” (Gn 4,15). Il Signore impose un segno perché non lo colpisse chiunque non
l’avesse incontrato. In quel momento io ero un segno che
Dio aveva imposto su quei ragazzi perché nessuno si
lasciasse trascinare, dall’impeto della vendetta e
dell’odio cieco, rischiando di commettere la stessa
barbarità condannata. È in questi momenti che mi convinco
sempre di più dell’importanza del nostro lavoro. Non
possiamo incrociare le mani per quello che abbiamo fatto
fino ad ora. Bisogna moltiplicare le iniziative poter
garantire al maggiore numero di ragazzi l’opportunità di
fare un’esperienza positiva che gli impedisca di entrare,
in questo circolo della violenza.
Come raggio di luce e speranza vi
annuncio due passi nuovi che abbiamo fatto in questi giorni.
In agosto abbiamo inaugurato un corso di parrucchiera. In più,
grazie al contributo di Marika, abbiamo costruito una
cappella nella comunità terapeutica “Luca Fossati”. I
ragazzi, in questo loro cammino di recupero, potranno
contare con la presenza di Gesù, nell’Eucaristia, come
compagno di viaggio, così come è avvenuto con i
discepoli di Emmaus. La cappella sarà inaugurata il
12 ottobre, festa della Madonna delle Apparizioni (Aperecida)
e festa dei bambini. Nella Messa ricorderemo anche
l’anniversario della morte del nostro amico Luca Fossati.
Unitevi a noi nella preghiera.
Un forte abbraccio.
Dio dica bene di tutti noi e ci protegga.
Vitòria 08 ottobre 2003
P Saverio Paolillo
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