LETTERA AGLI AMICI
Korogocho, 1.1.2002
Lettera
agli amici
Korogocho, 1.1.2002 Carissimi, Jambo! Chiedo perdono per non essere riuscito a trovare il
tempo per stendere quest’ultima Lettera agli amici, lettera che ha alimentato
questa incredibile ragnatela di amicizie, di relazioni, di Mistero che mi ha
permesso di continuare a camminare sulle strade dei poveri per questi dodici
anni. Ma la vita a Korogocho è stata talmente intensa da
non trovare il tempo per scriverla. Perdonatemi. E’ stato l’anno forse più
duro a Korogocho, a parte il 1998. Spesso mi sono ritrovato nelle parole del
salmo 62 “..come muro, muro sbrecciato e cadente.” Ora rafforzato nello spirito dalle gioiose
celebrazioni natalizie (che boccata d’ossigeno!) e dall’arrivo di padre
Daniele Moschetti (vero dono di Natale)…..tento di condividere con voi un anno
carico di sofferenza, ma proprio per questo così denso di vita, di birthing
(un intraducibile parola inglese che significa nascita-re). Un senso di birthing
percepito con forza proprio nella morte della mamma. “Rendiamo grazie a…”
erano state le ultime parole della mamma come risposta all’ “Andiamo in
pace”, a conclusione dell’ultima messa celebrata a fianco del suo letto
all’ospedale di Cles. Mi nasceva spontaneo il grazie per la vita che mi aveva
donato, per il suo insegnamento a fare della vita un dono agli altri fin dal suo
seno. “Fin dall’utero a Te sono votato – nelle parole del salmo 22 -
dall’origine sei il mio Dio, mia vita succhiata col latte.” Infatti nel giorno del suo matrimonio aveva chiesto
al Signore che il primo figlio maschio fosse consacrato a Lui. Piangeva di gioia
il giorno della prima messa (fu il giorno più bello della sua vita). E mi seguì
con amore grande sulle strade del mondo anche nei momenti più duri e
burrascosi. Insieme con papà (splendida figura di montanaro e di resistente)
rimase un punto fermo della mia vita. Quella settimana passata con lei all’ospedale di
Cles è stato un momento importante per me per fare memoria ed il regalo più
bello che potevo farle. “Ses contenta che son nu?” le chiesi
« Sive, pop ! », mi rispose con un sorriso che non
dimenticherò mai. Fu la sua morte però, il 7 marzo 2001 il suo vero
testamento. “In genere si ama per essere amati, mentre la morte lei ci
insegna, ad amare l’altro lasciandolo essere “altro”, lasciandolo essere
nella sua alterità- afferma Marie de Hennezel nel suo libro “Passaggio
luminoso” che ho riletto mentre assistevo la mamma - Bisogna saper perdere ciò
a cui teniamo di più perché è in tale libertà che si ama davvero. Questa
vita che amiamo appassionatamente (la nostra vita!) proprio mentre stiamo per
lasciarla la amiamo di più. Comprendiamo allora che questa esistenza è un
“altro”, che “io e’ un altro” e che questo essere che amiamo, lo
amiamo meglio il giorno in cui siamo capaci di permettergli di andare là dove
deve andare…. Spesso i morenti attendono il nostro permesso. Dovremmo riuscire
a dire: ‘ Và, verso te stesso, io sono con te…..’. ” Pochi lo hanno capito così bene come la zia Alda (la
sorella della mamma quando il giorno del suo AD-DIO ci rimproverava: “No
planget popi! Laiala nar, cha femma!” (Non piangete, lasciatela andare quella
donna). La mamma è stata la persona più decentrata che
abbia mai conosciuto. La sua vita erano gli altri. Fino alla fine. “Quando celebrai la prima messa in questo paesino
di Livo fu la mamma la prima persona a venire a baciarmi le mani – dissi
durante l’omelia per la sua reposizione. Oggi sono io che vengo a baciare le
tue mani, mamma, perché se sono prete lo devo a te e perché lo sei stata più
di me.” Mi avvicinai e baciai commosso quella bara su cui avevo deposto un
crocifisso mutilato di Korogocho e un rosario Pokot preparato dalle ragazze
madri dell’Udada. Mi è venuto allora spontaneo invitare i presenti a cantare
il Magnificat. Sentivo il bisogno di dire Grazie perché la sentivo viva. Ho
voluto esprimere questo senso di vita dando a ciascuno il primo fiore che nelle
nostre valli irrompe dalla neve e proclama la primavera: i gattici. “Sei tu Signore che mi hai intessuto nel ventre
della madre, facendo del suo grembo una tenda” (Salmo 139). Con questi rametti di gattici, sospinti dalle campane
che suonavano a festa, abbiamo accompagnato la mamma a riposare accanto a papà
Sandro in quel cimitero di Livo che raccoglie tante umili persone per me così
significative. Mentre deponevamo il corpo della mamma nella nuda
terra, mi è venuto spontaneo chiedere ai tanti amici presenti di cantare un
canto della montagna che lei gradiva molto. “Che dolcezza nella voze de me mama, quando insieme s’arrivava al Capitel: la polsava en momentin, la pregava pian pianin. E alla fin la me diseva: Vei che nem! Ve saludo Madonina, steme ben!” Mi venne poi spontaneo inginocchiarmi sulla tomba e
chiedere la loro benedizione. (Non dimenticherò mai l’ultima straziante
benedizione, quando papà e mamma mi imposero le mani e mi benedirono prima di
ritornare nel 1991 a Korogocho). Su quella tomba sentii nuovamente quelle due
mani benedicenti che mi davano tanta vita, tanta forza per ridiscendere agli
inferi. Al mio ritorno, la comunità cristiana di St. John
organizzò una stupenda eucaristia in memoria della mamma, la cui fotografia
vedo spesso appiccicata sui muri delle baracche. La piccola comunità cristiana
più povera, quella dell’Ujamaa (lebbrosi che vanno in città ad elemosinare)
fece una colletta che mi presento’ dicendo: “Antonietta è la nostra
mamma.” Mai avevo sentito la sua presenza come durante questo difficile anno. L’anno della lotta della terra di Korogocho. Lo
scontro durissimo tra la comunità di Korogocho rappresentata dal comitato dei
28 (quattro per ognuno dei 7 quartieri della baraccopoli) e i proprietari delle
baracche. Storia che ho narrato nella lettera
“La lotta per la terra” dello scorso anno. Gli insulti, le parole, le
minacce che ho ricevuto per questo sono infinite. I proprietari delle baracche
riuniti in associazione (COWA) hanno portato la comunità di Korogocho insieme
con il prefetto della città e il commissario del governo per la terra in
tribunale. La prima udienza fissata per il 4 ottobre fu
rinviata. Siamo ancora in trattative per fissare una nuova data. Sarà una
storia lunga e difficile. Penso che la comunità, difesa in tribunale dagli
avvocati del Kituo cha Sheria, dovrebbe farcela ad ottenere la terra. Sarebbe
davvero una bella notizia non solo per Korogocho, ma per tutti i baraccati di
Nairobi. Nel frattempo il Pamoja Trust con i suoi
organizzatori comunitari ha continuato ad organizzare la gente tramite gruppi di
risparmio e credito (Savings & Credit) che sono ora la punta di diamante del
Muungano ya Wanavijiji (coordinamento delle baraccopoli). Il Pamoja ha inviato
anche vari membri del comitato popolare di Korogocho a visitare Bombay (India)
per vedere come i baraccati di quella metropoli si sono organizzati
(un’esperienza pilota). L’8 dicembre abbiamo fatto un incontro di tutti i
gruppi del Muungano. E’ stato un momento molto bello: i rappresentanti dei
baraccati hanno celebrato le loro vittorie. Oltre un migliaio di delegati,
riuniti all’Ufungamano House hanno raccontato e danzato le loro imprese.
Quest’incontro fu un primo assaggio per preparare gli importanti eventi di
quest’anno: la Maratona di Nairobi (14 Aprile) promossa da Vivicittà che vedrà
coinvolti insieme ai giovani delle baraccopoli, famosi atleti Keniani come Paul
Tergat e l’incontro continentale dei baraccati d’Africa. Quest’ultimo si
dovrebbe tenere il 29 Aprile al 3 Maggio a Nairobi. E’ il primo del suo genere
in Africa. E’ promosso dall’SDI (Slum dwellers International) che ha
incaricato il Pamoja Trust di organizzarlo. Sarà una vera benedizione anche per
il coordinamento delle baraccopoli di Nairobi che dovra’ per l’occasione
esprimere una leadership democraticamente eletta. Il Land Caucus (un piccolo gruppo di persone
impegnate sul problema della terra) ha dovuto darsi da fare per animare tutto
questo. Un periodo che ha visto l’esplosione violenta della più grande
baraccopoli Kibera (700.000 abitanti). Si parla oggi di 30 morti e di danni
ingenti. Il tutto è scoppiato quando il presidente Moi (per scopi elettorali)
ha detto che gli affitti a Kibera erano troppo alti. Questo vento di protesta è
passato anche ad altre baraccopoli e sta ora surriscaldando Ngunyumu, un
villaggio in muratura adiacente a Korogocho. Temiamo un altro bagno di sangue
che potrebbe poi coinvolgere anche Korogocho. Altro punto caldo è stata la discarica del Mukuru
situata davanti alla chiesetta di St. John. Migliaia di uomini, donne e bambini
si guadagnano la vita raccogliendovi i rifiuti. Un gruppo di giovani (Mungiki)
che vivono nel quartiere adiacente di Dandora hanno deciso di sbarazzarsi di
un'altra banda rivale della discarica (Kamjeshi) che minacciava il loro
controllo sui trasporti pubblici (tangenti). I giovani del Mungiki hanno
sconfitto quelli del Kamjeshi uccidendo oltre venti persone. Hanno poi bloccato
l’accesso alla discarica sia ai camion della nettezza urbana sia ai
raccoglitori. E’ stata la fame per tanta gente. Con l’aiuto di Anthony, un
coordinatore comunitario di Upinde, abbiamo cercato di organizzare la gente
della discarica. E’ stato durissimo. Ma alla fine i raccoglitori di rifiuti
hanno vinto. La polizia ha sgomberato dalla discarica i giovani del Mungiki e
l’ha riaperta ai camion della nettezza urbana. Questo ha permesso alla gente
di ritornare a lavorare. E’ stata una grande vittoria. La gente della
discarica ha promesso di organizzarsi in società legale che dovrà poi essere
riconosciuta dal governo e di fare elezioni. Nonostante tutte le difficoltà, lotte, scontri,
stiamo vivendo un momento di grazia per il problema terra a Nairobi. Per la
prima volta il governo Moi ha iniziato ad affrontare seriamente il problema
delle baraccopoli (è la prima volta dopo 100 anni di apartheid economica). Sono
molte le ragioni di questa svolta. Il governo ha capito che le baraccopoli
costituiscono una disgrazia internazionale ma possono essere anche un grosso
serbatoio di voti soprattutto in questo anno elettorale. (Ricordiamoci che
Nairobi politicamente è in mano all’opposizione). Altra grossa spinta è
venuta da Habitat di Nairobi soprattutto tramite la sua dinamica direttrice Anne
Tibaijiku. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere a Moi che non potevano continuare
a lanciare campagne nel mondo sugli insediamenti urbani e sulla proprietà della
terra nelle baraccopoli mentre a Nairobi c’è una delle peggiori realtà
urbane mondiali. Infine lo sforzo della campagna per la terra sostenuta dal
Pamoja Trust ha certamente influito su questa svolta governativa. In questo
contesto l’incontro avvenuto il 16 gennaio di quest’anno tra Jane Weru (Pamoja
Trust) e la Anne Tibaijiku è stato significativo. Questo permetterà un fronte
comune: Habitat e baraccati per premere sul governo. Oggi sembra davvero che
molti esponenti del governo siano pronti a fare qualcosa a favore dei baraccati. E’ quanto emerso in un incontro a Thika prima di
Natale. Forse il governo non sa
cosa fare, data la vastità del problema. Ma è già importante questa apertura.
Si tratta ora di lavorare per concretizzare questa speranza. Anche dentro Korogocho qualcosa si sta finalmente
movendo. Il comitato per la terra che riunisce gli affittuari si sta
rafforzando. E’ la prima volta che questo avviene a Nairobi. Sono piccoli
segni di speranza che hanno costellato questo anno difficile. Altro segno bello dentro Korogocho è stata la
riconciliazione di due piccole comunità cristiane (Mukuru A e Mukuru B) che
lavorano da anni sui rifiuti ma che si facevano la guerra per la terra data loro
dal governo. “Questo nostro atteggiamento – ci disse la gente del Mukuru A -
è antievangelico. Il Vangelo ci chiede di perdonarci. Non possiamo mangiare la
Pasqua senza riconciliarci.” Durante un pubblico incontro si domandarono
perdono, divisero la terra con atto notarile mettendo così fine alla disputa.
Suggello finale: benedizione della terra e delle due comunità con il sangue di
capra per esprimere che i due gruppi sono ora una sola famiglia. Ed ha
funzionato. Significativo anche l’accordo pubblico (firmato
davanti a tutti) tra i capi musulmani e cristiani di Korogocho per dire la
volontà di collaborare a favore della comunità allargata. C’è oggi un
ottimo rapporto con l’imam e la comunità islamica nonostante Bin Laden!
Questo dovrebbe portare lentamente (ci stiamo lavorando) ad un tentativo di
community policing (polizia comunitaria): cioè ad una stretta collaborazione
tra la polizia dello stato (corrotta fino all’osso) e la comunità di
Korogocho per assicurare un minimo di sicurezza. Abbiamo passato mesi di totale
insicurezza (che continua!) per i continui attacchi di bande armate che
controllano Korogocho (uccidono, violentano, rubano..). Questa situazione di grande insicurezza dovuta a
questi banditi armati ha portato lo scorso giugno a sanguinosi scontri tra la
gente di Ngunyumu che vive in case in muratura e la gente di Korogocho. Anche
qui siamo intervenuti per aiutare i gruppi avversari a parlarsi. Durante questi
incontri è emersa la corruzione totale che regna a Korogocho (è mafia
autentica) dove i banditi armati sono un tutt’uno con i poliziotti i quali a
loro volta sono in stretto legame con le donne che vendono il chang’aa (alcol
locale). Ma visto l’inutilità dei vari tentativi, abbiamo deciso di fare una
marcia di protesta contro la polizia. Colmo dei colmi, la polizia sequestrò la
macchina su cui avevamo piazzato l’altoparlante. La gente infuriata decise di
marciare fino alla caserma di polizia. A pochi metri dalla caserma fummo
attaccati dalla celere con lacrimogeni, manganellate. Tentammo di sfondare. Fui
preso e schiaffeggiato da un poliziotto. Forzai allora la linea della celere ed
entrai nella caserma dove mi attendevano i pezzi grossi della polizia. “Chi
sei tu?” mi chiese il comandante. “Sono padre Alex e vengo dalla chiesa
cattolica di St.John”. “Fuori di qui! ”. “Arrestatemi, arrestateci
tutti! Siamo stufi di essere trattati così a Korogocho.” Alla fine i capi
accettarono di trattare e la spuntammo. Ritornammo in trionfo a Korogocho con la
macchina sequestrata e l’autista arrestato. Fu una grande lezione per tutti
sull’efficacia della mobilitazione popolare. Abbiamo intuito le stesse potenzialità mobilitando i
ragazzi di strada. Questa volta aiutati da due amici americani, l’artista Lily
Yeh e dal direttore di danza Wilson German. E’ stato un momento bellissimo per
i ragazzi di strada che frequentano i due centri : Boma Rescue Center e
Korogocho Street Children Programme. Mentre la Lily aiutava i ragazzi di strada
a disegnare, German li ha aiutati a fare teatro popolare. Lo spettacolo che
hanno offerto al Paa ya Paa (un centro artistico retto dal noto Elimu Njao) è
stato davvero travolgente. “Fiori dimenticati” era il titolo significativo
dello spettacolo. “Ho un sogno” - cantavano i ragazzi di strada - con una
grinta straordinaria. La gente mi rispetterà. Uno di noi sarà un giorno
Presidente!” Non dimenticherò mai la cena fatta con Lily e Wilson
nella casa dei volontari Acri, Monica e Claudina che fanno uno splendido lavoro.
(Monica segue i programmi dei ragazzi di strada e Claudina le cooperative del
Bega Kwa Bega e del Mukuru). Wilson (minato dal cancro) scoppio’ in pianto.
“Ho visto oggi una cosa bellissima: questi ragazzi di strada presentarsi con
tanta forza e dignita’ da lasciarmi interdetto. Io sono povero, un povero nero
d’America. Ma farò di tutto per racimolare un po’ di soldi per ritornare e
dare speranza a questi ragazzi. Sono troppo bravi!”. E singhiozzava ripensando
alle sue lotte per i diritti umani degli africano-americani accanto a Martin
Luther King. Abbiamo già chiesto ad Amref (una grande organizzazione
internazionale) di darci una mano per far partire un movimento politico che
riunisca i vari centri di Nairobi (sono una valanga) che lavorano per i ragazzi
di strada ma che fanno purtroppo solo assistenza. Abbiamo bisogno di azione
politica. Mai come quest’anno ho sentito e ho vissuto
l’esperienza di Dio dentro le lotte dei poveri. Essi sono un vero luogo
teologico. Mai mi sono sentito così vivo nonostante tutta la morte e le
sconfitte, i crolli che mi attorniano. Ho sentito pulsare vita. Ho sentito i
poveri danzare la vita. La gioia grande dei lavoratori della Del Monte quando lo
scorso marzo si sono incontrati a Thika per celebrare la loro vittoria sulla
multinazionale. E’ stato un momento forte. L’impegno del sindacalista Daniel
Kiule e di Stephen Ouma che ora lavora con il Kenya Human Rights Commission. (Stephen
ci dà una mano incredibile anche con la scuola informale di St.John che sta
filando via come un orologio. Nella gestione della scuola la comunità di
St.John ha fatto passi da gigante!). La vittoria sulla Del Monte ha aperto le
porte per la campagna contro l’ industria dei fiori. Dopo un anno di indagini
è ora pronto il documento finale che mette a nudo la drammatica realtà di
120.000 operai (in buona parte donne)che lavorano in questo settore. La campagna nazionale si aprirà il 10 febbraio con
una conferenza stampa che rivelerà il vero volto dell’industria dei fiori, la
più fiorente in Kenya. E inviterà i Keniani ad un boicottaggio simbolico per
il 14 febbraio (No ai fiori per San Valentino). La settimana verrà chiusa da
una celebrazione a Naivasha il 17 febbraio in memoria delle vittime di questo
settore. All’industria dei fiori verrà dato un chiaro ammonimento: tre mesi
per trattare altrimenti a maggio si andrà ad un boicottaggio internazionale.
Vari organismi si sono dati un appuntamento a Nairobi il prossimo maggio per
lanciare un boicottaggio dei fiori Keniani in Europa (i fiori arrivano ad
Amsterdam e da lì sono distribuiti in varie nazioni europee). Un lungo cammino, il cammino dei poveri, degli
oppressi… Ma su queste strade ho sperimentato sempre più vivo il Dio di Mosè,
il Papi di Gesù, il Dio che cammina con il Suo Popolo, il Dio che libera. Ho
vissuto la spiritualità dell’Esodo. Un cammino illuminato dalla lettura
continuata dell’Apocalisse che ci ha accompagnato in questo anno difficile.
Che forza rivoluzionaria la lettura della Parola fatta nei bassifondi della
storia. Per me dodici anni di Parola a Korogocho mi hanno causato una
rivoluzione copernicana. E’ un dono grande che ho ricevuto. Parola che diventa
volto: il volto di Gesù, il volto dei poveri. I volti della gente della
discarica, i volti dei ragazzi di strada, i volti di donne, i volti di lebbrosi,
volti di malati di Aids. I momenti serali stupendi di eucaristia celebrata a
lume di lampada nelle baracche con la piccola comunità cristiana. I volti…..un volto! Quello di Grazia, una ragazza
madre che è venuta a vedermi la vigilia di Natale. L’avevo conosciuta nel
lontano Natale del 94. In quella lontana notte in un locale notturno era stata
presa da quattro giovani che l’avevano violentata per tutta la notte. Non
riusciva più neanche a camminare. “E’ apparsa la Grazia del Signore nostro
Gesù Cristo….”. E’ quella la Parola che risuona nella notte natalizia.
Guardando in volto Grazia mi sembrava una bestemmia. Avevo aiutato Grazia,
ragazza madre con due figli, ad uscire dalla prostituzione, dall’alcol e dalla
droga. Riuscì lentamente a rimettersi in piedi, ad uscire dal giro e a gestire
un piccolo business, raccolta e rivendita di bottiglie usate. Era una gioia il
vederla! Alla vigilia di questo natale 2001 (sette anni dopo)
era venuta a vedermi, in lacrime. “Cosa c’è Grazia?” le chiesi. “Non
saprei come ringraziarti per quello che hai fatto per me. Non avrò vite
abbastanza per farlo. Ma in questi giorni sono stata male, ho fatto l’esame e
il dottore mi ha detto che ho l’AIDS. Alex ieri ho tentato di bere e di far
bere ai miei figli il veleno dei topi. Non me ne importa della mia vita ma mi
tormenta il pensiero di lasciare soli questi miei due figli. Non hanno
nessuno.” “Grazia” replico “il Signore ti ha dato una grossa mano per
rinascere! ” “Sì è vero” mi risponde. “Vuoi che non ti aiuti in questo
momento? Fidati ”. Si asciugò le lacrime. La vidi il giorno di Natale fare la
comunione. Con volto provato ma sereno. Sono questi i volti del mio Natale La vigilia anche
noi, come tutte le piccole comunità cristiane ci siamo ritrovati a casa nostra
a bere il tè della riconciliazione e a condividere quello che sentiamo in
questo Natale. Il fratello Gino, le due volontarie, Claudina e Monica, padre
Daniele (grande dono di Natale, segno tangibile che i comboniani hanno assunto
Korogocho), e l’ugandese padre Alex Matua e altri amici. Un momento di intimità domestica. All’imbrunire
siamo andati alla chiesetta di St. John per la celebrazione dell’eucaristia
natalizia. La comunità aveva proprio voglia di celebrare, di cantare, di
danzare. Era festa. Dopo il Vangelo come i pastori siamo andati in processione
alla capanna dove abbiamo ascoltato l’annunciato “Mtoto amezaliwa Mukuru”
(Un bimbo è nato nella discarica). Ritornammo poi nella chiesetta per spezzare il pane.
Poi le comunità ritornarono poi alle loro baracche. Noi invece con le comunità
della discarica e i ragazzi di strada siamo andati al progetto della discarica.
E con i raccoglitori di rifiuti, con i ragazzi di strada (non sono questi i
pastori di una volta?) abbiamo vegliato, pregato, danzato fino all’alba.
Un’alba stupenda carica di rosso, carica di speranza. Poi abbiamo celebrato
due eucaristie gioiose, festose. Nella seconda abbiamo celebrato il battesimo di
una dozzina di bimbi. Festa della vita! Siamo ritornati a mangiare un boccone
con la gente della discarica. Vero pranzo di Natale con i più disprezzati. E
poi per i viottoli della baraccopoli siamo andati a portare l’eucaristia ai
malati di Aids. Il giorno dopo una stupenda celebrazione eucaristica
con la piccola comunità dell’Ujamaa, la comunità dei lebbrosi. Era proprio
Natale. Soprattutto quando abbiamo condiviso il cibo con loro. Ci voleva proprio
dopo un anno così duro, così intenso. Una boccata d’ossigeno, un sorso di
vita. Soprattutto dopo gli eventi dell’11 settembre e la
conseguente guerra degli USA contro l’Afghanistan. Me li son portati nello
stomaco come dei macigni che mi hanno fatto un male boia. E’ la rivelazione
(Apocalisse) dell’assurdita’ del sistema. “Dio ci sfida a ripensare la nostra maniera di
vivere e di agire. – afferma il teologo sudafricano Albert Nolan – “non
siamo noi forse colpevoli di servire due maestri, Dio e il denaro, Dio e il
materialismo?.” Questa crisi e’ un momento unico per dire la nostra
fede, il nostro status confessionis. Per questo mi ha fatto ancora piu’ male
il silenzio della Chiesa e delle Chiese (anche se ci sono delle eccezioni). Korogocho e’ un luogo privilegiato per sperimentare
questo. “La Chiesa adempie la sua vocazione quando e’ presente di fronte
alle rotture che crocefiggono l’umanita’ nella sua carne e nella sua
unita’ ” - cosi’ afferma il vescovo Claverie assassinato nel 1996 in
Algeria. “Gesu’ e’ morto dilaniato tra cielo e terra, le braccia protese a
riunire i figli di Dio dispersi dal peccato che li separa, li isola e li volge
gli uni contro gli altri e contro Dio stesso. Egli si e’ posto sulle linee di
frattura nate da questo peccato. In Algeria siamo proprio al nostro posto
giacche’ e’ in questo luogo che si puo’ intravedere la luce della
Risurrezione.” Anche noi a Korogocho siamo al posto giusto! Nella notte fonda di natale ho rivisto brillare la
croce del Sud che mi ha sempre accompagnato in questi duri ma bellissimi anni a
Korogocho...... quattro punti luminosi.... aspettando ora di camminare con voi
sotto la stella polare, la stella del Nord. Il cammino e’ uno.....buon
cammino. Sijambo!
Alex
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