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IL MAGISTERO DEI POVERI - Sognando un Magistero plurale dentro la Chiesa

fr. Alberto Degan

 

Da un po’ di tempo mi sto riunendo con alcuni giovani, a Padova, per riflettere insieme sulla Teologia della Liberazione. L’articolo che abbiamo pubblicato poco tempo a su questo sito (“La teologia della liberazione di fronte al povero”) è frutto del nostro studio.
Pensiamo che la teologia non può essere ridotta a mera riflessione ‘scientifica’ sulla Parola da lasciare a pochi ’esperti’.
Per trasformare la società in senso evangelico è fondamentale partire dalla nostra esperienza di Dio. Dobbiamo allora recuperare la teologia come riflessione sulla nostra esperienza e sulla realtà che ci circonda alla luce della Parola. Quando si parla del Magistero della Chiesa, si dovrebbe intendere il magistero di tutta la Chiesa, e quindi anche del popolo di Dio. Anche la riflessione del popolo di Dio è parte del Magistero della Chiesa. E anche i giovani fanno parte del popolo di Dio. Non possiamo solo lamentarci del verticismo della Chiesa. Dobbiamo anche noi prendere l’iniziativa e dare il nostro contributo. Nelle nostre parrocchie e anche nei giovani c’è un vuoto di riflessione teologica. Anche i giovani sono – o dovrebbero essere – soggetto di riflessione teologica.

 

 

Lo scopo del nostro gruppo, dunque, è riflettere su come i giovani sperimentano Dio e come sognano il mondo futuro a partire da questa esperienza. Tutto questo lo facciamo nell’ottica di una teologia sognatrice, una teologia ‘liberatrice’, che sogna una vita piena per l’umanità anche in questo periodo in cui tutti prevedono catastrofi. Il nostro punto di riferimento sarà la Teologia della liberazione, che mette i poveri, l’uomo, e adesso anche la terra e l’ambiente, al primo posto. Vogliamo dunque partire dal “Magistero dei poveri” e, più in generale, vogliamo aprirci ad un magistero plurale dentro la Chiesa.
Letteralmente teologia significa ‘discorso su Dio’. Per molti secoli gli unici a  parlare di Dio dentro la Chiesa sono stati i teologi (maschi) occidentali che parlavano della loro esperienza religiosa, dando per scontato che la loro teologia era “la” teologia, l’unica maniera di parlare di Dio. Adesso altri popoli stanno rivalutando e riscoprendo la loro esprienza di Dio e la loro spiritualità. Anche i neri, anche gli indios, anche le donne, e anche i giovani sono chiamati ad essere teologi. Nel nostro gruppo di studio vogliamo valorizzare e scoprire le ricchezze di questo Magistero plurale.

La comunità cristiana e i poveri
Il Vangelo ci dice che sarà il nostro atteggiamento verso i poveri a definire se la nostra vita è davvero una vita umana e cristiana (Mt 25,31-46). Ma non si tratta solo di ‘aiutare’ il povero: si tratta di accoglierlo e di sentirlo come fratello;  Gesù si identifica con “questi fratelli più piccoli”.
Domandiamoci: i poveri li sentiamo e li consideriamo come nostri fratelli e quindi parte integrante della nostra comunità, o solo come ‘ospiti’ da aiutare e accogliere di tanto in tanto?
In realtà, spesso la Chiesa e i poveri sembrano due realtà distinte. Significativo, a questo rispetto, è il titolo che si scelse per la Giornata Mondiale della Pace del 1991: “Se vuoi la pace, va’ incontro ai poveri”. Con queste parole, si riconosceva che la Chiesa deve andare verso i poveri perché non siamo una Chiesa povera: i poveri non sono ‘dentro’ la Chiesa, sono fuori, per questo dobbiamo andare verso di loro.
Domandiamoci: quando un povero entra nella nostra comunità cristiana, si sente a casa sua? o sente che la Chiesa è degli ‘altri’?
Negli anni scorsi, si sono fatte delle riflessioni interessanti a questo riguardo in ambito ecclesiale, in America Latina ma anche in Italia.
Nel documento di Puebla, del 1979, i vescovi latinoamericani affermano: “L’impegno con i poveri e gli oppressi e la nascita delle comunità di base hanno aiutato la Chiesa a scoprire il potenziale evangelizzatore dei poveri, che la interpellano costantemente, la chiamano alla conversione e... a rivedere le proprie strutture e la vita dei suoi membri” (1147-57).
Nello stesso periodo, in Italia, nel Convegno ecclesiale su “Evangelizzazione e promozione umana”, del 1977, si affermò che “con gli ultimi e gli emarginati potremo tutti recuperare un genere diverso di vita”. Durante questo Convegno si specificarono alcune piste d’azione:

  • farsi carico delle situazioni di miseria, di ingiustizia e di ignoranza e di oppressione dalla quale Cristo vuole liberarci”;

  • che i più poveri siano inseriti a pieno titolo nelle nostre comunità”;

  • che nella Chiesa a tutti sia possibile sentirsi ‘di casa’. Si trattino con priorità i problemi dei poveri nelle programmazioni pastorali. Si coinvolga tutta la comunità ecclesiale sui problemi dell’emarginazione”. Con ciò si voleva sottolineare che la situazione dei poveri non deve essere vista come ‘compito’ di un gruppetto specializzato, magari del gruppetto della Caritas parrocchiale, ma come preoccupazione ‘prioritaria’ di tutti i membri della comunità cristiana.

  • che nelle eucaristie domenicali ci sia un preciso riferimento a questi problemi”. Con ciò si auspicava che le eucaristie – che per molti costituiscono l’unico momento di incontro con la Parola e con la comunità parrocchiale – stimolassero tutti i credenti a preoccuparsi per gli emarginati e a trovare insieme cammini di solidarietà e giustizia.


 

Appare evidente che tutte queste raccomandazioni sono più attuali che mai.
Vorrei adesso concludere con alcune riflessioni di don Marton, partendo da questa premessa: se vogliamo fare comunità con i poveri, dobbiamo prendere sul serio il capitolo 25 di Matteo, che ci dice che Gesù è presente in maniera del tutto speciale nei piccoli e negli ultimi: prima ancora di fare qualcosa per loro o con loro, dobbiamo lasciarci evangelizzare da loro. Magari noi pensiamo che certe cose si possono fare solo in America Latina, o in Africa, e invece sono suggerimenti e piste d’azione valide e urgenti per ogni comunità cristiana, anche per noi qui in Italia.

a) Leggere la Bibbia con i poveri
Lo sguardo dei poveri sulla Bibbia è indispensabile perché una comunità cristiana penetri il più correttamente possibile la Parola. Senza lo sguardo dei poveri la comunità rischia di cadere in letture bibliche influenzate dall’ambiente socioculturale delle categorie sociali più forti. La Bibbia ci testimonia che i poveri si sono manifestati come gli interlocutori privilegiati di Dio: è a loro, al ‘popolo umile e oppresso’ di cui parla Sofonia (3,11-13) che vengono affidate le promesse; è a loro che viene annunciata la Buona Notizia (Lc 4,18). E allora, non si potrà dire che la Chiesa, per custodire, penetrare e annunciare la Parola, dovrà diventare comunità di poveri, o almeno ascoltare i poveri e farsi attenta al loro ‘magistero’? Gesù ha più volte messo in guardia dal pericolo della ricchezza che può soffocare la Parola (Mt13,22), ma noi non avvertiamo con sufficiente chiarezza che ‘la potenza del Vangelo’ si libera solo dentro una comunità di poveri e povera”.

b) I poveri giudicano le nostre eucaristie ‘incompiute’
 “Le eucaristie si susseguono da secoli. E i poveri continuano ad esserci, a soffrire sulla terra e a crescere di numero. L’eucaristia ci è stata data perché il mondo intero diventi Regno di Dio, e perchè tutti possano vivere da fratelli”. Ma se i poveri aumentano, e aumentano le ingiustizie e le disparità fra chi ha e chi non ha, e i cristiani accettano passivamente questa situazione, significa che “le nostre innumerevoli eucarestie sono, in questo senso, ‘incompiute’. I poveri, col loro numero immenso e il cumulo di sofferenze della loro povertà, fissano lo scarto tra le nostre eucaristie e il loro compimento”. Partecipare al banchetto eucaristico significa entrare in comunione con il Dio ‘piccolo’, con il Dio ‘fratello’. Perciò se le nostre eucaristie non ci fanno entrare in comunione con i fratelli più piccoli ed emarginati, “questo non è più mangiare la cena del Signore”, come dice san Paolo (1Co 11,20), e significherebbe tradirne completamente il senso. Domandiamoci: come fare perché i poveri si sentano a casa nelle nostre eucaristie e ci aiutino a ‘compierle’?

Fr. Alberto Degan

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