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Spunti per una spiritualità dell’INSERZIONE

Dentro! Dove batte la vita: immersi e appassionati.

 

Dentro! Dove batte la vita: immersi e appassionati.

“Immersi e appassionati”. Padre Filippo (Filo) ci ha inviato un’interessante riflessione sulla spiritualità dell’inserzione. Con questo intervento vogliamo iniziare un dibattito su questo tema, e sul tipo di missione che Dio ci sta chiamando a vivere. Invitiamo altri missionari a condividere la propria esperienza e la propria spiritualità.

 

 

 

  • Introduzione

    Il Dio che ha liberato il suo popolo Israele dalla schiavitù d’Egitto cammina in mezzo a lui nel deserto (Es 13,21). E’ un Dio nomade, sempre dentro il suo popolo. Un Dio che assume il modo di vita della sua gente dormendo sotto una tenda (2 Sam 7,6). Semplice, senza pretese. Gli basta restare con lui. Sulla strada. Schierato dalla parte degli ultimi (Es 2,24-25). Come Gesù di Nazaret che ha preso dimora e carne in mezzo a noi, nella nostra stessa vicenda umana (Gv 1,14). Assumendo i nostri stessi dolori, gioie, sogni e fatiche. Per questo è stato chiamato l’Emmanuele, il Dio con noi (Mt 1,23).

    Missione è allora fare la stessa cosa. Esserci dentro. Immersi nella vita con il cuore per amare la gente, la testa per pensare come servirla, gli occhi per leggere la realtà e vedere le sofferenze dei fratelli e sorelle più poveri. Le gambe per camminare e costruire il Regno. Affamati e assetati di giustizia. Appassionati dell’umanità. Vietato restare neutrali o indifferenti. Mai staccati o fuori contesto. Non c’è tempo e spazio per restare a metà. Bisogna schierarsi. Perché il cuore ribolle dentro se non ci diamo da fare, se taciamo di fronte alle ingiustizie e se non rischiamo sulla pelle. La vita degli impoveriti e degli oppressi deve diventare la nostra provocazione principale, quella che non ci lascia dormire. Non solo questione sociale ma soprattutto spirituale. Quella che non ci lascia tranquilli finché non abbiamo intravisto e intrapreso insieme vie d’uscita. Quella che sfida, provoca e cambia il nostro stile di vivere e fare missione. Per renderlo più prossimo a quello della nostra gente. Dal mangiare al vestire. Dal lavorare al dormire. Dal parlare la lingua della gente al fare silenzio. Dall’abitare al modo di spostarci. Dalle relazioni con la gente al modo di spendere il nostro tempo. Dal fare festa al vivere il dolore. Fino al modo di pregare e celebrare la vita. Vicini ai poveri. Per conoscere a fondo la cultura del popolo che ci accoglie, abbracciandola fin dove promuove la vita, la giustizia e l’uguaglianza e denunciandola laddove si ritorce contro. Per scendere dai gradini o dai palchi di una vita che ha ben poco di religioso se non è capace di essere il più possibile vicina a quella dei poveri ( Fil 2,5-11). Solidali e vicini per farsi fratelli e sorelle. Nelle baraccopoli, nei campi profughi, nel lavoro con i malati di aids o con i bambini di strada, nei villaggi con i popoli originari, nell’impegno per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato. Nell’animazione missionaria. Scendere. Per imparare ad amare nei fatti e non solo a parole (1 Gv 3,18) . Come ha fatto Gesù di Nazaret che si è immerso nella vita della sua gente perché avesse vita piena (Gv 10,10). Come Daniele Comboni di Limone sul Garda che si è innamorato talmente dei poveri e dell’Africa che il suo cuore batte solo per loro (S. 941). E come ogni missionario comboniano appassionato che si mette dentro la realtà che incontra con quell’amore che lo spoglia sempre più di sé e lo immerge con fiducia dentro una vita nuova che è già cambiamento radicale di rotta. E buona notizia. Vangelo per i poveri che non sono più soli nel cammino di riscatto e di liberazione.


  • L’immersione di Gesù nella realtà del suo tempo: il battesimo

    La passione per l’umanità è il segno più evidente della vita, delle attese, delle azioni, dei discorsi e degli incontri di Gesù di Nazaret. Che percorre le strade della Galilea, oppressa dall’impero romano e dalla religione del Tempio, con il sogno di trasformare quel mondo nel suo Regno di Giustizia e Pace. Perché il mondo che ha di fronte affama la gente, la impoverisce e la indebita chiedendo tasse, sacrifici e rispetto di prescrizioni che arricchiscono le autorità politiche e religiose al potere. La sua passione è sofferenza per le ingiustizie e il dolore della sua gente ed è amore verso una realtà per cui vale la pena spendersi e donarsi fino in fondo. Come ha fatto il Padre suo che “ha tanto amato il mondo da dare il suo unico figlio” (Gv 3,16). Sì, amore vero. E viscere che si muovono e si commuovono dentro per chi è smarrito, ai margini, escluso, per chi non conta nulla, per gli scartati dal sistema e dalla storia. Per questo Gesù si è speso, ha camminato e sudato, ha aiutato gli ammalati e i deboli a rialzarsi, ha lavato i piedi, ridato vita ai senza speranza. E’ passato facendo il bene (At 10,38). Ha dato tutto, facendo della sua vita eucarestia, un dono all’umanità stessa. Soprattutto si è immerso, facendo causa comune con le attese e i sogni dei contadini, dei pescatori e dei pastori della sua terra.
    Ha cominciato infatti il suo cammino passando per l’immersione, il battesimo, scelta che ha marcato tutta la sua vita. Scelta di mettersi in coda con la sofferenza della sua gente. Scelta di fare causa comune con gli ultimi, di vivere fino in fondo le loro stesse pene e speranze, che lo porterà dritto al cuore del sistema per denunciarne alla radice l’ingiustizia: Gerusalemme e il Tempio. Nelle acque del Giordano Gesù rievoca con il suo battesimo il passaggio attraverso le acque del popolo d’Israele liberato dalla schiavitù. E Gesù, sulla stessa linea, viene a liberare, ridare vita, rimettere in piedi (Lc 4,16 ss.) spinto da quell’energia di vita, lo Spirito, che l’accompagnerà fino sulla croce. Non è mai estraneo alla realtà: annuncia un mondo radicalmente altro già qui sulla terra e si batte per questo ma assume sulla sua pelle tutte le contraddizioni, violenze e limiti di quello che incontra. Ha i piedi per terra. Non si chiama fuori. Battesimo, immersione, vogliono dire infatti per lui passione e morte in vista di una vita di una qualità tale d’amore che si chiama resurrezione. Solo restandoci dentro e amando la realtà proprio così com’è (e non nonostante) Gesù può vivere il suo battesimo e la sua piena “incarnazione” che passano inevitabilmente dalla sofferenza. Quella che si concretizza nella morte più infamante e crudele: la croce. Unica sofferenza che il Padre accoglie, anche se non vuole. Quella che va di pari passo con la scelta dell’amore totale, che non ha paura di rischiare la vita per e con gli altri. Quella che è conseguenza della lotta contro tutte le sofferenze del mondo. Lotta per cui vale la pena vivere e, se serve, anche morire.

  • L’immersione di Comboni nell’ Africa

    Sin dal suo primo viaggio nel 1857 in Africa Daniele Comboni resta affascinato da un mondo talmente diverso che per essere amato richiede di essere conosciuto tuffandosi dentro. Con la fiducia che Dio è là presente. E’ il suo battesimo! Da quell’innamoramento non si riprenderà più (S. 1251; 1438).Cominciano così la sua ricerca e passione per le lingue locali, gli usi e costumi dei popoli che incontra, la geografia, gli animali, i paesaggi (S.371-375). Che racconta minuziosamente nei suo Scritti ( S. 230-295, 325-340, 342-384). Stupito, incuriosito, ammirato, Comboni vuole immergersi dentro quei mondi che incontra per imparare ad amarli così come sono. Con il cuore stesso di Gesù Cristo, a lui così caro. In vista di proporre un cambiamento alla luce del Vangelo che permette di vedere dei fratelli e delle sorelle laddove altri vedevano solo schiavi da sfruttare (S.800). Inserito nell’amore di Cristo si sente chiamato ad inserirsi tra i popoli cui è inviato. Con amore per lo studio delle lingue ( S.298; 2729; 6432; 6599), del contesto sociale e geografico, dell’agronomia e dei costumi fino alle pratiche mediche che sono per lui indispensabili pilastri della formazione dei candidati missionari (S.2235). Che devono leggere, conoscere e condividere esperienze al fine di servire al meglio l’opzione preferenziale della missione (S.2702;2890): la causa dei più poveri e abbandonati. La quale richiama e stimola la nostra solidarietà in termini di atteggiamenti molto concreti come l’uso del denaro per sé e la coscienza dei sacrifici che la gente fa per donarlo alla missione. Comboni in questo è esemplare: nulla spende per il suo piacere personale (S. 1772) denunciando anzi  i religiosi, che non sanno da dove arriva e quali sacrifici costa (S. 2607).

    Comboni avverte il desiderio profondo di farsi “uno di loro” anche vestendosi con i loro abiti e provando sulla pelle le durezze del clima, del deserto, delle febbri, dei viaggi al limite dell’impossibile. Vuole a tutti i costi mettersi in comunicazione con il mondo che incontra, per aprirlo alla novità del Vangelo. Pronto ad aprirsi lui stesso alla diversità e alla pluralità dei popoli che incontra. Non considerando come assoluti il suo modo di pensare o di agire. Lasciandosi trasformare profondamente dalla gente e dalla situazioni che incontra. L’Africa l’ha cambiato e innamorato a tal punto che non può far altro che parlare di lei dappertutto in Europa. La sua animazione missionaria, il cercare di coinvolgere e appassionare persone, Chiesa e istituzioni all’Africa sono il frutto dell’amore che porta dentro per la “perla nera”. Suscitando interesse e solidarietà (S. 798; 912; 1031; 1081; 1215). Senza risparmio di fatiche, sacrifici, ore di sonno perse. Per essere dentro, immerso con tutto sé stesso, nell’Africa.

  • L’immersione del missionario comboniano nell’oggi della missione

    Il tempo trascorre e i mondi cambiano. Le certezze del passato sono superate e i punti fermi sembrano svanire. Ma la testimonianza di Gesù di Nazaret e di Comboni restano i pilastri per un autentica spiritualità missionaria e comboniana che oggi chiede più che mai di tornare alla sorgente. Per essere persone (non certo incredibili) credibili in un mondo confuso che non si fida più di nessuno se non dei testimoni, che vivono quello che dicono pagandone il prezzo. Per radicarsi e incarnarsi laddove ognuno è chiamato a vivere. Nel mondo plurale e globalizzato di oggi servono missionari che, mantenendo una visione d’insieme sul mondo nella sua complessità, si calano in una realtà specifica che diventa la loro casa e la loro terra. Per studiarla, “leggerla” nel profondo, con la sua cultura e storia e innamorarsi (AC 2009, 69.1). Per scoprire i segni dei tempi (AC 2009, 5.7; RV 16) ed essere la risposta di Dio nell’oggi di quel contesto. Per rileggere dal basso gli squilibri del mondo e le ingiustizie globali, con gli occhi di Dio e dei poveri. Per essere presenti con e tra gli ultimi. Al punto da voler andare più a fondo, alla radice, della scelta di solidarietà con i poveri per vivere più vicini e più al livello della nostra gente (AC 2009, 5.4c), in strutture semplici (AC 2009, 70.1). Presenze di comunità nuove, inserite con radicalità ai margini (RV 29.3) per ridurre il divario che ci separa attraverso la conoscenza della lingua, la cultura, gli usi e costumi e la storia (AC 2009, 7.4). Smantellando barriere fisiche o relazionali per difendere privilegi, ruoli o status che sono uno schiaffo all’uguaglianza e al Vangelo che invita a prendere l’ultimo posto (Lc 14,10). Con uno stile di vita profondamente rinnovato per una più autentica testimonianza evangelica (AC 2009, 153). Capace di autolimitarsi nell’uso dei beni (AC 2009, 154) in modo da essere testimoni credibili del Vangelo (AC 2009, 57.1) e di quel Gesù di Nazaret che ha invitato i suoi ad andare poveri sulle strade della missione (Lc 10,4).
    E’ un nuovo battesimo comboniano quello di cui abbiamo profondamente bisogno per lasciarci immergere senza paura e osare il nuovo di Dio che è sempre rischio e scommessa. Ma chi si fida sperimenta già nell’oggi quel fermento della trasformazione della Chiesa e della società che in tanti sognano e che il Vangelo invita con coraggio ad assumere per la costruzione del Regno di Giustizia e Pace.

  • Conclusione

    Si scrive Inserzione e si legge conversione. E’ cambio di rotta nella nostra vita e nel modo di intendere e vivere la missione. Vuol dire re-innamorarsi e lasciarsi trasformare. Osare quell’inaudito tanto caro al Comboni che non si accontentava di restare al di qua della frontiera. Ecco perché è parola scomoda, che dà fastidio. Perché vuol dire provare ad amare davvero. Con tutti i limiti e le fragilità che abbiamo. Ma è pur sempre un tentativo dettato dallo Spirito che non ci vuole installati, seduti o appagati. Inserzione é battesimo di sangue. E’ la nostra pasqua: passione, morte, resurrezione. Dentro una nuova cultura e una nuova situazione di esclusione e di marginalità che ci viene chiesto di prenderci a cuore. E di scendere il più possibile vicino alla vita degli ultimi. Trasformazione radicale della missione e del missionario. Chiamati a rinascere.

    A oltre due anni dal documento “ Missione ai Margini” firmato da 200 missionari comboniani è urgente riprendere il dibattito, lo scambio di esperienze, i sogni e le attese per una missione rinnovata e inserita. Da allora diverse richieste del documento sono state accolte dal Capitolo Comboniano del 2009 ma è come se il fermento della riflessione comune e della condivisione si siano poco a poco affievoliti. Apriamoci allora a tutti i missionari, laici e religiosi, donne e uomini, giovani e “sperimentati” di diverse ispirazioni ed esperienze, che sentono il desiderio di una prossimità più forte con i poveri. Non lasciamo spegnere la speranza e l’entusiasmo per il sogno di presenze diverse che interrogano, provocano e scuotono noi stessi e gli altri. Il mondo e la Chiesa hanno oggi un bisogno matto di matti che si mettano dietro all’uomo di Nazaret immersi con i poveri senza risparmio. Come chi, senza paura, va a vivere in baraccopoli, favelas, nei quartieri poveri delle metropoli, con i nomadi, gli immigrati, nei campi-rom, nei campi profughi, nei villaggi dei popoli originari dell’Africa e dell’America Latina. O chi, non potendo per ragioni di età, salute o altro, sceglie di immergersi con coraggio dentro una precisa realtà con tutto quello che è e che può.

Torniamo a pensarci insieme, a raccontarci, a provarci ancora.

p. Filo

(Missionario comboniano in Ciad)

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