"Guarite
gli infermi" (Mt.
10, 8)
La
frontiera è fuori del tempio. La frontiera è un luogo esposto.
E’ il luogo degli arrivi e delle partenze. E’ il luogo
dell'imprevisto, dell'inedito. E’ il luogo dell'originale. E’
il luogo dell'uomo sempre nuovo e sempre in attesa di una patria.
Ma
è anche il luogo di Cristo. Non si può pensare qualcosa di più
urgente e di più precario della Capanna della sua nascita.
Nella
tradizione ebraica si racconta di Rabbì Jochanan che prevedendo
la distruzione del tempio, nel 68, porta fuori Gerusalemme, in un
luogo più sicuro, "ciò che si doveva conservare per il
bene dell'umanità e ciò che si doveva abbandonare per conservare
il Tutto". Era, infatti, un uomo il Rabbì che sapeva
leggere i segni dei tempi, ma in questi segni non vedeva soltanto
la storia, bensì la misteriosa volontà di Dio, che egli era
abituato a praticare con tutta la sua vita.
Un
giorno Rabbì Jochanan andò a vedere il tempio ormai distrutto e
trovò a piangere sulle rovine Rabbì Joshuà. "Guai a
noi, ripeteva questi, perchè è stato distrutto questo luogo dove
si faceva espiazione per i peccati di Israele". Rabbì
Jochanan lo confortò: "No, figlio mio, non sai che noi
abbiamo un mezzo per fare espiazione più grande di questo? Qual
è? Le opere di misericordia, perchè io voglio misericordia e non
sacrificio" (Os. 6, 6).
Anche
il grande tempio della cristianità tradizionale è ormai
distrutto. I grandi riti che ancora si compiono non servono più a
dare al mondo intero una buona coscienza. E' necessario che la
Chiesa porti fuori del tempio ciò che deve essere salvato per il
bene dell'uomo d'oggi.
Dal
Concilio è stata chiamata all'aggiornamento, alla concezione
della Parola di Dio come contemporaneità e non come lettera, come
Spirito Santo e non come codificazione dottrinale.
Il
vitello d'oro di una ortodossia fine a se stessa ha ricevuto nella
Chiesa molti sacrifici, ha umiliato molti cuori, ha mortificato la
missione con le diplomazie più ingegnose e ha reso la stessa
Chiesa impedita in un dialogo e in un servizio fiduciali verso
tutto il mondo degli uomini.
Anche
per ciò che concerne l'ecumenismo è indispensabile capire,
sull’"ut unum sint" di Cristo, che la comunione
è qualcosa di più vasto e di più vero delle proprie certezze e
delle proprie pur legittime chiese. Si possono accogliere il
pluralismo e le opinioni all'interno di un'unica comunione di
fede, pur riconoscendo la necessità di una sola prassi che è
quella dell'amore per tutti gli uomini e della cura della loro
salvezza.
Per
tanti secoli la Chiesa ha voluto essere un grande fatto politico e
un grande organismo giuridico. La Chiesa, invece, è
l'incarnazione di Cristo che fa la storia nuova. E' quindi, una
presenza viva ed affascinante, un impulso irresistibile di libertà
e di amore, un'esperienza concreta di redenzione di ogni cosa
della terra. Il fatto politico e l'organismo giuridico, pur
indispensabili nella societas umana, sono, però, secondari. Hanno
il ruolo di strumento. Supporto generoso alla libertà dello
Spirito Santo.
I
documenti magisteriali sono sempre definitivi, ma danno
talora l'impressione di non fare spazio alla originalità dello
Spirito Santo che "spira dove vuole".
Inculturare
la fede significa anzitutto credere nell'uomo, credere nel
popolo, fino a riscoprire in loro il volto di Cristo. Credere
fino a constatare che lo Spirito ti attende nella casa di Cornelio
il pagano e ti chiede di lasciare la tua legge per fare spazio
alla tua vita di incirconciso (cf. At. 10).
Probabilmente
il missionario non deve mettere l'incarnazione di Dio nell'uomo,
ma deve ricavarla da ogni uomo, che è amato da Dio: "Ha
amato me ha dato se stesso a me". Deve renderla aperta e
visibile a benificio di tutti gli uomini.
"Oportet
complerì..." (R.
Mi. 37) dirà Giovanni Paolo II: Gesù viene integrato nella fede
e nella cultura di ogni uomo.
Credere
alla gente significa riconoscere che Dio "nascosto queste
cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai
piccoli" (Lc. 10, 21).
Per
questa verità Gesù fa Eucarestia: "Ti ringrazio, o
Padre".
Del
resto, quanto interessa a Dio che tu gli dica di aver scoperto la
sua vita intima, se egli è uno oppure trino, e di aver indovinato
pure il suo piano sulla storia. Gli interessa soltanto che tu lo
ami e ti adoperi per la tua salvezza.
La
Chiesa, pertanto, deve riconoscersi la missionaria di Cristo, in
grado di costruire il mondo nuovo, perchè lo ama con l'amore del
Padre, ed ha il potere di dare la sua vita per esso. E' una Chiesa
che opera la confluenza conviviale di unità e di diversità, di
vita e di missione. Elabora quella cultura nuova nella quale il
mistero dell'uomo e la sua verità integra sono riconosciuti come
il fondamento di ogni ordine sociale economico, politico,
educativo. E' una Chiesa che libera l'uomo perchè può
testimoniare a tutti la misericordia infinita del Padre per
l'uomo.
Con
il Vaticano II la Chiesa si rende conto che il cuore della
predicazione è il Regno di Dio.
Questo
significa che la storia umana:
-
deve essere trasformata in storia della salvezza, cioè nella
storia della Riconciliazione degli uomini con il Padre e degli
uomini fra loro;
-
il senso e il fine della storia è la Pace, e il contenuto
della pace è la Giustizia.
La
denuncia della intollerabile povertà di certe categorie sociali
non è sufficiente. E’ necessario che la Chiesa difenda i
diritti e le attese dei poveri e dei bisognosi, intervenendo
nelle forme più attente ed efficaci.
Ed
è necessario che vengano preparati nuovi discepoli, i
quali devono essere impegnati su programmi di spiritualità
della Responsabilità e devono testimoniare la coscienza e la
passione della liberazione del prossimo.
"Gesù
è venuto a salvare ciò che era perduto".
E manda i suoi discepoli affinchè "impongano le mani ai
malati e questi guariranno" (Mc. 16, 18).
Dà
anche il comando: "Guarite gli infermi" (Mt.
10, 8).
La
Chiesa, pertanto, come il Samaritano Buono non può accontentarsi
di essere presente al sofferente, ma deve curarlo. Deve provvedere
a lui fino a ridargli la salute. La Chiesa non può esimersi
dall’uomo. E l’uomo è sempre la frontiera del bisogno. Le
emergenze del bisogno sono continue e la Chiesa entra in queste
realtà portando la liberazione.
Ogni
focolaio di guerra verrà spento, se tutti gli episcopati del
mondo, se tutte le Chiese faranno opinione pubblica e di
esecrazione verso la guerra e faranno pressione sui governi e sui
popoli perchè desistano dalla violenza. I colonialismi di ogni
genere devono essere continuamente segnalati e condannati dalle
Chiese.
Le
oppressioni dei popoli devono poter riconoscere nella Chiesa il
baluardo della difesa contro l'abuso dei prepotenti. Ci deve
essere una pastorale della immigrazione perchè il bisognoso di
altre terre venga accolto come cittadino e come parente. I
bisognosi più trascurati, come i carcerati, troveranno in tutta
la Chiesa la tutela dei loro diritti.
Gli
uomini di Chiesa sono testimoni affidabili come annunciatori della
salvezza eterna solo se si presentano servitori della salvezza
civile di ogni uomo, fino al sacrificio della propria vita.
"Pace
a voi" (Gv.
20, 19)
Un
unico scopo della storia. La Pace
Gesù
è colui che porta a compimento tutta l'attesa messianica, perchè
viene a portare agli uomini la pace (cf. Lc. 1, 70). E
dichiara "figli di Dio... gli operatori di pace"
(Mt. 5, 8).
Le
condizioni di ingiustizia in alcune zone del globo sono, invece,
talmente violente e pervasive da far ritenere necessaria la
rivoluzione per cambiare le cose.
Che
Guevara, che pur pensava essere gli ideali d’umanità e mai la
violenza a fare la storia nuova, ripeteva anche che in certi casi
di derelizione: "non sarà mai possibile cambiare nulla,
senza una rivoluzione, senza l’uso delle armi".
E'
vero, Arafat è giunto a concordare una pace tra i suoi
palestinesi e gli israeliani con l'uso insistente ed accorto della
guerriglia.
Ritengo,
tuttavia, che il comportamento non violento sia ancora oggi
l'unico deterrente contro ogni forma di sopraffazione. S.
Francesco ha dimostrato che si può incontrare anche il diavolo,
tale era considerato ai suoi tempi il sultano, "sine armis
et sine argumentis philosophicis - senza armi e senza
ideologie" e fraternizzare con lui, mediante l’amore di
Cristo.
Soltanto
"vincendo il male con il bene" (Rm. 12,
21) si può fare la pace.
Soltanto
vincendo la guerra con la pace si potrà costruire il Regno di
Dio, Regno di giustizia e di pace.
E’
infinitamente più uomo l’inerme giovane, che mette sulla piazza
Tienanmen lo splendore della sua anima, dei soldati che con i
pesanti carriarmati tentano di sopprimerlo.
Il
mondo, in verità, ha ritrovato una visione planetaria del suo
destino, il villaggio globale. In esso si può constatare
che tutti gli uomini vivono delle stesse inquietudini, delle
stesse paure e delle stesse speranze.
Nel
villaggio cosmico si dovrà imparare che per fare la pace
bisogna amare e far amare la vita dell’uomo.
Finchè
l’uso delle armi e i gesti di provocazione vengono proposti come
spettacoli seducenti delle alterazioni televisive; finché le
manipolazioni genetiche, le pratiche dell’aborto e
dell'eutanasia vengono legittimate; finchè gli abusi sui minori
vengono tollerati; finché la violenza negli stadi trova consensi;
finchè non si produce la giusta occupazione di tutti coloro che
hanno diritto al lavoro, si manterranno accesi i focolai dei
conflitti.
Eppure,
ogni uomo, oggi, può sillabare le ragioni del proprio stare
insieme in questa "Terra di uomini". E capisce
che, soltanto, la solidarietà è valore di vita.
Le
testimonianze della pace
Per
primi i sofisti greci, come Ippia di Elide e Antifonte di Atene,
aprono il dibattito sul rapporto tra natura e civiltà ed
affermano che è la civiltà a dividere gli uomini che per natura
si ritrovano fratelli. Saranno poi gli stoici ad affermare che
l’uso della ragione rende tutti gli uomini uguali. La città
degli uomini, pertanto è una sola, senza classi, senza frontiere
e senza guerre. La pax romana della città universale sembra
concretizzare queste intuizioni di persone illuminate. Ma Roma, di
fatto, sarà maestra nell’arte della guerra.
La
grande obiezione di coscienza contro la guerra verrà presentata
dal Cristianesimo.
Sant’Ireneo
può scrivere: "Gli uomini non pensano più a battersi, ma
tendono l'altra guancia quando sono schiaffeggiati".
L’obiezione
viene meno quando la Chiesa diventa apparato ideologico del potere
e nasce l’idea della guerra santa. L’epopea di questo strano
ideale sono le crociate.
Oggi,
al di là di tutte le questioni morali che l'uso della violenza
comporta, un nuovo modo di pensare è richiesto dalla situazione
di incombente catastrofe.
La
Costituzione italiana ripudia la guerra "come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali" (art. 11).
Anche
l’Onu è l'istituto nuovo che deve difendere la pace tra i
popoli. Ma la pace è sempre minacciata dalla corsa agli
armamenti, dalla proliferazione nucleare, dalla manipolazione
ideologica, dai focolai locali di guerra.
E’
essenziale un cambiamento qualitativo di mentalità e di pratica
politica. Il comune imperativo morale della non violenza deve
rendere operante una comune strategia di pace. Il Mahatma Gandhi
scrive: "Io cerco di spuntare completamente la spada del
tiranno, non urtandola con un acciaio meglio affilato, ma
ingannando la sua attesa di vedermi offrirgli una resistenza
fisica. Troverà in me una resistenza dell'anima, che sfuggirà
alla sua stretta".
Nel
nostro tempo, le grandi testimonianze di Martin Luther King, di
Aldo Capitini, di Papa Giovanni, di Lorenzo Milani, di Giorgio La
Pira, di Ernesto Balducci, di don Tonino Bello sono non soltanto
esemplari, ma programmatiche.
Come
donare il diritto di cittadinanza a una non violenza attiva, che
diventi una reale strategia di pace? L’avvenire non è della
violenza. Ma come metter ein movimento tutte le energie dell'amore
e della verità?
Il
Vangelo insegna che la rassegnazione all'ineluttabile non è
cristiana. C'è sempre l’avvenire dell’uomo. E non ci si può
fermare in soluzioni che rischiano di imprigionarci.
La
fede fonda una visione dell’uomo e della storia, lontana da ogni
forma di violenza fisica e morale, nel mistero della misericordia
e della risurrezione di Cristo.
Il
Concilio Ecumenico della pace
La
Chiesa, in epoche passate, sembrava premurosa più della propria
affermazione che non dei diritti dell’uomo. Dopo il Vaticano II,
una nuova presa di coscienza del Vangelo le permette di
comprendere che o è attiva testimonianza di amore per la pace e
per tutti i diritti dell'uomo o rimane una copertura religiosa
degli interessi di parte.
L’impegno
per la pace è, oggi, per la Chiesa, il cammino che le permette di
seguire il Cristo, sotto l’impulso dello Spirito. La
riconciliazione è un atteggiamento che dona alla Chiesa e al
credente la possibilità di rendere ragione della sua speranza (cf.
Pt. 3, 15).
La
Chiesa è artigiana della pace, non solo della pace dei cuori, ma
anche della pace che passa attraverso l’azione politica. Deve
pregare per la pace, ma anche difendere l’uomo dal dominio
incontrollato delle istituzioni e delle corporazioni, che
rischiano di renderlo puro strumento della loro volontà di
potenza. Deve intervenire per allargare gli ordinamenti
democratici che esprimono la sovranità popolare per rendere
attiva sempre la libertà personale. Deve difendere
l’uguaglianza tra gli uomini, impedire lo sfruttamento di una
classe su un’altra, di un popolo su un altro e combattere
apertamente l'onnipotenza del capitale e del profitto, della mafia
e della camorra. Deve denunciare quelle scelte politiche e
militari che ancora concedono una corsa agli armamenti e provocare
un disarmo progressivo. Deve sostenere il rischio di proposte
soltanto generose da parte di movimenti, che rifiutano ogni genere
di armamenti e chiedono che il capitale corrispondente venga usato
per lo sviluppo dei Paesi più poveri. Deve farsi maestra di
quelle forze libere che propongono centri di studio per elaborare
altri sistemi di difesa, come la difesa civile e altri mezzi di
difesa non violenta. Deve solidarizzare con coloro che pongono
gesti di doverosa protesta: obiezione di coscienza, marce per la
pace, giudizi di illegalità per le spese militari.
Deve
combattere l’autoritarismo, lo spirito di competizione, la
chiusura ideologica. L’esaltazione dei condottieri, il disprezzo
per i vinti, il culto della razza, la magnificenza della patria,
l’eurocentrismo non sono certamente elementi che rendono maturo
e idoneo l’uomo del villaggio globale.
L’educazione
alla pace è addestramento al dialogo volenteroso per quanto
difficile, è fiducia nella ragione dell’incontro e della
relazione, è stimolo ad accettare nella propria comunità il
diverso, il subnormale, il ribelle.
L’educazione
alla pace è diffondere la fiducia nella prossimità e nella
socialità di ogni uomo.
Si
fa la pace soltanto mediante la fede nell’uomo.
Grande
è il Sogno che la Chiesa Cattolica prenda l’iniziativa di un
Concilio Ecumenico della Pace con tutte le chiese del mondo. E’
il sogno di Isaia ed è l'incarnazione di Cristo: la pace fra le
chiese e la pace fra i popoli.
La
pace è la biografia del Regno di Dio
La
pace è l’unico credito che si può dare alla vita. Si vive
nella ricerca della vita migliore, offerta solo dalla pace.
Ma
la pace non esiste se l’uomo non la fa. La pace è sempre
sollevata sulla croce, perché l'uomo per farla deve liberarsi da
tutte le logiche dei propri interessi e da tutte le seduzioni dei
beni temporanei. La pace non è soltanto assenza dei conflitti, ma
è la costruzione della giustizia. E’ il sacrificio ed è la
gioia dell'uomo. Infatti essa è riconoscere l'uomo come il
capitale più prezioso e vivere per amarlo e per salvarlo.
Gesù
Cristo ha fondato la Chiesa quale sacramento di pace per tutti gli
uomini dei cinque continenti. Egli è la misericordia del Padre.
E’ colui che dona la sua vita. E’ Eucarestia, pane spezzato e
sangue versato, per la salvezza di tutti gli uomini.
Anche
oggi la Chiesa fa la pace, mediante un senso di venerazione per
l’uomo del nostro tempo. Lascia l’euforia altezzosa della sua
dottrina e delle sue conquiste sociali, per rintracciare
confidenzialmente l’uomo. Non vuole i formalismi protocollari e
le scontate liturgie e cerca la comunione semplice e immediata.
Non vuole apparire grande, ma essere benedizione. Sa che "il
Regno di Dio non attira l’attenzione" (Lc. 17,
21), perché è il cuore stesso di ogni uomo.
Non
difende una dottrina ma ordina un servizio solerte e nascosto. Ha
l’urgenza dell’amore.
Rinuncia
alla sacralità autoritaria nei confronti degli smarrimenti di
ogni uomo. L’uomo è l’essere misero, che conosce il dolore
della sua miseria. Ed ha bisogno sempre di un padre e non di un
dominatore. Si rivolge alla Chiesa Mater et magistra:
educatrice di umanità, ma, soprattutto, madre "che prende
in braccio il suo bambino, ricordandosi della sua
misericordia" (Lc. 1, 54).
La
Chiesa è chiamata ad essere una Chiesa di popolo, una Chiesa
dei poveri. Respinge il primato della morale sull’etica.
Preferisce, cioè, la responsabilità delle coscienze, la
sofferenza delle scelte personali, alle obbedienze istituzionali.
Abdica
alla potentia ed agli istituti del dominio per riprendere
la regalitas, che è la carità, la capacità di amare
l’uomo quanto lo ama Dio. Ed è compiacenza per tutti gli
sforzi, che l’uomo compie per rendere vera e grande la sua
storia.
Non
intende più accompagnare con il silenzio o addirittura con il
privilegio i farisei di tutte le società ed i "mercanti del
tempio". Non è referendaria di nessun partito e di nessuna
classe politica, ma trasparenza d'umanità.
La
sua visuale religiosa non sarà prevalentemente protettiva,
consolatoria, sacrale, emotiva, ma diventerà sorgente di una fede
adulta, matura e missionaria.
Storicamente
la Chiesa non ha avuto sempre questa fisionomia. Ma deve
riprendersi e praticare le beatitudini. Solo le
beatitudini fanno la pace. E solo la pace è la salvezza
dell’uomo e del mondo.
La
pace è il Regno di Dio che il Vangelo e la Chiesa devono
continuamente costruire.
La
fede in Cristo è estesa quanto l’uomo.
Non
è ammissibile, infatti, che l’Incarnazione venga riservata ad
alcune persone privilegiate. Ciò significherebbe mortificare
l’amore del Padre. L'amore del Padre è patrimonio di tutta
l’umanità.
Non
c'è più Figlio di Dio senza essere Figlio dell’uomo. Non c’è
più Figlio dell'uomo senza essere Figlio di Dio.
Il
Vangelo è, appunto, la notizia sorprendente e gioiosa, che rivela
a tutti gli uomini la loro capacità di diventare fratelli. Tutta
la dinamica del Regno di Dio si ritrova nell’impulso
dell’umanità unita di incontrare il Padre Nostro, nella "remissione
dei debiti dei fratelli".
L'uomo
di tutti i meridiani e di tutti i paralleli è sempre il fratello
che fa la pace.
"La
pace non si gode, si crea":
è la giusta indicazione di Paolo VI.
Giovanni
Paolo II è divenuto un archetipo di civiltà, perchè è
riuscito, negli incontri di Assisi, a mettere in comunione le
grandi religioni, per assicurare a tutti gli abitanti della terra
la Provvidenza del Padre: "Dice il Signore: Pace ai
lontani, pace ai vicini; io li guarirò" (Is. 57,
19). I discepoli del Risorto vengono trasfigurati nella sua pace: "Pace
a voi" (Gv. 20, 19-20). La loro missione: "abbiate
come calzature ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della
pace" (Ef. 6, 15).
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