Coincidenze, ovvero le gioie dei poveri
COINCIDENZE.
OVVERO: LE GIOIE
DEI POVERI
Quella
notte ero salito su di un vagone di seconda classe.
Con
i pochi viaggiatori che imbarcava e con i tanti scompartimenti vuoti a
disposizione, quel treno per Roma era molto comodo per me, soprattutto quando,
non avendo avuto tempo per prepararmi di giorno, ero costretto a studiare di
notte.
Quella
volta, poi, ero particolarmente preoccupato. La mattina seguente avrei dovuto
tenere la relazione di fondo in un convegno importante, e contavo proprio su
quelle otto ore di viaggio per organizzare il mio discorso.
Mi
ero già sistemato in uno scompartimento vuoto e avevo appena tirato le tendine,
dopo aver sparpagliato sui sedili libri e riviste, quando sentii scorrere il
portello, ed un signore sulla trentina mi chiese con un sorriso: “Scusi, lei
non è il Vescovo di Molfetta?”.
Non
feci in tempo ad accennargli di si, che replicò soddisfatto: “Che bella
fortuna! Ora vengo qui da lei e cosi, chiacchierando, la notte passerà in un
baleno”.
Pensavo
che la freddezza con cui mostrai di accogliere la sua proposta lo avrebbe
scoraggiato. Ma quello, nonostante il fastidio che mi si leggeva chiarissimo in
faccia, dopo qualche minuto fece irruzione nel mio rifugio con due pesanti
valigie, e io fui costretto a ritirare gli appunti sparsi qua e la sui sedili di
velluto, in attesa, speravo, che il mio importuno interlocutore si potesse
addormentare.
Attacco
subito il discorso, dopo essersi seduto difronte a me.
Parlava
a ruota libera e, benché, io gli replicassi con monosillabi amari, dilagava
come un fiume in piena.
Mi
disse che era un marittimo, e che andava a raggiungere la sua nave ancorata a
Livorno. Era scappato a casa per due giorni, poiché la più grande delle sue
bambine aveva fatto la prima comunione. Mi fece vedere le foto di famiglia, mi
spiava lÂ’espressione del viso, e pretese il mio giudizio perfino sulla
bellezza di sua moglie. Mi confidò che le voleva un bene da morire, che quando
poteva le telefonava ogni sera, anche dallÂ’Australia, e che, nonostante le
mille seduzioni di tutte le città portuali del mondo, non l’aveva mai
tradita.
Chiusi
i libri e mi misi ad ascoltarlo: cominciava ad interessarmi.
Non
aveva certo unÂ’aria bigotta. Parlava con incredibile naturalezza di donne, di
attrici, di moda, di calcio, di politica, di musica rockÂ… passando da un
argomento allÂ’altro senza forzature con una straordinaria carica di simpatia.
Crepitavano
nelle sue parole sarmenti di antichi focolari.
Mi
disse che amava la vita. Che lÂ’unico rimpianto era quello di aver scelto un
mestiere cosi triste che lo teneva otto mesi su dodici lontano dalla famiglia.
Ma che doveva ancora continuare per qualche anno, se il Signore gli dava salute,
perché si era comprato un appartamento delle case popolari e doveva finire di
pagarlo. Che anzi aveva intenzione di acquistare un campicello per camparsi la
vita. Che lui non ci teneva ad arricchirsi dopo che aveva visto la miseria
dell’Africa sui cui porti sbarcava spesso con la nave. E che la ricchezza più
grande è la salute. E che non c’è nessuna cosa al mondo che possa darti
tanta gioia quanto lÂ’amore della tua donna, la buona riuscita dei figli, e una
partita a carte in casa con gli amici nelle sere dÂ’inverno.
Il
treno cadenzava i ritmi del mio interlocutore, e io mi andavo chiedendo se il
soprassalto di tenerezza che provavo nellÂ’ascoltarlo derivava dal ridestarsi
di archetipi sepolti ormai nella mia coscienza, oppure dalla sorpresa di
trovarmi difronte ad un rarissimo esemplare scampato al cataclisma dei consumi,
oppure alla constatazione che nel mondo c’è ancora una economia sommersa di
bontà più estesa di quel che pensi.
Vibrava
nelle sue espressioni la gioia di vivere. Ogni frase grondava di allusioni a
ineffabili letizie di povera gente: lÂ’attesa di sagre paesane straripanti
dÂ’incontri, lÂ’incanto di vigilie natalizie popolate di parentele, la fitta
trama di rapporti umani profumati di solidarietà .
Parlando
dei suoi sacrifici, faceva spesso dellÂ’auto ironia scoppiando a ridere, e gli
occhi gli brillavano, di commozione o di fierezza, quando raccontava della
premura giornaliera con cui sua moglie assisteva una anziana vicina di casa.
Ero
letteralmente assorto nellÂ’ascolto di quel compagno di viaggio, che mi aiutava
a scoprire, nei sotterranei del mio essere, piccole gioie antiche che avevo
rimosso da tempo: sapori verginali di intimità casalinghe, misteri di brividi
nuziali che ti legano alle cose, freschezza di abbandoni allÂ’ala fragile
dellÂ’amicizia.
Mi
andavo chiedendo quale fosse il segreto di quell’esistenza umanamente così
armonica, quando, all’improvviso, mi rivelò: “Io leggo ogni giorno il
Vangelo! Lo faccio sempre ogniqualvolta, durante la navigazione, ho un momento
di libertà ”.
Non
dovetti mostrare di prendere sul serio la sua dichiarazione perché aggiunse:
“Vedo che non crede molto a ciò che le ho detto”. E si alzò a prendere una
valigia che depose pesantemente sulla poltrona. La spalancò ed in cima alla
biancheria, fermato dalla cinghietta, scorsi “Il santo Vangelo di nostro
Signore Gesù Cristo”.
Me
lo porse e io, invece che alla prima, lo sfogliai per caso allÂ’ultima pagina,
su cui, scritte in matita, lessi queste annotazioni: “Finito di leggere la
prima volta il 3 Ottobre 1980 presso lo stretto di GibilterraÂ… finito di
leggere la seconda volta nella baia di SidneyÂ… finito di leggere la quinta
volta…”.
Chi
sa per quale suggestione, mi vennero in mente le parole della Gaudium
et Spes: Le gioie degli uomini dÂ’oggiÂ…dei poveri soprattutto, e di coloro
che soffronoÂ… sono le gioie dei discepoli di Cristo.
Il
Vangelo mi rimase chiuso su quellÂ’ultima pagina.
Ma
dovetti richiuderlo subito: ero giunto a Roma. Anzi, molto più in la di Roma.
Ero giunto in quellÂ’arcana stazione dello spirito, dove il treno delle gioie
dei poveri e il treno delle gioie dei discepoli di Gesù facevano coincidenza. O
meglio coincidevano. Formando lo stesso convoglio verso lÂ’unica direzione del
Regno.
P.S.
la conferenza andò benissimo. Non mi ero mai preparato così!
(Don Tonino Bello
Scrivo a voiÂ… lettere di un Vescovo ai catechisti
pagg.82-84)