Mio Signore e Mio Dio (esercizi spirituali Duomo Milano)
“MIO
SIGNORE E
MIO DIO!” Duomo
di Milano 20
– 21 – 22 novembre 2000 L’INCONTRO
“Venite
e vedrete” (Gv
1,39) Ingresso in
preghiera
Invito al
silenzio Accoglienza della
Parola
(in piedi) Introduzione: "Noi
siamo nella Parola di Dio, essa ci spiega e ci fa esistere. EÂ’ stata la Parola
per prima a rompere il silenzio, a dire il nostro
nome, a dare un progetto
alla nostra vita. È in questa Parola che il
nascere e il morire, l’amare e il donarsi, il lavoro e la società hanno un
senso ultimo e una speranza." (C. M. Martini, "In principio la Parola"). Per questo siamo qui. Per questo desideriamo, in queste
sere, dare spazio a questa Parola: perché parli nuovamente ai nostri cuori
spesso delusi, illumini le nostre menti spesso confuse, consoli le nostre
esistenze spesso smarrite. Siamo stanchi di parole. Desideriamo ascoltare quella
Parola che sola, sappiamo, è in grado di dare speranza al nostro futuro.
L'accogliamo, viva ed efficace, qui in mezzo a noi. L'accogliamo nel silenzio,
nella gratitudine, nell'umiltà di chi vuole sottomettere ad essa la propria
libertà e la propria vita. Processione e
intronizzazione della Parola Luce dei miei passi Nella tua parola noi Luce dei miei passi Dialogo d'inizio
Invitatorio (Salmi
34 e 119) V. Nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito santo. T. Amen. V. Cari giovani,
celebrate con me il Signore. T. TÂ’invoco
con tutto il cuore, Signore, rispondimi! V. Guardate a
Lui e sarete raggianti. T. Luce sul
mio cammino è la tua parola, Signore! V. Gustate e
vedete quanto è buono il Signore T. Nella tua
volontà è la mia gioia! Invocazione dello
Spirito
Rit. Cantato: Vieni,
Spirito Creatore, vieni, vieni (insieme) Dio della luce,
nella notte abbiamo accolto il tuo invito, ed eccoci alla tua presenza: manda il
tuo Spirito Santo su di noi, perché attraverso l'ascolto delle scritture
riceviamo la tua Parola, attraverso la meditazione accresciamo la conoscenza di
te, e attraverso la preghiera contempliamo il volto amato di tuo Figlio Gesù
Cristo, nostro unico Signore. Amen. (dalla liturgia
di Bose) Rit.
(due volte) Tempo dellÂ’ascolto Dal Vangelo secondo Giovanni 1
35 Il giorno dopo
Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando
lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l'agnello di Dio!”. 37
E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù
allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli
risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. 39
Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel
giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Meditazione
Questa sera vogliamo fermarci a riflettere
su di un breve passo di S. Giovanni, dove si racconta la vicenda dei primi due
discepoli che seguirono Gesù. Prima
osservazione: è usuale nell’azione di Dio l’apparente occasionalità di ciò
che accade. Della scena narrataci dallÂ’evangelista si potrebbe dire che tutto
è avvenuto per caso: Giovanni stava “ancora là ” accidentalmente:
non aspettava nessuno in particolare e anche Gesù sembra passare di lì per
caso. Forse questa apparenza di occasionalità è una traccia: indica che ciò
che sta accadendo è un evento “non – nostro”: non siamo stati noi
a pensarlo, né a realizzarlo. Accade: le cose di Dio accadono. È il Suo modo
per insegnarci che si tratta di un dono. Anche i due discepoli hanno udito
casualmente Giovanni che additava Gesù, eppure quella si è rivelata essere la
loro grande occasione. Ciò potrebbe diventare una valida indicazione anche per
la nostra vita: molte cose – magari alcune tra le più importanti – sembrano
capitarci accidentalmente. Non sono costruite da noi: sono dono di Dio. Ho
incontrato di recente due ragazzi che vogliono sposarsi e ho chiesto loro di
raccontarmi come si erano conosciuti: lui mi ha spiegato che un pomeriggio, di
domenica, non sapendo cosa fare, si era recato ad una mostra di formaggio al
consorzio agrario e lì si erano incontrati. Queste occasioni sembrano accadere
fortuitamente: in realtà sono un dono. Giovanni
non era lì per aspettare Gesù ma, non appena lo vede passare, reagisce
fissando lo sguardo su di lui: chi è distratto o ripiegato su se stesso, chi è
chiuso nei suoi piccoli problemi non vede nulla. L’incontro di Gesù è sempre
unÂ’improvvisata: la samaritana al pozzo non si aspettava certo di trovarvelo,
ma l’ha incontrato lì. Per poter vedere bisogna uscire un po’ da noi
stessi, dal nostro piccolo mondo, dalle preoccupazioni immediate. C’è
una seconda osservazione che ritengo importante: questi due discepoli, sentite
le parole di Giovanni, lasciano il loro vecchio maestro e seguono Gesù. Perché?
Erano scontenti di Giovanni? Non è
detto, ma sicuramente hanno visto che in Gesù c’era qualcos’altro, qualcosa
in più. Io penso che la ricchezza dell’incontro con Gesù sia una sorpresa,
un “di più” che non ci si aspettava ma che, una volta compreso, fa
impallidire tutto il resto. Ho conosciuto due giovani sposi che, sebbene
avessero programmato di non avere subito un figlio a causa del mutuo da pagare,
si ritrovarono inaspettatamente con un bambino: furono a tal punto colmi di
gioia da domandarsi come avevano fatto a vivere senza di lui, prima che
arrivasse. Lo stesso accade a proposito dell’incontro con Gesù: non si riesce
più a capire come fosse possibile vivere prima senza di lui. Ogni incontro
richiede anche del coraggio: chi pretende di conoscere Dio senza impegnarsi,
sbaglia: senza impegno non possono esserci incontro, comprensione, gratitudine. Gesù
si volta e, vedendo i due che lo seguono, pone loro una domanda: “che cosa
cercate?”. Domanda che anche noi dovremmo continuare a porci per tutta la
vita, anche se abbiamo già optato per la sequela: non dobbiamo mai smettere di
interrogarci su questo problema. Ma, in realtà , cosa cerchiamo? Cosa ci
aspettiamo? Si tratta di un quesito importante ed
inquietante allo stesso tempo, che ci tiene vivi. Molto spesso cerchiamo troppe cose,
rischiando di finire col non cercare nulla veramente. Bisognerebbe operare un
progetto di ecologia dei desideri: siamo come alberi carichi di rami secondari
secchi, che succhiando la linfa, impediscono ai rami più importanti – i
desideri più profondi – di svilupparsi. Forse ciò accade perché stiamo
seguendo due padroni: vogliamo tener dietro a Gesù, ma non oltre un certo
prezzo, perché c’è un altro signore che ci domina: noi stessi. Infatti, a
volte, dietro alla ricerca di Cristo si nasconde quella del proprio io. Ci sono
anche persone che non cercano affatto, sostenendo di “star bene così”:
rimandano la ricerca ad un futuro non ben precisato, imputando la loro inattivitÃ
allÂ’eccessiva giovinezza e giustificando il rifiuto di qualsiasi impegno serio
con il desiderio di sfruttare nell’immediato tutto ciò di cui sia possibile
godere. Così si finisce con l’avere una vita piena di soprammobili e
cianfrusaglie. Una ricerca che pretende di realizzare troppi sogni non è vera
ricerca; bisogna semplificarsi un poÂ’: le aspirazioni possono essere tante, ma
i desideri essenziali devono essere pochi. Ci sono poi persone che non cercano
perché hanno paura di muoversi, intravedendo che la ricerca conduce a volte là dove non vorrebbero. Oggi è molto diffuso anche
lÂ’atteggiamento impaziente di chi vorrebbe subito capire, vedere, trovare
quando invece Gesù dice: “Venite e vedrete”, esprimendosi con un
futuro che lascia intendere una addestrata capacità di attendere. La vicinanza
a Cristo deve essere continua: solo così lo si conosce ogni giorno; lo si
conosce di nuovo e un po’ più profondamente: non è mai abitudinario
l’incontro con Gesù. Che
cosa cercate? La ricerca giusta potrebbe essere quella della verità di noi
stessi, della nostra vita o – meglio – di ciò che nel mondo realmente
conta, così da costruire la nostra esistenza sulla roccia e non sulla sabbia.
UnÂ’altra domanda di grande importanza sembra oggigiorno particolarmente
affievolita: quella di chi si interroga su come fare per costruire un mondo più
giusto. Oggi questa problematica è appiattita: quasi fossimo stati tutti
clonati dalla mentalità dominante. Ma il quesito fondamentale è ancora un
altro: “chi sei, Signore?”. Certo, è importante chiedersi cosa Dio
vuole che noi facciamo, ma se lo scopo della nostra vita è rimanere incantati
davanti alla bellezza di Dio che ci viene raccontata – resa visibile – da
Gesù Cristo, è la domanda riguardante l’identità di Dio quella che dovrebbe
avere il primato. È questo ciò che intendono esprimere i due discepoli
chiedendo a Gesù dove abitava: volevano sapere chi fosse, volevano conoscerlo e
stare con lui. Quando questo desiderio emerge, tutto il resto della nostra realtÃ
non sparisce, ma viene visto con uno sguardo diverso, da una prospettiva nuova. La
questione potrebbe però trovarsi ancora più in là : di fatto Gesù è giÃ
nostro compagno di strada da sempre, ma spesso non lo ri–conosciamo. Pensiamo
a ciò che accadde ai due discepoli di Emmaus: il Signore era con loro,
ma non se ne rendevano conto: i loro occhi non vedevano e non comprendevano.
Come ha fatto Gesù a farsi riconoscere? In altri termini: è possibile sapere
cosa dobbiamo fare perché i nostri occhi si aprano? Il Signore li ha guariti
dalla loro cecità insegnando loro le scritture – la parola di Dio – che è
sincera. Senza la parola non è possibile riconoscere il Dio che è con noi: ci
passa accanto e non riusciamo a cogliere la sua fisionomia. Gesù si è rivelato
anche quando ha spezzato il pane: l’eucaristia è il cuore dell’incontro col
Cristo e, allo stesso tempo, rappresenta anche il modo in cui egli ha vissuto:
come un pane spezzato. Dunque ci è possibile incontrare il Signore se anche noi
siamo pane spezzato, che non si trattiene, ma si dona; che pensa agli altri e
non solo a se stesso. Il Signore lo si incontra dove si spezza il pane, dove
c’è comunità e carità . Ho
detto che dobbiamo avere il coraggio di conoscere Cristo seriamente e
responsabilmente: nella parola, nel pane spezzato, ma anche – e soprattutto
– nei suoi fratelli più piccoli: sono così numerosi da farci sentire spesso
inermi di fronte alle loro difficoltà . Questo sconforto non deve però essere
considerato come una valida giustificazione dellÂ’atteggiamento di indifferenza
che spesso, purtroppo, anima molti di noi. Non dimentichiamo mai di considerarli
fratelli - non nostri, ma suoi -. Questa è la strada per incontrare
il Signore e per camminare con lui. Poiché siamo in un anno giubilare, devo concludere con una “frase
giubilare”: pochi giorni or sono ne ho sentita una di Don Tonino Bello, il
quale affermava che, secondo lui, le porte sante del Giubileo dovrebbero essere
due: una per entrare nel cuore della Chiesa e unÂ’altra per uscire fuori nel
mondo e incontrare il Signore che cammina sulle strade.
Il silenzio, quando è vuoto, può far paura, o suscitare noia;
quando è carico della parola di Dio, diventa gioia, stupore, meraviglia, lode,
decisione di vita, preghiera e donazione di sé: viviamo dunque questo tempo di
silenzio lasciamo che lo Spirito santo operi in ciascuno di noi. Tempo della
preghiera
invocazioni Rit.: Kyrie,
Kyrie, eleison! (cantato) - Kyrie, Parola
rivelatrice del volto del Padre, eleison. (Rit.) - Kyrie, Parola
vera che illumini l'oscurità delle nostre menti, eleison. (Rit.) - Kyrie, Parola
forte che sostieni la debolezza dei nostri cuori, eleison. (Rit.) - Kyrie, Parola
efficace che rinnovi e risani le nostre esistenze, eleison. (Rit.) - Kyrie, Parola
fedele che sempre vieni a cercarci, eleison. (Rit.) - Kyrie, Parola
amica che ci dona la pace, eleison. (Rit.) Actio Invito –
appello dell’Arcivescovo per il cammino “SENTINELLE DEL MATTINO” Conclusione V. Con le
parole che Gesù ci ha insegnato, affidiamo la nostra vita al Padre che sta nei
cieli e si prende cura del cammino di tutti i suoi figli. T. Padre nostro V. A Colui che
ha il potere di confermarvi secondo il vangelo e il messaggio di Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora e
annunziato mediante le scritture, a Dio che solo è sapiente, per mezzo di Gesù
Cristo, la gloria nei secoli dei secoli. T. Amen V. Fratelli,
state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli
stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con
voi. T. Amen. V. Andiamo in
Pace. T. Nel nome
di Cristo. Canto finale EMMANUEL Dall’orizzonte una grande luce Un grande dono che Dio ci ha fatto e l’umanità è rinnovata, Rit. Siamo qui La morte è uccisa, la
vita ha vinto, Noi debitori del passato È giunta un’era di primavera, II
SERATA – 21 novembre 2000 LA
CHIAMATA “Tu
sei Simone, figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa”
(Gv
1,42) Ingresso in preghiera Invito al
silenzio Accoglienza
della Parola Introduzione La Parola di Dio
sta di fronte a noi come Parola che "chiama". Ad essa rivolgiamo tutta
la nostra attenzione, ad essa apriamo tutto il nostro cuore. Non ci siano in noi
ostacoli alla sua forza; non trovi in noi resistenze. La nostra libertà si
disponga a lasciarsi interpellare e ad essa si abbandoni con fiducia e senza
condizioni. Canto Un padre
vero sei per noi Frutto
d’eterno amore è la vita che mi dai; Padre
dellÂ’universo, tu non mi abbandoni mai; sulle strade che
percorro sei speranza e verità , sei la luce che
mi giuderà . Ma
tu Signore come un Padre sei
Tu
doni ai figli tuoi la libertÃ
di scegliere la
propria strada, la via della
felicità . E se il cammino
oscuro si farà Ed il peccato ci
sorprenderà Eterna fonte di
perdono Sarai per chi
riscoprirà Che un Padre
vero sei per noi. Dialogo d'inizio
Invitatorio (Salmi
105 e 77) V. Nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito santo. T. Amen. V. (Cari
giovani) Lodate il Signore, invocate il suo nome. T. La mia
voce sale a Dio finchè mi ascolti! V. Proclamate
tra i popoli le sue opere. T. Mi vado
ripetendo le tue opere! V. Ricordate le
meraviglie che Egli ha compiute. T. Ricordo le
tue meraviglie di un tempo! Invocazione
dello Spirito: Rit. Cantato: Spiritus
Jesu Christi, Spiritus caritatis, confirmet cor tuum; confirmet cor tuum. (insieme) Dio nostro,
Padre della luce, tu hai inviato nel mondo la tua parola attraverso la legge, i
profeti e i salmi, e negli ultimi tempi hai
voluto che lo stesso tuo Figlio, Parola eterna presso di te, facesse conoscere a
noi te, unico vero Dio: manda ora su di noi lo Spirito Santo, affinché ci dia
un cuore capace di ascolto, tolga il velo ai nostri occhi e ci conduca a tutta
la verità . Te lo chiediamo per Cristo, il Signore nostro benedetto nei secoli
dei secoli. Amen. (dalla liturgia
di Bose) Rit. (due volte) Tempo
dellÂ’ascolto
Dal
Vangelo secondo Giovanni 1,40-51 1
40 Uno dei due che
avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello
di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e
gli disse: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” 42
e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei
Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”. 43
Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò
Filippo e gli disse: “Seguimi”. 44 Filippo era di Betsà ida, la
città di Andrea e di Pietro. 45 Filippo incontrò Natanaèle e gli
disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i
Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. 46 Natanaèle
esclamò: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”. Filippo gli
rispose: “Vieni e vedi”. 47 Gesù intanto, visto Natanaèle che
gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c'è
falsità ”. 48 Natanaèle gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli
rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri
sotto il fico”. 49 Gli replicò Natanaèle: “Rabbì, tu sei il
Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!”. 50 Gli rispose Gesù:
“Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose
maggiori di queste!”. 51 Poi gli disse: “In verità , in veritÃ
vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul
Figlio dell'uomo”. Meditazione
Il passo evangelico proposto
questa sera è la continuazione di quello di ieri. È costituito da tre
quadretti che svolgono il medesimo tema: cominceremo con alcune osservazioni di
superficie per poi passare ad un’analisi più profonda e più globale. Uno dei due discepoli di ieri
sera (i due che, per caso, avevano sentito dire a Giovanni il Battista a
proposito di Gesù - che per caso passava di lì - “Ecco l’agnello di
Dio”) si chiamava Andrea; dell’altro non ci viene detto il nome. Qualcuno
sostiene che lÂ’omissione del nome stia ad indicare che noi tutti siamo
invitati a metterci nei panni del compagno di Andrea. QuestÂ’ultimo, dopo aver
incontrato Gesù, si imbatte in suo fratello Simone (il verbo greco potrebbe
significare sia “andò a cercare” sia “incontrò per caso”.
Mi piace di più la seconda.) e gli racconta quello che gli è capitato: chi
incontra Gesù non può trattenersi dall’annunciarlo. Quando ci accade
qualcosa di bello non riusciamo a fare a meno di renderne partecipi gli altri;
questi ultimi potrebbero crederci o non crederci, ma la loro reazione non
modifica la nostra voglia di raccontare ciò di cui abbiamo fatto esperienza. Nessuno dei discepoli parla di
ciò che ha lasciato: Andrea non ci dice “sapete, ho lasciato il mio
vecchio maestro Giovanni…”: a nessuno interessa quello che abbiamo
lasciato: ciò che importa è quello che abbiamo trovato. “Abbiamo trovato
il Messia”, dice Andrea a Simone, e lo porta da Gesù. Un’osservazione
curiosa: in questo quadretto Simone non parla: si lascia condurre senza dire
nulla, non dialoga con Gesù e, anche quando questi gli cambia il nome, non
reagisce in alcun modo. Secondo quadretto: il giorno
seguente Gesù aveva stabilito di andare in Galilea: strada facendo, s’imbatte
in Filippo. Non aveva scelto deliberatamente di percorrere quella strada per
incontrarlo: lÂ’ha incontrato e basta. Lo incontra e gli propone di seguirlo:
c’è chi si sente chiamato perché ha ricevuto la testimonianza di qualcuno;
c’è chi, invece, è chiamato dal Signore in persona. Così si conclude,
lapidario, il secondo quadretto. Filippo incontra Natanaele e, a
sua volta, gli racconta ciò che ha trovato: “colui
del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe
di Nazaret”. Natanaele è l’unico a porre un’obiezione: “da
Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”.
Di fronte alla chiamata è possibile avere delle obiezioni, e quella di
Natanaele è molto seria: come può il Messia di cui hanno parlato Mosè e i
profeti, il Messia glorioso che deve imprimere al mondo una svolta, essere
questo figlio di falegname? Come può il Messia venire da un paese sconosciuto?
Se Dio si manifesta nel mondo, dovrà scegliere luogo prestigioso, di grande
centralità . Come può provenire da una famiglia senza storia? La novità di Gesù è proprio
questa: Dio è stato un uomo che ha vissuto per 30 anni a Nazaret senza che
nessuno lo conoscesse. Questo significa che Dio è presente anche
nell’anonimato del quotidiano: non c’è solo dove avvengono
miracoli, non solo sulla croce della morte e resurrezione, ma anche nella
vita di ogni giorno. Gli apocrifi, non tollerando questa realtà (sembra
impossibile che un Dio stia 30 anni senza parlare, senza agire, ecc.)
attribuiscono a Gesù una serie di miracoli operati in età infantile. Invece la
grande novità è proprio questa: il figlio di Dio era un uomo comune. Se fosse
stato figlio di un imperatore, anziché di un falegname, non avrebbe suscitato
in noi alcuno stupore: sarebbe stato “dalla parte di sempre”.
L’obiezione di Natanaele diventa ragione della nostra fede: noi crediamo perché
il figlio di Dio si è mostrato così, come figlio di Giuseppe, falegname di
Nazaret. Filippo, di fronte all’obiezione di Natanaele, gli risponde “vieni
e vedi”. Che altro può fare oltre a mostrargli ciò in cui lui stesso
crede? Gesù, nel frattempo, sa già di
Natanaele: è lui che lo ha visto per primo. “Ecco
davvero un Israelita in cui non c'è falsità ”: è la prima volta
che Gesù esprime una qualità di qualcuno. Definisce Natanaele come un uomo in
cui non c’è doppiezza, raggiro o diplomazia: un uomo “tutto d’un
pezzo”, diremmo noi. È una grande lode: questo dovremmo poterlo dire di ogni
cristiano, qualsiasi ruolo egli svolga nella nostra società . Dovremmo essere
uomini sinceri e trasparenti, invece si ha spesso lÂ’impressione di vivere tra
individui che usano la parola più per nascondere che per dire. Natanaele ha
anche la fortuna di ricevere un segno che fa crollare la sua obiezione: “Prima
che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”. Dio
ci conosce da sempre, anche se sembra capitarci davanti allÂ’improvviso.
Parlando
di Gesù, Andrea aveva detto a Simone “Abbiamo trovato il Messia”.
Filippo lo descrive come “colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e
i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret”. Le cose migliori su Gesù,
però, vengono da Natanaele, il discepolo che aveva posto obiezione: “ Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!”. Gesù,
quasi prendendolo in giro: “Perché ti
ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di
queste!”. Ora andiamo un po’ più a
fondo. Abbiamo detto che Andrea e Filippo, dopo aver conosciuto Gesù,
raccontano questa loro esperienza alle persone che incontrano. Potremmo
affermare che ci troviamo di fronte ad un caso di “missionarietà per
contagio”. Credo che questo sia il metodo missionario più incisivo:
trasmettere la fede comunicando le proprie idee, intervenendo laddove si discute
con il proprio parere. Oggi non capita spesso, perché noi programmiamo tutto,
anche la missione: “Vado in Africa a fare il missionario…” E, nel
frattempo, cosa facciamo se incontriamo qualcuno sulla nostra strada? In questo brano tre verbi
ricoprono una particolare importanza: “chiamare”, “seguire” e “vedere”.
“Chiamare” è il verbo
utilizzato dall’evangelista per spiegarci come Gesù si è rivolto a Simone: “ti
chiamerai Cefa”. Certo, Gesù conosce il nome del figlio di Giovanni: Dio
ama gli uomini uno ad uno e li comprende nella loro individualità . Egli però
non si accontenta del nome che abbiamo: ce ne dà un altro. Questo suo
“cambiare il nome” implica un corrispondente mutamento dell’intera
persona: il nome che portiamo, e che ci è stato dato dagli uomini serve
soltanto a farci distinguere dagli altri; Dio ci guarda da un punto di vista
diverso: di noi vede la funzione che abbiamo, il ruolo che ci compete di
svolgere nel suo regno, la vocazione che lui vuole darci. Dio cambia il nome a
tutti, nella misura in cui a ciascuno di noi è affidato un grande incarico, che
occupa il centro della nostra vita. Qual è il nostro incarico? Quale nome ci
daremmo? Come ci piacerebbe che Dio ci chiamasse? Anche Maria,
all’annunciazione si è ritrovata con un altro nome: l’angelo l’ha
chiamata “piena di grazia”, perché l’identità profonda di Maria
consisteva nell’essere segno dell’amore gratuito di Dio. Il secondo verbo era “seguire”.
“Seguire” significa innanzitutto “camminare”,–non si può
seguire nessuno restando fermi– ma indica anche l’azione dell’“andare
dietro a qualcuno”, ricalcando le orme di chi ha già percorso la via. “Seguire”
non significa certo “precedere”. A volte, però, alcuni seguaci
camminano davanti al maestro, pregandolo poi di realizzare i propositi che loro
hanno fatto. Costoro dimenticano che i progetti vengono dal Signore: è lui che
traccia la strada, non noi. Un importante aspetto che caratterizza nella loro
globalità tutti gli uomini che sono “al seguito” di Gesù è il
fatto di ritrovarsi a vivere insieme: non perché lo abbiano appositamente
scelto, ma perché hanno tutti deciso di seguire il medesimo Signore, di fondare
la loro comunità sull’unica sequela. L’ultimo verbo era
“vedere”. “Vieni e vedi”; “ti ho visto quando eri sotto il fico”, ma
anche “Vedrai cose maggiori di queste!”
e, infine, “vedrete il cielo
aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo”. Il
figlio di Dio che è venuto nel mondo ha aperto il cielo. Per vedere Dio non ci
basta guardare in alto: dobbiamo guardare Gesù. Dio
nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato. (Gv 1,18). Proseguendo nella lettura del Vangelo,
emerge chiaramente come i discepoli abbiano compreso in modo sempre più
approfondito l’identità di Gesù, fino alla sua morte e resurrezione,
proseguendo il cammino insieme a lui; hanno capito che era figlio di Dio proprio
perché, sebbene crocifisso, aveva manifestato un amore resistente fino
all’ultimo: non ha usato violenza e ha saputo perdonare. Gesù rende
testimonianza ad un Dio che è amore. Giovanni, terminando il racconto della
morte di Cristo, conclude affermando che tutti
“Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”(Gv 19,37b): la morte in
croce è la più alta espressione dell’amore di un Dio che si spende
completamente per noi. Gesù, parlando alle folle, disse che quando sarebbe
stato innalzato, avrebbe attirato tutti a sé. (Gv 12,32) Cosa c’è nel
crocifisso di così attraente? Di solito gli uomini sono affascinati dalle
cose belle, dalla verità , dall’amore. Il crocifisso è un uomo che muore
amando, espressione di un amore più forte dell’odio che riceve, più intenso
della violenza che subisce. Il figlio di Dio venuto nel mondo non ha voluto
cambiare subito le cose: ha preferito condividere le nostre situazioni
quotidiane, quelle più profonde e più vere: è morto così come muoiono gli
uomini; ha amato ed è stato abbandonato nello stesso modo in cui, spesso,
vengono abbandonati gli uomini che amano; lÂ’amore sembra una scelta perdente:
lui l’ha scelto, e ci è sembrato un perdente. Ha condiviso con l’uomo il
male del mondo, lo scandalo che, così di frequente, anche oggi ci fa persino
dubitare della stessa esistenza di Dio, nella misura in cui la verità non
sempre trionfa. Con la sua vita ci ha insegnato che l’uomo è fatto per amare
ed essere amato. Questa realtà ci attrae e ci spaventa: abbiamo paura di amare
Dio e di amare gli altri uomini, perché comprendiamo che l’amore porta con sé
un rischio grande. Il crocifisso ci dice l’amore può far paura, ma è
l’unica realtà che risorge, vincendo la morte. Ieri sera la domanda chiave era “che
cosa cercate?”. Questa sera ve ne propongo un’altra. Noi apparteniamo al
numero di questi chiamati, se pure in modalità diverse: chiediamo allora al
Signore: “perché hai chiamato me e non altri?”. Forse la risposta
del Signore potrebbe essere: “ti ho chiamato per caso”. Questo
indicherebbe che Dio ci ha invitati liberamente, indipendentemente dai nostri
meriti. Quella che ci è stata donata dall’appello che Dio ha rivolto a noi è
una fortuna grande: tenerla solo per sé significherebbe lasciarla affievolire e
morire, quindi essere contagiosi è d’obbligo. Tempo della
preghiera
Invocazioni Rit. cantato:
Misericordias Domini in aeternum cantabo - "Ti
chiamerai Cefa": Signore Gesù donaci di credere che la tua Parola è
davvero capace di cambiare la nostra vita.(Rit.) - "Seguimi":
Signore Gesù donaci di credere che il fidarci di te è la sorgente della vera
libertà e della vera gioia.(Rit.) - "Io ti ho
visto": Signore Gesù donaci di credere che davvero tu "ci scruti e ci
conosci", che davvero "ti sono note tutte le nostre vie", che
davvero "poni su di noi la tua mano". (Rit.) - "Vedrai
cose maggiori di queste": Signore Gesù donaci di credere che il Tuo Regno
è in mezzo a noi e che la tua Pasqua è la forza che vince il mondo. (Rit.) - "Vedrete
il cielo aperto": Signore Gesù donaci di credere nel futuro che tu prepari
per l'uomo e per ciascuno di noi; donaci di credere nella promessa della Vita
senza fine con te. (Rit.) Padre nostro Actio Ripresa
dell’invito dell’Arcivescovo per il cammino “Sentinelle del Mattino” Congedo
(
Ef 3, 20-21 e 1Ts 5,23-24) V. A Colui che
in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in
Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! T. Amen. V. Il Dio della
pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito,
anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù
Cristo. Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo. T. Amen. V. Andiamo in
pace. Canto finale Jesus
Christ you are my life, Alleluia! III SERATA – 22 novembre 2000 LA
RISPOSTA
“Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu
sei il Santo di Dio” (Gv
6, 69) Ingresso in
preghiera
Invito al
silenzio Accoglienza della
Parola
Introduzione Dare una
risposta coraggiosa alla tua Parola: è questo ciò che tu Signore ci chiedi
questa sera. Da essa abbiamo udito l'immenso amore con cui ci hai creati, ci hai
cercati e salvati. Da essa siamo interpellati a diventare testimoni di questo
annuncio di speranza. Smaschera i nostri alibi, vinci le nostre paure, allarga i
confini del nostro cuore. Donaci, Signore, questa sera di saper dire un "sì"
alla tua Parola, capace di farci comprendere più chiaramente qual è la
vocazione alla quale ci chiami, così da essere un segno di speranza per la
Chiesa e per il mondo. Canto Vivere
con te vicino Vivere con te
vicino è render grazie per questo tempo crescere nel tuo
volere è riconoscere che c’è un progetto: forte come la
trama che unisce i giorni del mondo intero, umile come un
invito che poi sconfigge ogni mia paura. Vivere con te,
Signore, è raccontare di casa in casa cosa ti ho visto
fare per la salvezza dei miei fratelli: pane donato ai
molti perché dia frutto l’amore dato, libero nel tuo
patire, ed è una strada che porta al Padre. Vivere con te
vicino è farti posto nel mio presente; sento, se
incontro il male, che tua è la forza per non lasciare. Ecco, con questa
forza trasformi gli uomini in testimoni: dicono , per me
e per tutti, che questa
attesa si compie adesso! Dialogo d'inizio
Invitatorio (Sal
18 e 31) C. Nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito santo. T. Amen. C. Amate il
Signore, voi tutti suoi santi. T. Ti amo,
Signore, mia forza! C. Siate forti,
riprendete coraggio, voi tutti che sperate nel Signore. T. Tu,
Signore, sei luce alla mia lampada! Invocazione
dello Spirito: Rit. Cantato: Veni
Sancte Spiritus, tui amoris ignem accende. Veni Sancte Spiritus, Veni Sancte
Spiritus (insieme) Signore, noi ti
ringraziamo, perché ci hai riuniti alla tua presenza, per farci ascoltare la
tua Parola: in essa ci riveli il tuo amore e ci fai conoscere la tua volontà .
Manda il tuo Spirito Santo ad
aprire le nostre menti e a guarire i nostri cuori solo così il nostro incontro
con la tua Parola sarà rinnovamento dell'alleanza, e comunione con te e il
Figlio e lo Spirito Santo, Dio benedetto nei secoli dei secoli. Amen, (dalla liturgia
di Bose) Rit. (due volte) Tempo
dellÂ’ascolto
Dal Vangelo secondo Giovanni
6,59-69 6
59 Queste cose
disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao. 60 Molti dei suoi
discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questo linguaggio è duro; chi può
intenderlo?”. 61 Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi
discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: “Questo vi scandalizza? 62
E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? 63 É lo
Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette
sono spirito e vita. 64 Ma vi sono alcuni tra voi che non credono”.
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi
era colui che lo avrebbe tradito. 65 E continuò: “Per questo vi ho
detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio”. 66
Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con
lui. 67 Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete
andarvene?”. 68 Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi
andremo? Tu hai parole di vita eterna; 69 noi abbiamo creduto e
conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Meditazione Durante
la prima serata di questi esercizi spirituali abbiamo meditato sullÂ’incontro
dei discepoli con Gesù; ieri abbiamo considerato il tema della chiamata; questa
sera ci proponiamo di affrontare quello della risposta. Il passo di Vangelo
proclamato è la conclusione del sesto capitolo di Giovanni: l’evangelista ci
dice che a molti dei discepoli il linguaggio di Gesù era sembrato duro. Duro
perché incomprensibile e difficile da realizzare. In che cosa consiste la
difficoltà di quel linguaggio? Che cosa ha detto Gesù di così arduo in questo
brano? Egli ha fatto sostanzialmente due affermazioni, che riguardano la sua
identità : ha detto di essere “il pane
vivo, disceso dal cielo” (gv 6,51) e ha aggiunto “il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (gv 6,51).
Si tratta di due dichiarazioni problematiche. Innanzitutto:
come può egli essere “il pane vivo,
disceso dal cielo” se viene da Nazareth? Noi conosciamo i suoi
genitori: come può dio manifestarsi in una famiglia così povera, umile e
anonima? I suoi discepoli di questo mormoravano. Se il Figlio di dio si fosse
incarnato in un grande palazzo e si fosse manifestato come discendente di un
imperatore, tutto sarebbe stato molto più ovvio, più confacente alla logica
umana, e la sua vicenda non avrebbe suscitato nei discepoli alcuno stupore. Anche
la seconda affermazione di Gesù è difficile: dovremmo essere noi a dare la
vita per dio; in realtà accade esattamente il contrario. Questo rovesciamento
delle parti –un continuo paradosso– suscita scandalo negli increduli e, al
contempo, diventa motivo di gioia nel credente. Ricordiamo tutti la scena della
crocifissione, quando i passanti e i soldati
insultavano Gesù dicendogli di scendere dalla croce e salvarsi. (vd. Mt 27,40;
Mc 15,30; Lc 23,37.39). Un Figlio di dio che salva se stesso non rappresenta una
grande novità : Cristo invece, con la sua morte, ha dimostrato come la veritÃ
di dio consista nell’amarci per primo, nell’essere innanzitutto “per
noi”. Il primato del suo amore sulla nostra risposta profila una veritÃ
teologica di grande consistenza e determina un capovolgimento di prospettiva
difficile da accettare e realizzare nel nostro quotidiano: il fatto che Gesù
abbia donato la sua vita per la salvezza del mondo implica la necessità di un
comportamento analogo da parte di chi, dichiarandosi suo discepolo, lo considera
in tutto un modello di vita. Anche noi siamo chiamati a spendere completamente
la nostra esistenza investendola fino in fondo in qualcuno. Se questo ci sembra
un progetto difficile da attuare, proviamo ad immaginare la situazione opposta:
che senso avrebbe vivere ripiegati su noi stessi? Soltanto lÂ’amore ci realizza
pienamente come individui, anche se ciò comporta la scelta di donarsi,
rischiare, di mettersi a repentaglio. Di nuovo, ciò che scandalizza molti
diventa la ragione stessa per cui noi crediamo e la più alta espressione della
bellezza del nostro dio. Da
allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con
lui.
Forse ci sorprende il fatto che a comportarsi in questo modo siano stati proprio
dei discepoli: persone che lÂ’avevano seguito da vicino considerandolo, fino a
un certo punto, adatto a loro e rispondente ai loro progetti. Persino i
discepoli, trovatisi di fronte ad un uomo che capovolgeva il loro modo di
concepire dio, decidono di tirarsi indietro. Questo significa che nella sequela
non c’è nulla di ovvio o di scontato: a buon ragione Gesù aveva chiesto agli
apostoli del primo giorno che cosa stessero cercando (gv 1,38): seguire il
Figlio di dio significa non presumere mai di essere arrivati, essere sempre
vigilanti, sempre in cammino, sempre consapevoli del nostro bisogno di essere
perdonati da lui: caratteristica fondante della vita “da discepolo” non è
tanto la capacità di camminare sempre e costantemente senza mai deviare, quanto
il coraggio di ricominciare da capo dopo ogni deviazione. LÂ’unica certezza
nella sequela è la fedeltà di Cristo: i discepoli potranno anche abbandonarlo,
ma non verrà mai preclusa loro la possibilità di riprendere il cammino, perché
il suo amore è più ostinato di ogni nostra opposizione. Questo
brano evangelico mette in risalto anche la grande libertà di Gesù: di fronte
al rifiuto dei suoi, egli non scende a compromessi attenuando i toni del suo
discorso, ma si dichiara pronto a rimanere solo, nel caso in cui anche i Dodici
avessero deciso di andarsene. La sua verità non ha prezzo, non è riducibile,
non può essere oggetto di patteggiamento. Da
chi attinge questo coraggio? Da dove trae Gesù una libertà tanto grandiosa da
consentirgli di non avere timore della solitudine? Io penso che questo segreto
ci sia stato rivelato in unÂ’altra affascinante pagina di Vangelo, nella quale
il Cristo risponde ai suoi discepoli – che s’illudevano di averlo capito– “Ecco,
verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto
proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.”
(gv 16,32) Questa é la
radice del coraggio di Gesù: egli può stare solo perché sa di non essere
solo. Potranno abbandonarlo gli uomini, potranno crocifiggerlo e fare di tutto
per convincerlo che la sua verità e inutile. Il Padre sarà sempre con lui.
Questo è anche il segreto della nostra vita: se riusciremo a stare saldi, sarÃ
solo in virtù di un dio che non ci lascia mai soli. L’amore incorruttibile
del Padre é la radice di ogni libertà e di ogni sicurezza. In
questo passo di Vangelo avete anche sentito parlare di “carne” e di
“spirito”. “É lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a
nulla” dice Gesù. Non dobbiamo cadere nell’errore di chi sostiene che
“spirito” sia sinonimo di “anima” e che la parola “carne” indichi
invece la nostra realtà corporale. Questi termini propongono due possibili modi
di essere dell’uomo: vive secondo la carne chi è chiuso in se stesso e
pretende di conquistare – o di inventare– da solo la verità ; vive secondo
lo spirito chi, invece, è aperto ad accogliere la verità che viene da dio.
L’antitesi carne/spirito è il fulcro attorno al quale si snoda –ad
esempio– l’incontro con Nicodemo: egli credeva di aver capito Gesù con le
sue sole forze, con la dottrina della sua teologia di stampo tradizionalistico; “Gli
rispose Gesù: “In verità , in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da
Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è
carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.”
(gv 3,5-6) “Rinascita” è sinonimo di conversione e
rigenerazione: è l’atteggiamento di chi ricomincia da capo. Questo termine ci
ricorda anche che non possiamo rinnovarci autonomamente: nessuno di noi è
venuto al mondo solo con le proprie forze. La vita e la verità sono doni che ci
vengono offerti gratuitamente: chi vive secondo la carne rifiuta la gratuitÃ
pretendendo di realizzarsi senza alcun genere di aiuto; chi vive secondo lo
spirito è aperto a dio, si lascia rigenerare da lui e accoglie la sua veritÃ
anche se questo comporta una modifica dei propri progetti di vita o della stessa
concezione di dio. Gesù ha mostrato ai discepoli un’immagine del Padre ben
diversa da quella che loro si erano costruiti: lÂ’immagine di un dio che
sceglie di dare la vita per il mondo. “Da
allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con
lui”. Ben
diversa è la risposta di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole
di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”
Sembra quasi che i verbi “credere” e “conoscere” siano stati invertiti:
noi di solito pretendiamo di conoscere una realtà per poter professare la
nostra fede in essa. Forse Pietro ci sta dicendo che è possibile comprendere la
bellezza della relazione con dio solo fidandosi. Soltanto vivendo il progetto
cristiano personalmente è possibile coglierne il fascino immenso: chi valuta
dallÂ’esterno i pro e i contro, saggiando il terreno nel timore di muovere il
passo; chi cerca di tenere sempre aperta una via di fuga, una possibilità di
ripensamento, non crederà mai. “Tu
hai parole di vita eterna”. Cosa significa nel Vangelo di Giovanni l’espressione “vita
eterna”? Il riferimento non è alla vita che comincia dopo la morte, ma a
quella che già ora possiamo sperimentare in dio: l’esistenza di chi vive per
amare. Nella prima lettera di Giovanni si dice:
“Noi sappiamo che
siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama
rimane nella morte.” (1gv
3,14). L’esistenza nell’amore è quella “vita eterna” che già ora,
nonostante il nostro peccato, possiamo gustare: è il centuplo che ci è stato
promesso; è la vita che raggiungerà il suo compimento oltre la morte. “Tu
hai parole di vita eterna” Quali parole? Il Vangelo ne è pieno. Se qualcuno mi chiedesse di
sceglierne tre in particolare, indicherei: 1.
La risposta di Gesù a Filippo che voleva vedere il Padre. “Gli
disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”.Gli rispose Gesù:
“Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto
me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?”
(gv 14,8-9) Solo nella vita e nelle parole di Gesù noi troviamo lo
spazio per vedere il padre: solo il figlio ha reso visibile il dio invisibile. 2.
“Gesù
allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: “Se rimanete fedeli
alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi””. (gv 8,31-32) Perché,
in alcune circostanze, potremmo cadere nellÂ’errore di credere che la libertÃ
consista nel fare, di volta in volta, ciò che ci piace e ciò che ci torna
utile. Noi intendiamo la libertà come “libertà di cambiare”; Gesù dice
che la libertà affonda le sue radici nella fedeltà alla parola e alla sequela.
Girovagare senza meta non significa essere liberi. 3.
La terza parola pregnante che voglio ricordarvi è la vicenda
della lavanda dei piedi: questo gesto di umile servizio non ha nascosto
la grandezza di Gesù, ma l’ha messa in risalto. Ancora una volta la
prospettiva divina sul valore dell’umiltà è rovesciata rispetto a quella
umana. (gv 13,2-17) Termino
offrendovi due immagini tratte dal Vangelo di Giovanni: innanzitutto quella
della samaritana, la quale, andando al pozzo per cercare acqua da bere, aveva
come unico scopo la soddisfazione di un bisogno; quando incontra Gesù,
dimentica la brocca –le sue necessità personali– e corre a raccontare ciò
che le era accaduto. La seconda immagine è quella di Tommaso: in fondo é il
discepolo che meglio esprime anche i nostri dubbi: dice di voler vedere e
toccare, per poter credere; quando
Gesù gli compare davanti, però, sembra quasi dimenticarsene: crede in lui ed
esclama la sua professione di fede: “Mio
Signore e mio Dio!”. (gv 20,28) Silenzio Tempo della preghiera Invocazioni Rit. cantato: Il
Signor è la mia forza, e io spero in lui. Il Signor è il salvator. In Lui
confido, non ho timor, in Lui confido, non ho timor.
- Ti affidiamo,
Signore Gesù, le nostre libertà che in queste sere si sono lasciate attirare e
plasmare della forza della tua Parola. (Rit.) - Ti affidiamo,
Signore Gesù, il cammino di tutti i giovani che hanno vissuto la gioia e
responsabilità della giornata mondiale della gioventù. (Rit.) - Ti affidiamo,
Signore Gesù, il cammino di purificazione e di conversione della tua Chiesa in
questo anno di grazia. (Rit.) - Ti affidiamo,
Signore Gesù, tutti gli sforzi che ogni giorno tanti uomini e donne compiono
per edificare un mondo di pace e di giustizia. (Rit.) - Ti affidiamo,
Signore Gesù, il dolore, la sofferenza, lo smarrimento di coloro che la vita ha
provato duramente e l'indifferenza umana non ha saputo sostenere. (Rit.) Padre
nostro Actio Ripresa
dell’invito dell’Arcivescovo per il Cammino “Sentinelle del Mattino” Mandato e
Benedizione
(Sal
78 e 96) C.
Cari giovani, riceverete ora la benedizione con il Libro dei Vangeli. A voi è
affidata la Parola di vita eterna affinché, radicata nei vostri cuori, porti
frutti di rinnovamento e santità . T.
Signore, sia su di noi la tua grazia! C.
Annunciate di giorno in giorno la salvezza del Signore. T.
Ciò che abbiamo udito e conosciuto non lo terremo nascosto, perché lo sappia la generazione futura! C.
A tutte le nazioni dite i suoi prodigi. T.
Diremo le lodi del Signore e le meraviglie che Egli ha compiuto, perché ripongano in Dio la loro fiducia! C.
Il Signore sia con voi. T.
E con il tuo spirito. Kyrie eleison, Kyrie eleison, Kyrie eleison. C.
Vi benedica Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito santo. T.
Amen. C.
Ricevete il Vangelo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. T.
Gloria a Te, Signore, Verbo di Dio! Canto finale Cristo
nostra pace Cristo nostra pace, guida nel
cammino, tu conduci il mondo alla vera libertà , nula temeremo se tu non sarai con noi. Cristo nostra pace, dono di
salvezza, riconciliazione strumento di unità , con il tuo perdono vivremo sempre in te. Cristo Salvatore nostro Redentore, la tua dimora hai posto in mezzo a noi, tu pastore e giuda sei dell’umanità |
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