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Chi impara a pregare impara a vivere

Gim Venegono

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CHI IMPARA A PREGARE IMPARA A VIVERE

 (catechesi Venegono) 

LEVATI I SANDALI

 

“Mosè … togliti i sandali, perché il luogo sul quale stai è terra santa!” (Es 3,5) Mosè si trova davanti al roveto ardente, davanti a Dio. Dio vuole parlargli; Mosè entra in dialogo, in preghiera con Dio. Ma per entrare in preghiera serve prendere degli accorgimenti: occorre levarsi i sandali.

I sandali nella tradizione biblica sono simbolo dellÂ’uomo libero, della dignità, del padrone, di colui che aveva il diritto di camminare nella proprietà terriera, è protezione da sassi e spine, permettono di camminare spediti, senza difficoltà. Questo ci fa prendere coscienzꃨ‡della dignità di cui ci ha riempito Dio, una dignità che ci viene sin dalle origini del mondo: creati a sua immagine (Gen 1). Scoprirsi fatti da Dio, creati da Lui è vedere il bello che Dio ha fattoꃨ‡n me, la dignità di figli di cui siamo dotati. A questo proposito è bene ricordarsi dellÂ’incontro fatto il mese scorso con p. Gaetano che ci ha permesso di conoscerci meglio, di vedere quali dono e potenzialità sono in noi. Allora perché togliersi i sandali per entrare in dialogo con Dio? Perché toglierci questo grande dono?

Mosè si trova davanti a Dio, e nonostante lÂ’amore che Dio porta per lui, deve riconoscere che si trova davanti al Dio creatore del cielo e della terra, e lui è una semplice e piccola creatura, che deve giustamente la sua vita da Lui, non può campare nessuna grandezza e forzꃨ‡ non è lui il “padrone”, né del luogo né della situazione.

Allora in questo caso i sandali ꃨ‡sumono un significato ‘negativoÂ’: è quello di ripararsi, isolarsi dal suolo, prendere distacco; è anche quello di voler camminare da soli, senza dipendere da nessuno, dove e come vogliamo, pretendendo di sapere già la direzione e le scelte da fare.

Levarsi i sandali è riconoscere la necessita di dover SPOGLIARSI e di LASCIARSI CONDURRE. Spogliarsi innanzitutto è togliere tutto quello che mi impedisce di incontrare Dio, tutte le mie corazze, le mie sicurezze che mi fanno essere “arrogante” di fronte a Lui; è voler iniziare lÂ’incontro lasciandomi condurre da Dio e non pretendere di saper già cosa Dio vuole dirmi in quel momento. E qui inizia lÂ’avventura, lasciarsi condurre da Dio. Per fare ciò occorre togliere tutte le precauzioni con cui rischio di entrare nella preghiera, tutti i limiti che vorremmo mettere a Dio perché non ci ‘disturbiÂ’ troppo. Per non essere scomodati nella nostra vita in cui a volte rischiamo di costruirci un bel nido, entriamo in preghiera ben corazzati, a volte non portiamo dei semplici sandali ma addirittura degli scarponi: ci rendono insensibili al terreno su cui camminiamo, schiacciano tutto, sia le asperità, ma anche i fiori. E allora la preghiera diventa sterile, perché non ci lasciamo penetrare dalla ꃨ‡a forza e dalla sua grazia.

Occorre spogliarsi. È vero, ciò può farci un po’ paura, una paura che ci fa coprire la faccia come ha fatto Mosè, che ci scombussola i nostri piani, il nostro camminare tranquillo, non è più tutto liscio come l’olio. Non siamo più rinchiusi nel nostro piccolo acquario, ma siamo messi nel mare, con le sue onde, ma anche con la sua apertura all’infinito e all’incontro, al viaggio nella storia di Dio che diventa la storia mia e dell’uomo. Non siamo più nel nostro acquario in cui l’acqua rischia di diventare stagnante, priva di ossigeno; siamo immessi nella corrente, nel fiume vitale di Dio e del suo Regno. È vero, l’acqua è più fresca, ma ci impedisce di addormentarci, ci stimola ad andare avanti, ad agire, a VIVERE.

 

·        Quali sono i sandali, gli scarponi, le corazze che devo togliermi per entrare veramente in preghiera?

·        Quali sono le paure che ho entrando in preghiera e che mi fanno trovare mille scuse per non pregare? E non pregare veramente?

 

Bene ora posso cominciare a pregꃨ‡e, ma COME PREGARE?

 

 

ALZATI E INVOCA IL TUO DIO!

 

“Che cosÂ’hai così addormentato? Alzati e invoca ilꃨ‡uo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo” (Giona 1,6). È così che si rivolgono i marinai a Giona che se ne stava addormentato in fondo alla stiva. La preghiera dellÂ’uomo nasce da una situazione concreta di vita; è guardando alla sua vita, è vivendo che lÂ’uomo sente la necessità di rivolgersi a Dio.

Ma quanti modi di pregare ci sono?

La preghiera esprime lo stato d’animo dell’orante e la situazione che sta vivendo; quindi ci possono essere preghiera che nascono da una situazione di gioia, di dolore, di rabbia, di gratitudine, di fiducia: la preghiera può diventare perciò una lode, una supplica, un grido, una richiesta, un ringraziamento, un’intercessione.

Non serve chiedersi quale sia laꃨ‡reghiera che è più appropriata in un certo momento della mia vita, dato che essa scaturisce dal cuore come sorgente spontanea. La cosa importante è imparare a pregare con le diverse forme di preghiera per poter sperimentare lÂ’incontro con Dio e i fratelli in tutti momenti della mia e loro vita; fare di tutta la vita una preghiera. Per questo sono necessarie delle attitudini che lo stesso Giona ci mostra.

 

Che cos’hai così addormentato?

Per pregare ci è chiesto di scomodarci, di svegliarci dal nostro torpore, torpore che ci fa vivere la giornata così come viene, senza rendersi conto della presenza di Dio che agisce nella nostra vita o cercando di andare avanti SUBENDO LA VITA, senza poter coglierne le gioie o le sofferenze. PREGARE vuol dire APRIRSI allÂ’incontro, alla comunione, alla realtà, diventare protagonisti della vꃨ‡a perché sia assume in tutta la sua pienezza, con le difficoltà e con le gioie, e si vuole fare ꃨ‡ò con Dio, sentendolo compagno di viaggio, maestro, Signore e consolatore. È quello che aveva fatto Giona: aveva rifiutato lÂ’invito del Signore, la Sua missione e fugge, si chiude di fronte a Dio e di conseguenza si chiude a sé stesso e agli altri; chiara è questa situazione: Giona si ritira nella parte più riposta della nave, cioè si estrania dal mondo e si nasconde da Dio; si corica, cioè non agisce più, ma subisce la realtà che lo circonda, perché non la può percepire pienamente, anzi è tentato di fantasticare, di sognꃨ‡e ad occhi aperti; si addormenta profondamente, cioè si estrania da sé stesso, non è più in relazione nemmeno con sé stesso e perciò non può creare comunione.

 

·        Quali sono le stive della nave dove io mi rifugio per non pregare (iper-attivismo, divertimento in ogni tempo, contare solo sulle proprie forze, Â…)?

Alzati!

Alzarsi è prendere coscienza di sé, dello spazio che ci circonda, delle persone che sono attorno a me, e mi dà la possibilità di interagire. Pregare vuol dire saper guardare, vedere, vedere nella totalità e con la giusta proporzione, per poter assumere nella propria vita. Colui che è in piedi può sollevare tutte quelle persone e quelle realtà che sono ‘a terra’, per dar loro dignità.

Giona si trova sulla barca ed è l’unico che non prega; i mariani che si trovano sulla barca si stupiscono di ciò e gli rivolgono questo imperativo: “Alzati!”; ci rivela la necessità della preghiera nella nostra vita, della sua importanza in ogni circostanza, se ritorniamo ai nostri marinai possiamo dire che ne va della nostra vita, e non solo quando questa è ‘minacciata’ (come lo era per Giona e i suoi compagni), ma in ogni suo aspetto gioioso o triste. Pregare è rendere possibili le parole di Gesù sull’unità tra Dio e i ‘discepoli’, e tra coloro che vogliono seguire il Signore (cfr. Gv 17,11)

 

·        Sono cosciente della forza vitale della preghiera? Della sua necessità per la mia vita? Nella mia preghiera faccio entrare tutta la mia, quella degli altri? So guardare a fondo la mia vita? Ho uno sguardo ampio, o mi fermo nel mio piccolo mondo?

 

e invoca il tuo Dio!

Qui arriva il momento CREATIVO della preghiera, comincio a formularla.

A)    Ci sono vari modi per invocare Dio:

-  la lode: saper vedere lÂ’azione di Dio nella nostra vita, il suo amore e la sua attenzione per noi, per tutti gli uomini e le donne, per il mondo intero; la mia preghiera diventa così un inno di gioia a Dio Padre, creatore e autore di ogni bene. (Sal. 150; 145; 136; 103; Lc 1,46-55.68-79)

-  il ringraziamento: riconoscere i benefici del Signore, il suo amore per noi, la sua tenerezza di madre, la sua forza di liberatore (Sal. 66; 30;116)

-  la supplica: nella prova e nellaꃨ‡ifficoltà, quando si scopre la propria fragilità e incapacità di vivere senza Dio, allora è più facile rivolgersi a Lui e chiedeꃨ‡ aiuto; solo Dio può salvarci (Sal. 6; 69). Quando la difficoltà diventa grande e insopportabile, quando la vita è in pericolo allora la preghiera ꃨ‡venta grido (Sal. 22; 70)

-  lÂ’intercessione: è il momento della “richiesta altrꃨ?stica”, è pregare per il bene degli altri, con cuore aperto e generoso; è la capacità di vedere il fratello e la sorella che mi stanno vicino o coloro che sono lontani, coloro che soffrono, che subiscono lÂ’ingiustizia; è la forza missionaria della preghiera (Gen 18,16-33)

-         la fiducia / speranza: è mettersi nelle mani di Dio, sapendo che Lui agisce, è il Padre, è la Madre che non si dimentica deꃨ‡suoi figli (Sal. 16; 62; 121)

 

·        Qual è la forma di preghiera che usi di più? Cerco nella mia preghiera di uꃨ‡lizzare tutte queste forme?

 

Queste preghiere si possono fare in diversi modi: attraverso la meditazione, il canto, la recitazione.

Recitare, dire la preghiera mi aiuta dialogare con Dio e con i fratelli e le sorelle che stanno attorno a me; parlare ed ascoltare ecco la preghiera che diventa dialogo.

Il canto è forse una delle forme più espressive della preghiera, che coinvolge lo spirito e il corpo, non per niente S. Agostino diceva che chi canta prega due volte; il rischio è di fermarsi al canto, alla bellezza della musica e non farlo diventare preghiera.

La meditazione è il momento privilegiato dellÂ’incontro “faccia a faccia” con Dio, per portare a Lui tutto il mio essere, ma specialmente per ascoltarLo, è lÂ’incontro con la Parola che divꃨ‡ta vita in me.

La preghiera può essere solitaria o con unÂ’assembꃨ?a, un gruppo, una comunità. Ognuna delle due è importante e porta i suoi frutti; per essere efficace deve essere vissuta in prima persona, partecipata.

 

DOMANDE

·        Quanto tempo do alla mia preghiera? Sono costante?

·        Aiuto gli altri a pregare?

·        La preghiera che faccio cambia lꃨ‡mia vita?

 

INTERVISTA SULLA PREGHIERA

fatta ad un fratello anziano

 

Ma é proprio convinto che la preghierꃨ‡sia tutto?

Sì, non dico che la preghiera risolva tutto, ma dico che dalla preghiera deve partire tutto. Senza la preghiera siamo degli stracci! Senza la forza di Dio l'uomo è niente. L'uomo con la forza di Dio è una cosa formidabile.

 

Quando la preghiera diventa arida e difficile, che cosa suggerisce per uscirne? che cosa fa lei?

La preghiera non è una caramella. Bisogna guardarsi dalla ghiottoneria spirituale. Bisogna aspettarsi che venga la lotta. Perché pregare è amare. E si ama soprattutto nel sacrificio. Per questo a volte Dio rende arida la preghiera. Però bisogna fare attenzione alle montature e anche, direi, alle nostre colpe. Qualche volta siamo noi stessi a creare difficoltà alla preghiera. Che cosa faccio nelle aridità? Faccio questo: aspetto che pasꃨ‡no.

 

Ciò che mi blocca nella preghiera é la lontananza di Dio, che cosa fꃨ‡e?

Sì, Dio spesso è lontano. E normale! La preghieraꃨè una prova d'amore, bisogna aver pazienza. Chi non ha pazienza non fa nessun cammino serio nella preghiera. E come andare in montagna, sembra che quella benedetta vetta non arrivi mai, ma con la pazienza arriva. Un passo dopo l'altro si è scalato anche l'Everest. E pazientando, Dio spesso si fa vicino, ci fa gustare i primi frutti della preghiera, cioè la gioia della sua amicizia.

 

Quando ti accorgi che nella preghiera "meni il can per l'aia", che cosa fare?

È semplice! Non menarlo più. Fermati. Mettiti nella calma, cambia posizione, leggi, parla a Dio a voce distinta, canta se puoi. Se sei solo, prega a braccia aperte o prostrati profondamente con la fronte a terra. Ci sono mille modi per fermare la tua superficialità, scegli quello che ti va o quello che hai esperimentato che ti serve di più. E ricomincia con buona volontà.

 

C’è differenza tra "dir preghiere" e pregare?

Sì, la differenza che c'è tra la notte e il giorno, il nero e il bianco, l'acqua e il vino. C'è un abisso. La preghiera non è un gioco di parole, è un rapporto di cuori, è un rapporto di amicizia, pregareꃨ‡ amare. Sì, quando si ama si parla anche, ma l'amore non sta nelle parole va ben oltre.

 

 

Quando ci si imbatte nella propria povertà spirituale senza saperne uscire,ꃨ‡he cosa si può fare?

Nella preghiera ci sono le quattꃨ‡ stagioni: c'è la primavera, l'estate, l'autunno, l'inverno. Che cosa si fa se è inverno? Si aspetta la primavera. Ecco tutto. Ci vuole pazienza. La vita spirituale è pazienza. L'uomo non fa niente di grande senza la pazienza: né nella scienza, né nell'arte, né nell'azione sociale. Tutto ciò che è grande su questa terra è frutto di pazienza.

 

Se mi metto a pregare, mi impantano subito nella mia miseria. E buono? Che cosa dovrei fare per uscire da questa difficoltà?

Sì, è normale. Se preghi, se preghi veramente, devi incontrare te stesso, devi scontrarti con la tua miseria. La cosa più sana è questa: chinare il capo, accettarlo e chiedere perdono sincero a Dio per decidere di partire. Prendi in mano la parabola del fariseo e del pubblicano. Gesù dice che il fariseo si è messo a fare il pavone davanti a Dio; il pubblicano invece si è solo sprofondato nella sua miseria, ha fatto solo un atto di sincerità, niente altro, nemmeno un proposito pratico, solo un atto di schiettezza. Gesù dice "uscì giustificato''.

 

Le distrazioni, per me, sono come uno sciame di mosche, mi devastano tutto: ci sarà un rimedio?

Sì, non perdere la pace. Dalle mosche ci si difende sempre. Ci sono gli insetticidi. un po' di pulizia, una spruzzatina e sei a posto. Anche le distrazioni hanno i loro insetticidi. Eccone alcuni: sii più attivo nella preghiera, leggi la Parola di Dio mettendoci il cuore, lascia le formule e parla a Dio cuore a cuore, scrivi la tua preghiera, canta se puoi, cambia posizione, cambia luogo, cerca una posizione che costi più sacrificio, ecc... Sono tanti i ꃨ‡zzi. L'importante è che lotti, che cammini e non ti sieda sul paracarro ad acchiappare farfalle. Sorveglia anche se il tuo cuore è impantanato nel male. Se c'è questo, allora è un altro affare.

 

Per me sono molto frequenti i momenti di pigrizia in cui la preghiera non mi dice più niente. Lei lo prova anche? Che cosa si può fare?

Se lo provo! Si capisce che lo provo. Chi non prova la pigrizia nella preghiera? Mi sbarra la strada tutti i giorni. Che cosa fare? Se un somaro si mette sul tuo sentiero e non ti lascia passare, prendi un bastone e ti fai dare la via. Lottare bisogna! La preghiera è una prova di amo­re, deve costare! E naturale cheꃨ‡osti: un giorno costa di più, un giorno costa di meno e si tira avanti con naturalezza. Ma non meravigliarti se costa.

 

Come distinguere la pigrizia dalꃨ‡aridità o dalla stanchezza?

Se nonostante l'aridità continuo lo stesso a pregare, alꃨ‡ra sono sicuro che non c'è pigrizia. Sì, certe volte c'è stanchezza o qualche malessere fisico e noi ci inquietiamo pensando che non amiamo più il Signore, che non preghiamo più. Quanto è vero. La cosa che mi aiuta di più è confidare ad un fratello la mia ꃨ‡fficoltà. Sovente solo l'aprirmi è già un rimedio.

 

Trovo tanta soddisfazione a pregare col gruppo, che non sento il bisogno della preghiera individuale.

È pericoloso. La preghiera di gruppo senza la preghiera individuale costituisce un pericolo. La preghiera di gruppo è valida e nutriente se c'è formazione anche alla preghiera individuale. La preghiera di gruppo è più facile, quella individuale più difficile, ma l'una non deve stare senza l’altra. Direi che la preghiera individuale è l’olio della lampada per la preghiera di gruppo; la lampada non fa fiamma se non ha l’olio.

 

Come faccio a capire quando ho pregato e quando non ho pregato?

Si fa così: si guardano i frutti. Se hai pꃨ‡gato vera­mente, qualcosa cambia in te. Almeno questo: vedi di più la tua miseria e ne senti il disagio. E a lungo andare i frutti della preghiera li devi vedere nella tua carità, nella tua fedeltà al dovere e nel distacco dal male. Il famoso "test" che trovo veramente infallibile per togliere le illusioni sulla validità della preghiera lo sanno tutti. ꃨ‡ la preghiera è vera, cresce la carità. Se la preghiera è vera, cresce la fedeltà al dovere. Se la preghiera è vera cresce il distacco dal male.

 

Un a volta i nostri bravi vecchi dicevano: "Chi lavora prega". Di tanto in tanto questa affermazione ricompare anche tra i giovani.

Chi lavora prega se sa pregare, ꃨ‡ se non sa pre­gare, spesso non prega affatto, lavora soltanto. Il lavoro diventa preghiera se c’è la formazione alla preghiera, seꃨ?’è lÂ’intimità con Dio, se preesiste già la preghiera. Guai se lo slogan significa che basta lavorare senza preoccuparsi di pregare.

 

Quando si sente tanta ripugnanza per la preghiera, che valore può avere stare li in una presenza passiva?

È quando la preghiera è dura che ha più valore. Bisogna resistere. Bisogna lottare. Bisogna essere costanti. Sovente Dio ci attende proprio lì. Chi resiste nella preghiera arida dà prova di amore. Non si dica che non serve a niente. A rafforzare almeno la volontà serve di sicuro. Così a rafforzare la fede.

 

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