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Fare causa comune

Gim Roma (ottobre 2003)

Fare causa comune

GIM Roma, Ottobre 2003

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I Domenica GIM : “Fare causa comune”

 

A tutti mi sono fatto tutto, per salvare in ogni modo qualcuno. Tutto faccio per il vangelo, affinché ne divenga compartecipe (I Cor 9, 23)

Si percepisce nell’atteggiamento di Paolo che è in gioco qualcosa di importante, di vitale. E’ come uno tutto indaffarato a predisporsi per qualcosa. Non come quando uno è agitato o nervoso, ma piuttosto come uno che è gioiosamente intento a qualcosa del quale non deve determinare il risultato ma piuttosto condividerne il frutto: faccio tutto per essere partecipe del Vangelo.

Sta accadendo qualcosa nel mondo. (il topo e gli elefanti). Dio salva. Il senso di questa salvezza è anche questo: fare esperienza di gratuità. C’è qualcosa che accade per me e per tutti, senza esclusioni. Comboni parlava del missionario che guarda all’Africa senza “interessi”. E un annuncio che ci tira fuori dalla nostra vecchia mentalità, che implica un modo assolutamente nuovo di vivere, che ti attira e ti trascina in quella direzione dove l’esperienza di gratuità è più naturale: dove vi sono persone che non possono dare o fare nulla, che non vantano diritti o qualità. Ed alle quali è promessa un’esperienza di salvezza.

Questa esperienza non è sempre così evidente. Per riconoscerla ed accoglierla è importante lasciarsi rinnovare nella mente da uno sguardo di fede ed imparare così a rileggere la realtà e la storia con quello sguardo. Per questo facciamo riferimento all’esperienza di Paolo cosi come egli la racconta agli anziani di Efeso convocati a Mileto prima dell’ultimo saluto dell’Apostolo.
Siamo in Atti 20,17 – 21 (continuando poi fino a 36). E’ un discorso di addio con il quale Paolo rilegge la propria storia come storia di salvezza e mette in luce quale è un cammino attraverso il quale impariamo a fare causa comune, ad essere là dove si diventa compartecipi del Vangelo, aperti all’esperienza della gratuità salvifica di Dio.
Paolo innanzitutto non richiama all’attenzione dei suoi compagni una dottrina particolare, ma il suo stesso comportamento, il suo modo di parlare e di agire, di relazionarsi. La salvezza passa per la tua “persona”. E’ il tuo essere profondo che viene rinnovato a reso luminoso. C’è una caratteristica fondamentale in questa luminosità: non l’eccezionalità, l’eroicità o altro, ma piuttosto la continuità nel tempo, la stabilità di atteggiamenti, la consistenza nel quotidiano: voi sapete fin dal primo giorno del mio arrivo… e per tutto il tempo che sono stato con voi come mi sono comportato”. Non si tratta di un episodio, di un gesto profetico… ma propriamente del vivere quotidiano.

Quindi Paolo fa una lettura della propria storia che evidenzia come in essa si sia realizzata la salvezza di Dio. In tal senso considera sia il passato che il presente ed il futuro. E’ importante mettersi in questa prospettiva per disporsi a riconoscere questa salvezza. Puoi avere uno sguardo sulla tua storia che è chiuso nel passato (lamenti, presunti blocchi, complessi etc…), oppure che è frammentato nel presente – vivi alla giornata. Oppure che è tutto proiettato nel futuro ed aspetti sempre qualcosa d’altro o di diverso da quello che già hai e magari non vivi pienamente.
Il desiderio e il coraggio di fare causa comune nascono necessariamente da una visione della storia, tua e del mondo, come progetto e non come frammento. C’è un’opera meraviglioso, nella tua vita e nel mondo, che sta prendendo forma nel tempo. Di questa opera tu sei una parte ineliminabile.

Paolo guarda, dunque, innanzitutto al suo passato: voi sapete come mi sono comportato all’inizio (v 18). Cosa ha fatto Paolo? Come ha servito? Come ha vissuto la sua quotidianità? Paolo dice innanzitutto una cosa semplicissima: ho servito il Signore. Non una causa, una metodologia, un’ideale, ma il Signore. Non ha servito propriamente nemmeno un certo circolo di persone. Ha servito il Signore. Qui c’è un grande valore non così evidente a prima vista. E’ che noi ci mettiamo a servizio di tante altre cose, quasi senza accorgercene. “Stupenda questa libertà di Paolo: non deve niente a nessuno, se non a Cristo; e attraverso di lui a tutti. Non deve piacere a nessuno, non deve rispondere a nessuno, se non a Cristo; e attraverso di lui a tutti. E la comunità sa benissimo che Lui è lì non per piacere, per accontentare, per rispondere alle attese, ma è li per servire Cristo2 (Martini). La situazione di uno che non sa chi dei suoi amici schierarsi in un conflitto di interessi e non pensa invece di schierarsi semplicemente dalla parte di Cristo. E’ paradossale ma nel servizio di Cristo vi è una chiamata a profonda libertà.

Quindi Paolo specifica meglio il suo atteggiamento di servizio: nell’umiltà. Ne parla meglio in Fil 2,3: Non fate nulla per ambizione o vana gloria, ma con umiltà ritenete gli altri migliori di voi. Non cercate il vostro interesse. Coltivate gli stessi sentimenti di Cristo”… oppure in Col 3,12: “Voi dunque, come eletti di Dio, rivestitevi di sentimenti di tenera compassione, di bontà, di umiltà, di tenerezza… sopportandovi a vicenda e perdonandovi” nelle lacrime. Gesù piange due volte. Con Lazzaro morto e poi su Gerusalemme: O se tu conoscessi in questo giorno quello che occorre alla tua pace (Lc 19:42). Sono lacrime che esprimono qualcosa di più del semplice affetto. Sono piuttosto espressione di una fatica e di un coinvolgimento personale perché l’altro si apra alla fede. Paolo ha sentito questa fatica. “Figlioli miei (Gal 4,19-20) per i quali soffro nuovamente le doglie del parto fino a che Cristo non sia formato in voi. Vorrei proprio essere presso di voi e parlarvi a tu per tu, poiché sono ansioso nei vostri riguardi.” Quindi desiderio di far causa comune, di essere “presso” e disponibilità a tutti ed al singolo, al rapporto “a tu per tu”, all’interessamento personalissimo. Questo atteggiamento non è banale. Può essere doloroso come il parto. Può implicare periodi lunghi: ricordate che per tre anni, tra le lacrime, ho supplicato ciascuno di voi (Atti 20, 31). Allora fare causa significa accettare queste lacrime: l’esperienza di servire senza vederne subito il frutto, senza trovare subito un’accoglienza facile e spontanea: il contadino va e piange mentre semina. Eppure semina. Sai perseverare? Sai appassionarti al bene dell’altro senza pretendere di cambiarlo subito e a modo tuo?

Tra le prove che venivano dai Giudei. Si trattava di complotti, di contraddizioni, comunque di tutte quelle situazioni in cui qualcuno ti mette i bastoni tra le ruote. E dall’interno: si tratta cioè di incomprensioni che uno incontra nel proprio ambiente. L’ostilità dei buoni. Quel clima negativo che può crearsi anche in oratorio.

Quindi il servizio di Paolo era nell’umiltà, nelle lacrime e tra le prove. Come quello del Comboni.
Paolo aggiunge ancora due caratteristiche del suo comportamento:
non mi sono mai tirato indietro a quello che poteva esservi utile. Vi è qui l’idea di sapersi esporre. Alle volte sono cose piccolissime cose (il servizio a Florida), eppure sei tentato di nasconderti, di risparmiarti, di farti gli affari tuoi. Perché devo farlo io… non cambia niente… e magari non pensi che ti stai semplicemente tirando indietro.

Ho insegnato in pubblico e nelle case. C’è una coerenza di testimonianza. Semplicità. Assenza di doppiezza. Era lo stesso dentro e fuori. Non è esattamente la stessa cosa per noi. Più sei distante da Cristo più dovrai sdoppiarti. Perché sei in un modo con gli amici e in un altro coi genitori? Perché sei in un modo qui e in un altro a scuola? L’amore di Cristo vuole sanare questa divisione per renderti capace di questo atteggiamento generoso: fare causa comune.

Paolo lo ha vissuto pienamente: “lavorando giorno e notte, per non essere di peso ad alcuno, vi abbiamo annunziato il Vangelo” (I Tes 2,9). Anche Daniele Comboni: ecco tra voi ritrovo il mio cuore per mai più perderlo (essere presso)… il giorno e la notte mi troveranno sempre pronto al vostro servizio…

Dopo aver riletto la sua storia come una storia di servizio – spesso di fatica – ma anche di frutto, di pace, di tranquillità, Paolo si ferma sul presente.
Ecco ora avvinto dallo Spirito cammino verso Gerusalemme (V 22-23) oppure
Ecco ora avvinto …. Io cammino verso Gerusalemme nello Spirito.
La libertà che Cristo ha donato a Paolo per il suo servizio è la libertà dalla paura. Non deve più fuggire la sofferenza. Questo è fondamentale per avere discernimento e sapienza del cuore. Tu scegli normalmente quello che ti piace o ti conviene, perché fuggi la sofferenza. E così sbagli. Perché quello che ti piace e ti conviene non è necessariamente quello che ti fa crescere nell’amore. Per scegliere ciò che è bene devi essere libero da queste convenienze.
Paolo cammina verso Gerusalemme come Gesù. Ha lo sguardo fermo e determinato verso il bene, verso l’amore come dono di sé.

Infine il futuro di Paolo al v 24: ecco ora non faccio alcun calcolo della mia vita… C’è un perfetto abbandono che lo rende sciolto, libero, tranquillo. Davanti a sé Paolo pone semplicemente una cosa:
completare la corsa ed il servizio. Prova a pensare alla sensazione che verrebbe dal vedere un atleta interrompere una corsa… oppure dal trovare un servizio che è stato lasciato a metà.
La tua vita esige una completezza per acquisire valore. Il coraggio di scelte per la vita. Che includono e contemplano tutta la vita. E lì la tua felicità.

Ma questo discorso non è sempre facile da farsi e da vivere.

Paolo mette in guardia contro i pericoli.
Vigilate su voi stessi e sul gregge. Su te stesso e sull’altro, ciascuno secondo una responsabilità che gli è propria.

Sapere riconoscere i lupi rapaci che vengono da fuori: avere vigilanza su quelle realtà personali, di gruppo o sociali che avviano dei processi di oppressione e di manipolazione dei più deboli. Tutto ciò che minaccia o distrugge la vita viene dal lupo rapace.

Saper riconoscere anche coloro che “da dentro” tendono a fare discepoli, a proporre se stessi piuttosto che Cristo (v 30)

Quindi Paolo ricorda ancora una volta alcuni tratti del suo stile di vita
Non ho cercato né oro né argento: la gratuità, la libertà dalla cupidigia in quello che cerchi.
Ho lavorato con le mie mani per provvedere a me e a quelli che erano con me
Vi ho insegnato a soccorrere i più deboli con il lavoro
Ho conservato la Parola del Signore: vi è più gioia nel dare che nel ricevere.

Per riflettere

“Non si può paragonare il cristianesimo con il pagare le tasse e restare con quello che ci resta – cosa devo fare di buono? Non è tanto il nostro tempo o la nostra attenzione che Dio pretende: si tratta di noi stessi. Egli, infatti, in ultima istanza non ha altro da darci che se stesso e lo può fare solo nella misura in cui la nostra volontà si ritira… Dobbiamo convincerci: non resterà niente di nostro di cui vivere…

affrontare ogni giorno – è l’idea di qualcosa di “nostro”, qualche campo sul quale Dio non può vantare alcun diritto. Egli ha diritto su tutto dal momento che è amore e deve santificarci. E non può santificarci se non ci possiede. Quando cerchiamo di tenerci una porzione di anima tutta per noi cerchiamo di mantenere una zona morta. Se non abbiamo scelto il regno di Dio, alla fine non farà alcuna differenza sapere che cosa abbiamo scelto al suo posto. Il tentatore mi dice: riguardati. Pensa a quanto ti costerà… L’importante, quello che il cielo desidera e l’inferno aborrisce, è proprio quel passo in più che ci farà perdere il controllo. Gli sbagli saranno perdonati. E’ l’accontentarsi che è fatale, è il sentirsi autorizzati a regolamentare l’esistenza di un’area in noi stessi “tutta per noi”… Per quel che ne so la battaglia contro questa tentazione va ricomunicata ogni giorno. La nostra preghiera del mattino sia quella dell’imitazione: da hodie perfecte incidere. Concedimi un inizio perfetto – oggi – poiché non ho ancora combinato niente” (Lewis, il brindisi di Berlicche”)

Fare causa comune – diventare tutto a tutti – dipende sostanzialmente dall’aver trovato la libertà interiore da se stessi… per poter, ogni giorno, passare all’altro, aprirsi, donarsi. Per amare con l’amore con cui siamo amati.
Quali segni di apertura riconosci nei tuoi atteggiamenti quotidiani?
Quali decisioni possono aiutarti ad uscire dalla “contentezza” tua – che ti rende alla fine indifferente, distratto, fatalista riguardo al destino degli altri e del mondo – per entrare nella gioia del Vangelo: la scoperta che è più bello donare che ricevere?

Testi significativi

“Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero... Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro”. (1Cor 9, 19-23)

“Lavorando, così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!”. (At 20, 35)

Non fate nulla per ambizione o vana gloria, ma con umiltà ritenete gli altri migliori di voi. Non cercate il vostro interesse. Coltivate gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2, 3)

“Voi dunque, come eletti di Dio, rivestitevi di sentimenti di tenera compassione, di bontà, di umiltà, di tenerezza… sopportandovi a vicenda e perdonandovi” (Col 3,12)

“Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi! Vorrei essere vicino a voi...” (Gal 4, 19-20)

“ Il primo amore della mia giovinezza fu per l’infelice Nigrizia e, lasciando quanto per me v’era di più caro al mondo, venni in queste contrade... I miei pensieri e i miei passi furono sempre per voi... Io ritorno fra voi per non mai più cessare di essere vostro, e tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre. Il giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il ricco e il povero, il sano e l’infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre eguale accesso al mio cuore. Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie. Io prendo a fare causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi”. 

Daniele Comboni

 

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