BREVE
PREMESSA
Durante questo
pomeriggio rimaniamo con la “spina inserita”. Non possiamo
permetterci il lusso di desiderare incontrare il Signore della
Vita mettendo in secondo piano noi stessi e l’intera umanità .
Proprio pregando questa beatitudine, prenderemo coscienza di
quanto sia intenso incarnare la Parola di Dio nella nostra storia
quotidiana; da qui la forte necessità di pregare senza abbassare
mai “l’interruttore generale” della nostra realtà umana.
Non dimentichiamoci che la comunità di Giovanni affermò che Gesù
stesso era la Parola incarnata: “E
il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; …”
(Gv 1,14b).
LEGGIAMO
ATTENTAMENTE IL BREVE BRANO BIBLICO
“Beati
i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”.
(Mt 5,3)
ADDENTRIAMOCI
CON GRADUALITÀ NEL TESTO
Gesù vede le folle
ed incomincia ad insegnare. Inizia quel percorso in cui le folle
da errabonde sono convocate ad essere popolo, il nuovo popolo di
Dio. Gesù osserva la gente, le persone, si commuove per loro, ha
fiducia in loro, sa che se le diamo la possibilità possono
crescere personalmente e comunitariamente.
Per prima cosa
dobbiamo chiederci e comprendere: chi saranno mai questi poveri
definiti beati da Gesù di Nazareth?
Scartiamo
immediatamente le posizioni di chi sostiene che Gesù con questa
beatitudine volle esaltare la miseria. Esattamente al contrario.
Gesù - è scritto a più riprese nei Vangeli - venne a portare
la vita in abbondanza, la vita eterna.
Probabilmente un
piccolo contributo ci può provenire anche da Don Primo Mazzolari
(sacerdote mantovano ed autentico profeta della pace, nella prima
metà del secolo scorso) il quale affermò: “Chi chiede,
unicamente chiede, anche se è un povero non cambierà il
mondo”.
La povertÃ
“spirituale” non riguarda esclusivamente la privazione di
beni. Include chi ha effettuato unÂ’opzione ed uno stile di vita
che ha assunto la povertà nel suo essere.
L’incarnazione è
la principale povertà di Gesù; tutto il resto della sua vita
-fino alla stessa morte in croce- sono conseguenze di
quell’opzione, che si è concretizzata realmente nella sua
offerta completa, senza risparmi di nessun genere: non tenne nulla
e nessuna persona per se. Per questa ragione la condivisione e
lÂ’offerta della propria vita sono tra le caratteristiche
principali del cammino dÂ’ogni cristiano; da qui sÂ’incomincia
ad intuire dove appunta la beatitudine “dei poveri in spirito”
oggi presa in considerazione.
Percorriamo carichi
di speranza un autentico cammino di purificazione e di liberazione
per non essere idropici (Lc 14,1-6), ovvero, pieni e “grassi di
se stessi”, per accogliere quell’agilità spirituale -
chiamata normalmente povertà - indispensabile per poter passare
per la porta stretta (Lc 13,22-30). Una povertà che non è fine a
se stessa, che rievoca con veemenza lÂ’invio in missione dei
settantadue discepoli (Lc 10,1-12), che comprendeva: enorme
disinteresse davanti alle varie opportunità di possessione dei
beni, spogliamento interiore dai propri progetti-programmi
strettamente individuali ed abbandono pienamente fiducioso - non
ingenuo o sempliciotto - tra le braccia di Dio che è Padre-Madre.
Si comprende come la
povertà cristiana sia una povertà che arricchisce e che porta un
certo tipo di benefici; una povertà che permette crescere, una
crescita che avvicina notevolmente a Cristo, che lo rende così
profondamente umano e quindi modello di umanizzazione. Rinnoviamo
la nostra adesione a Gesù Cristo, viviamo la nostra fede con
rinnovato slancio, attraverso la preghiera - personale e
comunitaria - ed il servizio gratuito al fratello e alla sorella
in difficoltà . Non possiamo vivere di sola preghiera o di solo
apostolato, entrambe queste dimensioni devono alimentarsi con
continuità , per non rischiare un forte indebolimento.
Risulta importante
rompere ed uscire da quella logica dei sacrifici, che molte volte
si riassume in una specie di autolimitazione. La povertà che
propone Gesù di Nazareth è liberante, permette andare in
profondità , non si accontenta del sistema dottrinale minimalista
“non ho fatto nulla di male” ma di intuire e giocarsi
generosamente per quanto “bene posso compiere e ricevere”. In
definitiva si tratta di optare: mantenersi ancorati ed
imprigionati ai beni di consumo o di investimento e rimanere assai
tristi (Mt 19,16-22), oppure rompere - a volte con difficoltà - i
vari gioghi ed essere più autentici e liberi per condividere con
i fratelli e le sorelle che il Signore della Vita ci colloca a
nostro fianco.
Il libro degli Atti
degli Apostoli descrive come le primitive comunità cristiane
compresero questo tipo di opzioni ed in quale modo incominciarono
con le loro scelte concrete e testimonianze a scontrarsi con le più
alte gerarchie della religione giudaica di quellÂ’epoca e
successivamente con lÂ’immensa struttura dellÂ’impero romano.
Iniziarono ad esservi i primi apostati (persone che rinnegavano la
propria fede) ma ci furono anche le prime persone che offrirono la
loro vita come martiri della fede nel Cristo Risorto.
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