La
nostra cultura ormai ha perso la visione di “Madre
Natura”. La consideriamo sì al femminile, ma perché ne
sfruttiamo la fragilità , vinta da un aggressivo potere
maschile.
Un tempo forse Natura era un essere vivente, una
madre che nutre. Ma una madre non può essere
tranquillamente uccisa, sventrata e fatta a pezzi. Siccome
questo è oggi l’imperativo, sfruttamento tipico della
crescita capitalistica, è diventato “naturale”
pensare la creazione come un insieme di particelle morte,
inerti, mossa da forze esterne anziché interne.
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1.
Ascoltiamo la terra
I
popoli indigeni del Brasile conservano una relazione molto
speciale con la terra. Per occuparla, non la dividono in
lotti o titoli di proprietà , ma la gestiscono
collettivamente. La terra è proprietÃ
di tutto il popolo (un capitolo particolare della
Costituzione Brasiliana per gli Ãndios lo garantisce)
La terra per lÂ’Ãndio è un “suolo culturale”,
è abitata dalle sue tradizioni, punto di riferimento
essenziale per i suoi valori vitali, impregnata di miti e
di storia. EÂ’ come per il popolo di Israele la Terra
Promessa: fuori di essa era inconcepibile celebrare una
liturgia, una festa, anche solo un cantico di Sion! (2Re 5,17)
Allo stesso modo, i popoli indigeni hanno i loro
luoghi sacri, spazi rituali, dove si concentrano la fede e
la forza degli antenati. La terra è storia,
cultura, coesione, sopravvivenza.
“Come
si può comprare il cielo, il calore della terra?
UnÂ’idea
che ci è estranea: noi non siamo i padroni della purezza
dell’aria, né dello splendore dell’acqua. Come potete
comprarli da noi? Tutta la terra è sacra per il mio
popolo.
Ogni
foglia che brilla, tutte le spiagge arenose, ogni velo di
nebbia nelle scure foreste, ogni chiarore e tutti gli
insetti che ronzano sono sacri nelle tradizioni e nella
coscienza del mio popolo.
Sappiamo
che lÂ’uomo bianco non comprende il nostro modo di
vivere. Per lui un pezzetto di terra è uguale ad un
altro, poiché lui è un estraneo che arriva di notte e
ruba dalla terra tutto ciò di cui ha bisogno. La terra
non è sua sorella, ma sua nemica e, dopo essersela
succhiata tutta, se ne va viaÂ…
La
sua avidità impoverirà la terra, si lascerà dietro i
deserti.
Una
cosa sappiamo che forse un giorno lÂ’uomo bianco arriverÃ
a scoprire: il nostro Dio è lo stesso Dio.
Forse
ritieni che lo puoi possedere allo stesso modo con cui
possiedi la nostra terra. Ma non puoi. Lui è Dio
dell’umanità intera. E vuole bene ugualmente
all’indio e al bianco. La terra è amata da lui. Causar
danno alla terra è dimostrar disprezzo per il suo
CreatoreÂ…
Noi
amiamo la terra come un neonato ama il battito del cuore
di sua mamma… Il nostro Dio è lo stesso Dio e questa
terra è amata da Lui”.
(dalla
lettera scritta nel 1855 dal Cacique Seathe, del popolo
Duwamish, al presidente USA)
“Arriverò
fino ad essere concime per la mia terra, ma da essa io non
me ne vado”
(Samado, lÃder Pataxó Hã-Hã-Hãe,
+09.09.1998)
EÂ’ il canto di dolore della terra e dei suoi
popoli, ci giunge dal basso.
Sollevando lo sguardo, ecco i Summit mondiali
sullÂ’ambienteÂ…
-
Rio ’92 si è fondato sull’analisi dei
“Limiti dello sviluppo” (un libro con questo titolo ha
venduto 9 milioni di copie ed è stato tradotto in 29
lingue. Si è diffusa da lì in poi una consapevolezza
crescente sul tema ecologico). EÂ’ nota la teoria dello
“Sviluppo Sostenibile”.
-
Già New York ’97, però, ha ricentrato
l’attenzione su problemi più contingenti,
concentrandosi nuovamente sulla crescita, sullÂ’economia
e sulla disoccupazione.
-
La difesa dellÂ’ambiente si indebolisce ancor di
più con l’abbandono dei Trattati di Kyoto da parte
degli USA, che pur avevano firmato con Clinton questa
convenzione internazionale.
Negli ultimi decenni ci rendiamo conto che NON
C’È TEMPO DA PERDERE.
Ogni anno estinguiamo circa 10mila specie animali e
vegetali. Tutto ciò è irreversibile, è “l’azione più
assoluta che noi umani posiamo compiere”. E’ vicino il
punto di non ritorno!
Per
esempio, se i progetti governativi brasiliani continuano
come stabilito, tra 20 anni sarà stato distrutto il 42%
della foresta amazzonica. LÂ’area di foresta che resterÃ
intatta sarà meno del 5% del totale.
Dobbiamo
frenare questa corsa!
Sappiamo che C’È UNA STRADA POSSIBILE. La
chiamano “Rivoluzione dell’efficienza”, perché
si tratta di bloccare lo sperpero di energia consumata a
basso costo; guardiamo la lampadina a incandescenza,
simbolo della nostra società : della quantità di energia
elettrica richiesta a una centrale elettrica per mantenere
accesa una lampadina, il 70% va perso prima di raggiungere
la lampada, e questa trasforma in luce solo il 10% della
restante energia, cioè il 3% dell’energia primaria. Lo
stesso è per la benzina: l’80% dell’energia prodotta
si perde nel motore e nelle parti meccaniche prima di
giungere alle ruote.
In alternativa allo spreco, esiste uno studio
riconosciuto dallÂ’ONU per lo Sviluppo Sostenibile e
ormai diffuso in vari paesi sovrasviluppati; si chiama “Fattore
4” , perché mostra con esempi e
cambiamenti concreti come quadruplicare
lÂ’eco-efficienza, raddoppiando il benessere e
dimezzando i prelievi di risorse naturali.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione,
complessa perché smonta tutto il sistema produttivo
impostato (ma in tanti si rendono conto che cambiare così
conviene ormai anche economicamente, a lungo termine!).
E allora cambiamo! Da un sistema centrato sullÂ’eco-nomia
(imporre leggi alla terra) a una vita di eco-logia
(entrare in dialogo con la creazione).
Per questo cambio, è necessario abbandonare punti di
vista vecchi e pesanti:
·
Stiamo
guardando con gli occhi di un sistema coloniale. Dal
punto di vista di secoli di resistenza indigena, nera e
popolare, invece, tutti i popoli del sud passano da
debitori a creditori: abbiamo con loro un debito
etico-storico e un debito ecologico.
·
Il
nostro paradigma è antropocentrico (l’essere umano
misura di tutte le cose). Da un punto di vista
eco-logico, scopriamo che la natura non è completamente
fuori, ma dentro gli esseri umani. Se lasciamo
spazio a Dio, l’integrità e la dignità di ogni essere
non dipendono più dal riferimento all’uomo, ma
dallÂ’amore del Padre per ciascuna creatura.
·
Nel
nostro impegno manteniamo unÂ’opzione preferenziale per i
poveri. A questa dobbiamo aggiungere lÂ’opzione
urgente per le generazioni future.
Tutto questo ci rimbomba dentro quando ci poniamo in
ascolto della Terra. Come rispondere a questa urgenza?
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2.
Ascoltiamo la Bibbia
“In principio…”. Torniamo al principio, per
scoprire i passi falsi!
Cantano i sem-terra del Brasile: “Se não houver
o amanhã brindaremos do ontem, e saberemos então onde
està o horizonte!” (Se non c’è un domani,
brinderemo a ieri, e sapremo allora dove si trova
l’orizzonte: il futuro è stato abbozzato nel vissuto
che abbiamo condiviso).
Il Sogno di Dio ha la sua radice nellÂ’infinito, ma
è così intenso che non si è ancora consumato:
Leggiamo Gn 2,4-20.
Il Signore ha fatto fiorire il deserto per l’umanità ;
il racconto della creazione è il passaggio dal deserto (sadeh)
alla terra da coltivare (Â’adamah). E noi siamo Â’adam
min ’adamah, “uomini dalla terra”, persone a cui
è stato affidato il mondo perché lo mantenessimo
tale: puro, vivente, fiorito (mondo è il contrario di immondo).
Tre verbi per capire cosa ci chiede Dio: il Signore
Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché
lo COLTIVASSE e lo CUSTODISSE; Dio condusse ogni vivente
allÂ’uomo per vedere come li avrebbe CHIAMATI.
Coltivare è prendersi cura, trasformare, far vivere.
Custodire è proteggere, conoscerne la debolezza,
consegnarlo a chi viene dopo.
Dare il nome è stringere un’alleanza nuova (come
Dio ha fatto con tante persone a cui ha cambiato nome:
Abramo, Giacobbe, Pietro, PaoloÂ…), appartenersi lÂ’un
l’altro. Dare il nome è molto più che dominare (Gn
1,28). Dare il nome è eco-logia, dialogo costante con il
creato; dominare è eco-nomia, amministrare e imporre
norme.
Il Sogno di Dio è la piena
comunione degli esseri umani con la natura (“non è bene
che l’uomo sia solo”). Se questa comunione si
mantiene, allora realmente le risorse naturali
potranno risorgere, cioè rigenerarsi, senza
intaccare il ciclo della vita. La resurrezione si
avvicinerebbe un po’ di più a noi e scopriremmo che il
giardino di cui ci parla la Bibbia non è in cielo, ma
“a oriente” (2,3), cioè soltanto un po’ più vicino
al sole.
Ma l’umanità questo non l’ha capito, sembra
preferire i deserti ai giardini. La Bibbia ha parole
pesanti per tutti i deserti che il popolo di Dio ha
attraversato o generato: il deserto è un luogo non
umanizzato, vi regna il “disordine urlante della
solitudine”, “landa di ululati solitari” (Dt 32,10),
è “terra assetata, luogo di serpenti e scorpioni”.
Non è questo il Sogno di Dio per gli esseri umani:
“Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in
mezzo alle valli; farò cambiare il deserto in un lago
d’acqua, la terra arida in sorgenti. Pianterò cedri nel
deserto, acacie, mirti e ulivi, olmi insieme con abeti”
(Is 41,19)
Dobbiamo aspettare fino alla resurrezione di Gesù
per capire che Dio lo crede ancora possibile: Gesù
risorge in un giardino! Maria di Magdala si era fermata al
sepolcro, nel giardino, quasi trattenuta oltre la morte
dalla bellezza di una tomba vuota e della natura lì
attorno. Ma Gesù non c’era. O meglio, era lì, e lei lo
scambia per il custode del giardino.
Il custode del giardino: c’è ancora un giardino da
custodire, una resurrezione da garantire, da testimoniare
non solo agli esseri umani, ma alla creazione intera! C’è
ancora un albero della vita al centro, non si è mai
seccato… il Vangelo di Giovanni si chiude proprio così:
“Questi segni sono stati scritti perché credendo
abbiate la vita”.
Da un estremo allÂ’altro della Bibbia, la vita del
mondo ci è posta tra le mani. Sopravviverà ?
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3.
Trasformiamo la vita
“Gli
uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in
altri campi oltre alla distruzione”
Quali spunti concreti è necessario rilanciare? La
responsabilità e la coerenza di ciascuno risponderanno;
noi accenniamo solo ad alcuni ambiti.
·
stile
di vita personale:
Lasciamoci
ispirare dallo sport: “più veloce, più in alto, più
forte” è lo slogan delle competizioni atletiche. Noi
dobbiamo cercare esattamente il contrario: “Più lento.
Più profondo. Più delicato”. Il nostro stile di vita
deve saper vincere la frenesia dei ritmi anti-umani e
anti-ecologici, recuperare il quotidiano come occasione di
incontro in profondità , riscoprire la bellezza e la
semplicità al di là della produzione e del consumo.
Invece degli sport competitivi individuali, poi,
giochiamo sport di squadra: se non rifondiamo la
nostra vita sulla condivisione dei beni, gli artigli della
proprietà privata a tutti i costi faranno sanguinare la
terra.
·
Vocazione
e futuro professionale:
Ormai anche l’ecologia è un discorso da salotto.
Ma la vita ce la giochiamo sì o no? E per chi sceglie di
scendere in campo nel nostro contesto sociale, ecco il
passaggio che lo sfida: da ingegnere, industriale,
imprenditore (modello eco-nomico) a ingegnoso,
industrioso, intraprendente (modello eco-logico).
·
Itinerari
politici e economici:
Come sempre, se non ci organizziamo, non cambiamo
nulla. Alcuni esempi, fin dal livello locale: ecotasse,
agevolazioni fiscali mirate, gestione del traffico urbano,
piani regolatori locali, politiche energetiche, scambio di
informazioni ed esperienzeÂ…
E sul piano internazionale: pressione sulle
istituzioni, boicottaggi e campagne, rafforzamento del
binomio giustizia sociale-giustizia ambientale, insistenza
sul trattato di KyotoÂ…
Â… e ora tocca a noi!
|
Noi, i popoli rossi, abbiamo
imparato molte cose.
A volte per scelta, a volte per
dolore.
Miei fratelli bianchi, noi siamo
uguali, in tanti modi:
EÂ’ stato un solo Creatore a
renderci tutti umani;
condividiamo gli stessi quattro
venti
e tutti guardiamo lo stesso
cielo, lo stesso sole, la stessa luna.
Beviamo le stesse acque, corpo e
spirito degli stessi oceani.
Sì, in più di una maniera siamo
uguali.
Ma come il Creatore ci ha fatti
uguali,
in vari modi ci ha anche resi
diversi:
come gli uccelli, diversi nei
colori, nei canti e ne modi,
così sono distinti i popoli,
ognuno con colori, lingue, canti
e comprensioni differenti.
Noi abbiamo sempre preservato per
i nostri figli l’eredità della creazione.
Abbiamo occupato la terra-madre
e, ciclo dopo ciclo, ce ne siamo presi cura.
Ma, in un batter dÂ’occhio, solo
cinquecento anni,
i vostri popoli hanno causato
molta sofferenza,
distruzione e morte per noi e la
nostra terra-madre.
Per questo, chiediamo che voi vi
fermiate ed ascoltiate
il canto della creazione, con la
mente e col cuore.
Rispettate profondamente e
sentite il profumo dellÂ’aria pura che ancora avanza e
pensate!
Assaporate il cibo e il sapore
della creazione e siate contenti.
Toccate la nostra terra-madre e
pensate ai suoi figli, i popoli diversi,
e pensate a quanti già sono
scomparsi per sempre.
Guardate la bellezza del Creatore
nelle diverse grandezze,
colori, forme, disegni, energie e
varietà offerte a tutti noi.
Aiutate voi stessi, i vostri
figli e quelli che ancora dovranno nascere,
a sopravvivere nella nostra
terra-dimora.
Pensate a loro e diventate di
nuovo un Popolo!
(testo di
Juan Reyna, Campanha Fraternidade e Povos IndÃgenas “Por uma terra sem males”)
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Fattore
4
L'attuale
modello di benessere e di sviluppo non ha futuro.
Una società sostenibile, sia dal punto di vista
tecnico che economico, è ancora possibile
attraverso due cambiamenti:
- la revisione complessiva delle politiche che
perpetuano la crescita dei consumi materiali, e
- una maggiore efficienza nell'uso di energia e
risorse naturali, comgiunta ad una loro equa
distribuzione tra i popoli della terra.
Fattore 4 illustra come quadruplicare la
produttività delle risorse, ovvero come
raddoppiare il benessere dimezzando il prelievo di
risorse naturali.
Lo studio presenta 20 casi di produttivitÃ
energetica quadruplicata, 20 casi di produttivitÃ
di materiali quadruplicata e 10 casi di
quadruplicata produttività nel trasporto.
Il benessere di cui si parla in Fattore 4, come
nel precedente studio dell'Istituto di Wuppertal,
Futuro sostenibile, riguarda la qualità della
vita di tutti e non soltanto la crescita
economica. La transizione verso una societÃ
sostenibile richiede - più che produttività o
tecnologia - maturità , umana partecipazione e
saggezza. |
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