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Le vie delle Giustizia e della Promozione della Pace: il contributo della Carovana della Pace

Le vie delle Giustizia e della Promozione della Pace: il contributo della Carovana della Pace

 

Le vie della giustizia e di promozione della pace

Laboratorio al Convegno Missionario Nazionale promosso dalla carovana della Pace della Famiglia Missionaria Comboniana

 

1) Introduzione

  • Silenzio di preghiera: “chiediamo il permesso” di riflettere su questo tema, pur vivendo in una chiesa e in una società compromesse dalla complicità tra potere-mercato e cristianità.

  • Gravità del tempo che stiamo vivendo (guerra preventiva, uso strumentale della paura e dell’immagine dello scontro di civiltà, apparente trionfo delle ragioni della forza, sfiducia nelle proposte nonviolente e relativizzazione dell’ONU, tagli alla cooperazione e investimenti in armi e guerra, militarizzazione crescente anche in Italia, silenzio della chiesa italiana a proposito della guerra…)

  • Invocazione dei testimoni: don Tonino Bello, p. Balducci, La Pira, don Milani, p. Turoldo, don Pino Puglisi, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, don Giuseppe Diana…

2) Le vie della giustizia e di promozione della pace

Piste di lavoro per i laboratori con focus sulla chiesa italiana e contributi di riflessione della Carovana della Pace.

Parola ai giovani:

  1. veloce spiegazione della carovana e dei suoi obiettivi

  2. sintesi degli spunti concreti offerti dalla carovana (allegare comunicati)

2.1 Una chiesa povera

(questa riflessione è tratta da Degan – Il comportamento bello)

Nel mondo antico probabilmente non si è parlato tanto di pace come nei primi due secoli dell’Impero Romano. ‘Pace’ e ‘Vangelo’ erano le due parole più usate dalla propaganda imperiale: Cesare era il portatore della buona novella della pace, finalmente il suo potere era garanzia di sicurezza e stabilità, grazie al modello deterrente della pax romana. La dea della pace appare nelle raffigurazioni del primo secolo d.C. con i piedi sulla testa del nemico, la croce (“la pena di morte più crudele e terribile” – Cicerone) spicca come terrorismo di stato contro ogni tipo di ribellione: elemento chiave del sistema di sicurezza dell’Impero romano.

Il Dio della Pace che Paolo presenta è tutt’altro rispetto alla Pax di Cesare; il Vangelo di Dio è Parola altra rispetto al Vangelo di Cesare.

Ci accorgiamo dunque che non è sufficiente dire “Pace, pace” per entrare nel Regno dei Cieli: occorre riflettere a fondo sui metodi con cui vogliamo proporla e raggiungerla insieme.

Questo vale anche per la nostra chiesa: se vogliamo parlare di pace dobbiamo prima di tutto verificare se i mezzi con cui pensiamo di costruirla sono congruenti al fine.

In questo punto vogliamo approfondire la riflessione su una chiesa povera; nel prossimo cercheremo di concentrarci sulla struttura stessa della chiesa locale a servizio della Vita.

Nella prima lettera di Pietro i cristiani sono chiamati ‘pàroikoi’, termine per indicare “coloro che stanno fuori dalla casa”. Homeless, pellegrini, residenti stranieri.

Si tratta in pratica di persone che non godono dei diritti di cittadinanza (e infatti in maggioranza erano schiavi, servitori domestici, donne cristiane sposate con pagani, persone pure benestanti ma perseguitate per la loro fede ed escluse per la scelta di condivisione dei beni).

Si tratta di persone che vivono fuori dal sistema culturale dell’Impero, secondo uno stile di vita che i pagani “trovano strano” (1 Pt 4,4).

La sfida e l’essenza per i primi cristiani era ‘stare fuori dalla casa’. Resistere nella fede senza lasciarsi contaminare dal modello di vita dell’Impero.

Oggi questo si traduce in scelte radicali, la prima delle quali è spezzare l’asse di complicità tra potere-mercato e la chiesa: una chiesa che parla di giustizia e pace ma che è compromessa nelle logiche di potere, successo e consumo non ha alcuna autorità di esprimersi. O la chiesa di oggi è profetica, o non è  (d. Ciotti).

‘Stare fuori dalla casa’ oggi in Italia significa soprattutto rigettare l’abbondanza intorpidita in cui ci culla la nostra società. Avere il coraggio di scelte di povertà vissute in prima persona dai singoli cristiani, dalle famiglie cristiane, dalle comunità e dalle istituzioni ecclesiali stesse.

“Quale volto di Dio incontra chi si trova a celebrare nelle nostre assemblee? Chi è povero perché senza casa, senza lavoro, senza salute, senza istruzione, senza relazioni affettive significative… può pregare vicino a chi, fuori dalla celebrazione, è distante e a volte anche ostile al faticoso cammino di diritti per i meno tutelati?” (d. Ciotti)

Paolo Barnard nell’intervento di invio della Carovana della Pace ha provocato tutti a riflettere su i costi del ‘nuovo mondo possibile’ che diciamo essere già in costruzione: se non mostriamo da subito di saperli assumere e di sceglierli in prima persona, le nostre manifestazioni e i nostri proclami saranno parole vuote… e il Signore dirà “non vi conosco”.

Non basta stare fuori dalla casa: occorre costruire un’altra casa, una casa alternativa. Una ‘comunità-contrasto’ che testimoni uno stile di vita, una maniera di produrre, utilizzare e distribuire le ricchezze, una forma di gestire i processi organizzativi e decisionali e un modo di esercitare l’autorità del tutto diversi da quelli della società gerarchica e imperiale.

Occorre smontare l’Impero e costruire il Regno; spogliare la chiesa e rivestirla di vita nuova, come ammonisce Ef 6,11-17 (passo simpaticamente definito ‘lo streap-tease del legionario’).

2.2 Una chiesa comunione di comunità

Dicevamo che nella congruenza di mezzi e fine occorre anche riflettere sulla struttura della nostra chiesa locale a servizio della Vita.

A dire il vero oggi ci preoccupa anche la struttura centralizzata e accentratrice che sempre più sembra assumere la chiesa istituzionale, ma siamo convinti che lo Spirito e la forza trasformatrice come sempre procedano dal basso: cambiamenti significativi nelle chiese locali potranno risvegliare e promuovere anche nella gerarchia maggior fiducia e più attenzione ai laici.

E se la CEI, ad esempio, fatica oggi ad usare le parole secche e chiare del Papa contro ogni guerra, saranno le comunità locali a far maturare con pressione e insistenza questa voce che stenta ad esprimersi. Occorre promuovere anche per la chiesa istituzionale quella forma di pressione e vigilanza che già stiamo utilizzando per le altre istituzioni: se ci sentiamo Popolo di Dio corresponsabile del cammino della chiesa, dobbiamo far sentire con rispetto e insistenza la nostra voce.

La Carovana della Pace ha attraversato l’Italia con testimoni del sud del mondo facendosi portavoce di modelli di chiesa vissuti dalla chiese sorelle del sud, complementari a quello della parrocchia.

Siamo profondamente convinti che il modello delle comunità cristiane di base (CEB) sia uno strumento essenziale, oggi, per restituire vitalità alla chiesa locale, stringerla al suo territorio, con attenzione alle sfide reali della gente e con il coinvolgimento corresponsabile dei laici, secondo la ministerialità di ciascuno e sulla base della Parola di Dio condivisa da tutti.

Le prime comunità cristiane vivevano così la loro fede; occorre tornare ad ascoltarle e imitarle in un confronto secco con il modello di cristianità che si è calcificato in questi secoli con varie degenerazioni per la nostra chiesa (cf. la ricerca della Carovana della Pace sulle prime comunità e i poveri, la pace, lo straniero).

Il progetto che anche in Italia insiste sulle CEB ha nome ‘Parrocchia comunione di comunità’ e consta di cinque tappe complementari tra loro e non necessariamente in sequenza:

  1. la divisione della parrocchia in zone pastorali (strade, quartieri…): la parrocchia diviene una comunità che si radica nel territorio

  2. la scelta e formazione degli animatori e coordinatori delle zone pastorali (fondare la chiesa sui laici)

  3. la nascita delle CEB: formate da 20-25 persone che si raccolgono a pregare, condividere la Parola e le sfide del quotidiano, diventano responsabili di una parte del territorio della parrocchia (si restituisce il gusto e l’autorità ai laici di leggere e capire la Parola secondo la loro vita)

  4. il cammino di catechesi permanente degli adulti e l’impegno socio-pastorale sul territorio: le CEB non sono chiese parallele, ma sentinelle pronte a captare i bisogni della gente (con attenzione prioritaria ai poveri) e comunicarli alla parrocchia

  5. lo sforzo di una pastorale integrata perché tutte le realtà sul territorio dialoghino, programmino e verifichino insieme il cammino dentro e fuori l’ambito parrocchiale. A questo livello le CEB vengono provocate ad aprire gli orizzonti sulle comunità sorelle lontane, secondo il modello missionario di una rete di comunità in comunione

(cf. Antonio Fallico, Settimana, n. 28-29 2004)

In questo kairòs che mette in crisi il modello clericocentrico delle nostre parrocchie, rivedere con coraggio la struttura della chiesa locale è condizione essenziale anche per potenziare l’impegno e le qualità di tutti per la giustizia e la pace.

2.3 Una chiesa sulla strada

Riflettendo sui poveri, don Luigi Ciotti insiste con forza: “il povero è la visibilità di tante ingiustizie, che possono essere superate solo insieme”. Non possiamo disgiungere l’attenzione ai poveri dalla sete di giustizia; non possiamo dirci impegnati per la giustizia se non a partire dalla condivisione con i poveri.

“Non è la stessa cosa parlare di ‘giustizia’ dall’alto delle sicurezze sociali più o meno conquistate -alcune volte sono diritti, altre volte sono veri e propri privilegi- o dalla strada intesa come spazio vitale per ogni relazione e, insieme, come precarietà, come povertà, sofferenza, disagio e abbandono”.

Nel Nuovo Testamento l’espressione ‘strada’ appare ben 109 volte e Gesù sceglie questo luogo teologico per farci conoscere il volto di Dio, rivelato in quello della gente che incontra.

La Carovana della Pace ha voluto essere un esperimento di chiesa come comunità pellegrina e itinerante, che incontra le persone, vivendo sulle strade del mondo, dove si impara a vivere camminando con i poveri e insieme a loro si diventa popolo.

Cosa significa per la nostra chiesa di oggi il comandamento di Gesù, che ci invia itineranti e pellegrini, senza bisaccia né sandali, a contemplare i segni del Regno presente tra noi?

Camminare con le scarpe dell’altro, ci ricorda la Carovana della Pace: è un esercizio doloroso che chiede alla nostra chiesa lo sforzo di leggere la realtà anche con le categorie di altri compagni di cammino, se vuole conoscerli, comprenderli, rispettarli.

Comunic-azione di strada: una prassi nuova e urgente per le nostre comunità, che don Franco Marton schematizza così:

analisi del territorio, in progressivo allargamento. Scendere nelle strade, nelle piazze e nelle case della gente, osservare, leggere la realtà, interagire con tutti (una chiesa che suoni di più i campanelli e meno le campane); chiedersi chi sono e dove sono i poveri; farsi sentinelle dei diritti altrui e saper estendere questa sensibilità al mondo

confronto comunitario sul comportamento di Gesù e delle prime comunità cristiane: di fronte a queste sfide come avrebbero fatto loro?

indicazione della prassi evangelica da seguire oggi, dando parola e iniziativa a tutti

Questa è la chiesa che ci chiede la gente oggi, su queste piste dobbiamo tutti rimboccarci le maniche.

2.4 Una chiesa del Crocefisso

Noi cristiani parliamo di Giustizia e Pace con un punto di partenza chiaro e forte, a servizio di tutte le altre espressioni della società civile che non lo condividono ma che hanno estremo bisogno (forse inconsapevole) di una spiritualità dell’impegno.

Questo punto di riferimento è il Vangelo del Crocefisso. Il Dio della croce mette in crisi tutte le idee di Dio che i popoli si sono fatti nella storia: non è né potente (un certo filone dell’ebraismo, culti romani) né sapiente (religiosità greca). E’ fragile e perfetto nell’amore, identificato con le vittime e forte della sua nonviolenza.

Anche noi cristiani spesso ci rifugiamo nella croce quasi solo come soluzione ultima, risposta nella disperazione, ultimo ricorso in situazioni difficili (‘a ciascuno la sua croce’…). La nostra religione si fonda più facilmente su precetti morali, sulla dottrina e sulla logica umana; da qui l’impegno per la pace si fa ricerca dell’equilibrio, della giusta misura, del compromesso e della diplomazia.

Altra cosa è fondare la sete di giustizia e la costruzione della pace sul Vangelo della croce, cioè partire sempre dalle vittime, dalla logica apparentemente fragile e sconfitta della nonviolenza, dall’umile audacia dello Spirito donatoci dal Crocifisso.

“L’ingiustizia è sempre sul trono, la verità sempre sul patibolo. Eppure è il patibolo che orienta e domina, in maniera misteriosa, la storia” (Martin Luther King).

Le vittime ci convocano con autorità ad una verità più profonda e piena; spetta alla chiesa dare loro voce, sempre e assolutamente, senza mezze misure e con priorità su tutti. In questo tempo dominato da un sistema di informazione addomesticato, il ruolo della chiesa è restituire con ostinazione la parola ai poveri.

In modo particolare per noi in Italia questo richiamo viene dagli immigrati: anche per la nostra posizione geografica abbiamo una vocazione esplicita all’accoglienza, come ponte tra le culture e laboratorio di incontro e dialogo tra le religioni. La vergogna delle nostre leggi discriminatorie e ancor più, oggi, la segregazione dei Centri di Permanenza Temporanea vanno nella direzione opposta.

Infine il compito coraggioso della chiesa deve portare al superamento della doppia morale, per cui accettiamo gli imperativi del Vangelo come diretti al singolo individuo, ma meno vincolanti nella dimensione comunitaria e sociale. Il comandamento ‘non uccidere’ ne è l’esempio più evidente e la chiesa fatica ancora a pronunciarsi con chiarezza e forza su questo a livello sociale e politico.

E’ tempo di concentrarsi sulla dimensione collettiva e comunitaria della radicalità evangelica. Cosa succederebbe se tutti noi cristiani fossimo obiettori di coscienza, se tutti condividessimo le nostre ricchezze?

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