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Siamo chiamati ad essere profezia e a creare comunità profetiche in questo tempo storico complesso, che ci interroga e ci chiede di scendere in strada e a fianco dell’oppresso e del creato, nella convinzione che l’umanità esiste soltanto plurale, scoprendo l’altro, vivendo con l’altro.

Sognando un'umanità plurale

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Dopo aver vissuto l'esperienza del campo lavoro “Riace rinasce”, organizzato da p. Alex Zanotelli m.c.c.j., sr. Patrizia Di Clemente s.m.c. e dott.ssa Felicetta Parisi, medico, laica consacrata, nell’ambito delle iniziative della Famiglia Comboniana, dall'1 al 10 agosto, anche noi, un gruppo di ragazzi e ragazze provenienti da tutta Italia, possiamo testimoniare con le parole di San Paolo che "Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1Cor 1,27). Dio infatti ha scelto un piccolo borgo di una regione dimenticata per costituirlo come segno profetico, luce delle nazioni davanti al quale i grandi e i potenti si coprono il volto; Dio ha scelto un gruppo di giovani per parlare al loro cuore ed affidargli il sogno della fratellanza universale, di un'umanità che sia accogliente, pacifica, plurale. 

Il campo si è svolto tra preghiera, lavoro e riflessioni; il tutto vivificato da una sintonia comunitaria che fin da subito si è stabilita tra noi partecipanti: al mattino cantavamo le lodi all'aperto, sotto un porticato che si affacciava sulla collina e perdeva lo sguardo nel mare; poi proseguivamo con le catechesi di padre Alex e suor Patrizia, sul brano biblico previsto, che davano il via alla riflessione personale e poi alle condivisioni in gruppi. Dopo pranzo celebravamo insieme l'Eucarestia e nel pomeriggio alternavamo l'animazione e i momenti di gioco coi bambini delle famiglie accolte con la preparazione della passata di pomodoro, in collaborazione con i residenti del posto. 

Cuore della settimana vissuta insieme è stato l’incontro e la testimonianza di Domenico Lucano, ex sindaco di Riace, sul modello di accoglienza ed inclusione partecipativa sognato e realizzato durante la sua amministrazione; momento da cui è scaturita l’idea di condividere con lui il “Digiuno di Giustizia e in Solidarietà con i Migranti”, che come gruppo abbiamo portato avanti nella giornata di sabato 8 agosto. Tra le motivazioni che ci hanno spinto a questo gesto ricordiamo la decisione di sgomberare la tendopoli di San Ferdinando senza offrire ai braccianti alternative abitative, il ritardo nell’erogazione dei fondi destinati ai progetti CAS e SPRAR di Riace e le disumane politiche migratorie nel Mediterraneo mantenute anche dall’attuale governo.

L’esperienza al campo lavoro di Riace è stata una delle più formative della nostra giovane vita: la lettura sociale ed economica del testo biblico che padre Alex ci ha proposto ha definitivamente abolito in noi ogni ambigua scissione tra spiritualità ed impegno politico, richiamando urgentemente alla nostra coscienza la condizione del povero, dello straniero, della amata madre terra, dei detenuti e delle vittime delle ingiustizie che pesano sulla attuale generazione. La condivisione degli spazi, della vita con i ragazzi e ragazze del campo e con le famiglie di migranti accolte dal comune di Riace hanno allargato le pareti del nostro cuore, forse un po’ chiuso in se stesso, e ci hanno permesso di gustare davvero quanto è bello e soave che i fratelli siano insieme

Abbiamo appreso l’importanza di rimanere fedeli alla terra, respirando l’aria di questa utopia concretizzata a Riace, fortemente attaccata e indebolita dalle logiche di potere e da una politica orientata ad una vita più egoista e meno accogliente. La giustizia sociale, la convivialità, la fratellanza, l’incontro con il prossimo hanno trasformato i nostri cuori impietriti in carne pulsante e si sono fatte presenza ferma e forte nei nostri scambi di sguardi, sudore e pomodori, nelle ore passate al sole, che ci hanno permesso di comprendere, in minima parte, di quanto lavoro sono frutto anche i prodotti apparentemente più semplici. Il nostro pensiero non poteva non andare ai nostri fratelli sfruttati nei campi, nelle officine, nel precariato e nella disoccupazione che non ricevono la giusta paga. Prendiamo il pane e il profitto, spezziamolo e ridistribuiamolo ai nostri fratelli. Sappiamo che non esiste infatti pace senza giustizia e le nostre fruste sono state forse troppo pazienti e il nostro amore troppo timido nel manifestarsi. Quando rovesceremo i tavoli dei cambiavalute, dei mercanti e dei banchieri per fare posto nel nostro cuore alle disgrazie dei nostri fratelli sfruttati, repressi, calpestati, odiati? Quando noi, laureati e dottori, sporcheremo le nostre scarpe nel fango della storia diventando i nuovi samaritani?

Siamo chiamati ad essere profezia e a creare comunità profetiche in questo tempo storico complesso, che ci interroga e ci chiede di scendere in strada e a fianco dell’oppresso e del creato, “nella convinzione che l’umanità esiste soltanto plurale [...] scoprendo l’altro, vivendo con l’altro, ascoltando l’altro, lasciandosi plasmare dall’altro, non perdendo la propria identità e rinnegando i propri valori ma concependo un’umanità plurale, non esclusiva” (P. Claverie, vescovo, in A. Candiard, Pierre e Mohamed. Algeria, due martiri dell’amicizia, Bologna 2018).

Forti di questa esperienza vogliamo portare avanti questa bisaccia di sogni e testimoniare la bellezza di questi giorni giocandoci la vita con i tanti fratelli e sorelle di questo mondo. Camminiamo insieme per costruire un’umanità più giusta, vera, conviviale, insomma, un’umanità nuova, un’umanità plurale.              

I giovani del campo 

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