Carissimi e carissime, Jambo!
Grazie per
lo splendido lavoro che state facendo nelle oltre 500 botteghe del commercio
equo e solidale (Ces) sparse in Italia. Girando per questo paese, ho trovato
botteghe dove lavorano persone splendide e che sono veri luoghi di condivisione,
di informazione, di resistenza. Grazie per l’ospitalità e il calore umano che vi
ho trovato. Ho visto il Ces nascere quando ero a Nigrizia ed espandersi quando ero a
Korogocho. Poi l’ho conosciuto più dal di dentro quando a Korogocho iniziò la
cooperativa Bega Kwa Bega che ebbe il suo sbocco nel commercio equo e
solidale.
Per me il Ces è un grande dono, una perla
preziosa per resistere al sistema. Sappiamo bene poi che questo sistema
economico-finanziario neo-liberista è talmente scaltro che può trasformare anche
questa “perla” in un suo fiore all’occhiello. Corriamo il pericolo di buttare le
perle ai porci. Per cui è giusto chiederci dopo 20 anni di CES a che punto
siamo. Permettetemi come compagno di viaggio di esporvi alcuni aspetti che mi
lasciano perplesso.
1. La grande
distribuzione è in rapida crescita Sembra che la metà del fatturato
alimentare del Ces si venda sulla grande distribuzione. Mi sembra che nei punti
vendita dei supermercati non c’è uno sforzo serio di informazione e
coscientizzazione. Questo mi sembra tradisca lo scopo stesso del Ces che è nato
non per mandare qualche soldo in più al Sud del mondo, ma per far capire ai
consumatori del Nord che c’è qualcosa di radicalmente sbagliato nella filiera
commerciale.
Scopo del Ces infatti è cambiare le regole del
gioco perché c’è qualcosa di radicalmente ingiusto nel sistema economico
internazionale. È vero che i contadini impoveriti del Sud ci chiedono di vendere
sempre più i loro prodotti, ma non è così che risolveremo i loro problemi. Se ci
dimentichiamo che il Ces è uno strumento politico per coscientizzare i
consumatori del Nord a cambiare le regole del commercio internazionale, non
otterremo nulla. Avremo fatto solo carità.
Avevo ritirato il mio nome da Transfair proprio
perché, a mio avviso, non faceva uno sforzo sufficiente per informare coloro che
comperavano quei prodotti. Ed in questo avevo allora l’appoggio del Ces. Ora è
lo stesso Ces che rischia di trovarsi nella stessa situazione.
2. Lo sforzo politico è in calo Mentre
il Ces a livello economico prospera, non altrettanto si può dire del suo impegno
politico. Trovo spesso nel Ces una mancanza di sensibilità politica che mi
sconcerta! È incredibile per me vedere che spesso su importanti questioni
politiche (non parlo di partiti!), il Ces non c’è. Questa mancanza della
dimensione politica può portare a conseguenze per me
assurde.
So di certo che la Max Havelaar (il corrispettivo
del Ces in Svizzera) vende alla McDonald’s di quel paese, quaranta tonnellate di
caffè all’anno!!! E questo nel quasi totale silenzio delle botteghe svizzere che
trovano difficile protestare. Ma allora a cosa serve il Ces? A vender di più
per aiutare i poveri?
3. Uno
stimolo a consumare di più? Se l’enfasi del Ces va al primato del
commercio, al vendere di più, è chiaro che l’invito ad uno stile di vita più
sobrio, a consumare di meno, andrà decrescendo. Eppure è il cuore del Ces che
dovrebbe invitare tutti a consumare di meno, ad avere uno stile di vita più
semplice. Un esempio di questa tendenza è l’apertura di tante botteghe durante
le “domeniche d’oro” (precedenti la festa di Natale, la festa per eccellenza del
consumismo mondiale). È ovvio che in quelle domeniche si vende di più. Ma è
giusto? Non rischiamo di entrare nel grande giro del consumare, consumare,
consumare … Le botteghe dovrebbero essere dei luoghi dove la gente impara ad
essere più sobria, più essenziale.
4. Punto d’incontro, di relazioni? Ogni
bottega del mondo dovrebbe essere il luogo dove si sperimentano relazioni umane,
fraternità, serenità, gioia di vivere. È un aspetto fondamentale questo per ogni
bottega in una società come la nostra dove viene imposta una massificante
cultura, materialista e consumista, che ci riduce tutti a atomi, a tubi
digerenti dove non esistono più autentiche relazioni umane.
Ecco perché è così importante la bottega (con il
rifiuto del supermercato!), dove si sperimenta la gioia dello stare insieme,
della celebrazione, dell’incontro anche interculturale e interreligioso. L’anima
di ogni bottega dovrebbe essere una piccola comunità che ama ritrovarsi, far
festa, danzare la vita. Ogni comunità dovrebbe essere una comunità alternativa
alla cultura dominante.
5. E il
volontariato? È sotto gli occhi di tutti la tendenza ad assumere
impiegati in bottega a scapito del volontariato. È chiaro che una volta che il
volume commerciale di una bottega cresce, si dovrà assumere personale per far
fronte al lavoro. Per questo l’assunzione di personale dovrebbe essere temuta
entro precisi limiti. Guai a noi se perdiamo la dimensione del volontariato in
bottega. Il rischio è che alla fine ci guadagneremo sempre noi del Nord a
scapito dei poveri ai quali daremo le briciole. Ho potuto toccare questo con
mano con la cooperativa Bega Kwa Bega di Korogocho.
6. L’Africa fanalino di coda L’Africa
sembra, purtroppo, essere all’ultimo posto nel Ces. È una constatazione questa
che mi ferisce proprio perché l’Africa è il continente oggi più disastrato. Ma
perché il Ces sta investendo così poco in questo continente crocifisso? Perché
così pochi prodotti africani nelle nostre botteghe? Lo so, per esperienza, che è
più difficile lavorare con gli africani. Ma oggi è proprio l’ora dell’Africa!
Quand’è che il Ces deciderà di investire di più in Africa?
7. E il lavoro in rete? Girando per
l’Italia, ho trovato botteghe della stessa città che non si parlano, che non
collaborano e che non lavorano in rete! Ma che razza di commercio equo e
solidale è mai questo? Come fanno botteghe della stessa città a guardarsi in
cagnesco, rifiutandosi per di più di partecipare alla rete cittadina? Il Ces è o
non è uno strumento politico di resistenza al sistema? E non dovrebbero le
botteghe di una stessa città essere le promotrici di reti locali che raccolgono
tutte le realtà di resistenza al sistema?
8. Comunità locali autosufficienti Il
Ces non è fine a se stesso, ma deve aiutare tutte le forze critiche presenti sul
territorio per far nascere quelle esperienze locali alternative che permettano
poi l’emergere di soluzioni economiche di più vasto raggio. “L’elemento chiave
di questa prospettiva - afferma il teologo tedesco U. Duchrow nel suo libro
Alternative al capitalismo globale – è di rendere le comunità locali il più
possibile autosufficienti e proteggerle dagli effetti dannosi del mercato
mondiale”.
Oggi non è più sufficiente fare resistenza, ma
sarà sempre più compito del Ces creare spazi economici locali autosufficienti. È
fondamentale – afferma sempre Duchrow - “la creazione di spazi economici locali
con mercati locali che siano orientati al bisogno, sostenibili dal versante
ecologico e promuovano il lavoro”. Il noto teologo tedesco Duchrow conclude:
“Per questa evoluzione è molto importante il decentramento
dell’approvvigionamento energetico con energie rinnovabili (sole, vento, acqua,
…) e lo sviluppo dell’agricoltura biologica preferibilmente nella forma della
cooperativa dal produttore al consumatore.
Scrivo questa lettera dal
Quartiere Sanità dove vivo, uno dei quartieri a rischio di questa grande città
di Napoli, il più grande complesso urbano d’Italia e vero cuore del Sud. Vorrei
proprio ricordare anche alle botteghe del Nord di non dimenticarsi del commercio
equo e solidale del Sud. Le botteghe si sono infatti propagate molto al Nord e
al Centro, ma poco al Sud. E questo per tante ragioni. Penso che sarebbe un bel
gesto se le botteghe del Nord dessero una mano alle botteghe del Sud per poter
decollare. È così brutto veder che c’è un Nord e un Sud anche nel
Ces!
Questa lettera che vi proviene dal cuore del
Sud vuole essere un grido di allarme, ma anche un inno di grazie per lo
splendido lavoro che il Ces ha fatto in questi 20 anni. Tutta l’Europa guarda
con meraviglia alla nostra maniera di fare commercio equo e solidale. Non
sciupiamo questa perla preziosa che ci è stata affidata, ma rendiamola sempre
più strumento efficace di resistenza. Buon lavoro.
Jambo
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