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La riflessione per la Pasqua 2020 di padre Alessio Geraci con l'invito a passare "dall’oscurità alla luce, dall’idolatria alla fede nel Risorto, dall’io al noi, dall’essere solitari all’essere solidali, dallo spirito di competizione allo spirito di compassione, dalla globalizzazione dell’indifferenza a quella della tenerezza, dalla morte alla vita!"

Lui vive e ti vuole vivo!

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    Padova, 12-04-2020, Domenica di Risurrezione

Cristo è risorto! Allelulya Alleluya! E’ Pasqua!!! Vorrei iniziare queste riflessioni con una parte di canzone che ci aiuta ad entrare in questo clima pasquale:

“Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede, nei miti eterni della patria o dell'eroe. Perchè è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura una politica che è solo far carriera il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto E un Dio che è morto Nei campi di sterminio, Dio è morto Coi miti della razza, Dio è morto Con gli odi di partito, Dio è morto Ma penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi Perchè noi tutti ormai sappiamo Che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge In ciò che noi crediamo, Dio è risorto In ciò che noi vogliamo, Dio è risorto Nel mondo che faremo, Dio è risorto”
La canzone era “Dio è morto”, scritta dal cantautore Francesco Guccini nel 1965.

«Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Lui vive e ti vuole vivo!» (CV 1)


con queste parole del magistero di papa Francesco, vorrei aprire le mie riflessioni pasquali di quest’anno.

Questa notte, nelle nostre case che sono diventate vere e proprie chiese domestiche, abbiamo potuto ascoltare tramite la televisione o le reti sociali il canto dell’Exultet ed in particolare queste bellissime parole:«Esulti il coro degli angeli, esulti l'assemblea celeste e un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra inondata di nuova luce! Lo splendore del re ha vinto le tenebre, le tenebre del mondo!». Ecco, tutto questo ci invita ad avere nel cuore questa gioia che abbatte le nostre tristezze e le nostre pene: la gioia della Risurrezione.

Oggi, come credenti celebiamo il trionfo della vita! Il sepolcro è vuoto...non sono stati uomini o donne ad aprirlo, né i soldati romani né ben che meno i sommi sacerdoti o i farisei. Il sepolcro è vuoto perché una cosa straordinaria è accaduta: la morte è stata sconfitta. Per sempre. É risorto, come aveva promesso ai suoi. É risorto e questa è la notizia delle notizie. Veramente era uomo. Veramente è morto su quella croce dopo torture e supplizi. Veramente è stato sepolto. E veramente è risorto dai morti. E' questa la nostra fede...un Dio che si fa scandalosamente uomo, lavorando e sudando e dopo aver ridato dignità e vita a tutti gli oppressi, condannato ingiustamente, muore in croce, e risuscita. Senza la Risurrezione dal resto, ce lo ricorda San Paolo, vana sarebbe la nostra fede (1 Cor 15,17). E alla risurrezione, siamo chiamati anche tutti noi. Questo trionfo della vita lo celebreremo in maniera piena quando quest’emergenza sanitaria sará finita e potremo tornare ad abbracciarci come amici e come fratelli, e insieme costruire un’umanitá nuova, migliore, piú fraterna ed umana, partendo dalla cura delle nostra “casa comune”, la nostra madre e sorella terra.

Il Dio di tutti i crocifissi della storia, è vivo e grida forte dalle falde di tutti gli imperi del mondo: solo l’Amore è capace di vincere la morte. Il nostro Dio, che ha sconfitto la morte, è il Dio dei vivi (Lc 20, 38; Ap 1, 18), il Dio della Vita, il Dio che dà vita, il Dio di ogni consolazione (2 Cor 1, 3). É il Dio degli oppressi, degli schiacciati, degli esodati, di chi questa notte, come ieri notte e come domani notte, non avrà un tetto su cui ripararsi, di chi è stato sfrattato, di tutti gli umiliati e discriminati a causa della loro razza, pelle, ideologia, religione e orientamento sessuale, di chi ha perso il lavoro, di chi è sfruttato, sottopagato, di chi è perennemente ingannato dai politicanti di turno.

C’è totale e piena corrispondenza tra Colui che è stato Crocifisso e Colui che è Risorto. Ed è Gesù di Nazaret, morto, sepolto e risorto, che i discepoli cominciano ad annunziare nella Palestina di oltre 2000 anni fa. Non lo faranno subito, per paura di fare la stessa fine di Gesù (Gv 20, 19) ma aspetteranno Pentecoste (At 2, 1-41), momento in cui, ricevuto il dono dello Spirito Santo, romperanno gli indugi, supereranno la paura e apriranno per sempre quelle porte che li tenevano legati non solo alla loro casa ma anche al loro mondo e alla loro mentalità; con lo Spirito Santo che irrompe e che infiamma i loro cuori, spingendoli ad andare “ fuori ” diventeranno chiesa…e i discepoli così saranno apostoli: inviati, mandati ad annunziare fino ai confini della terra (At 1, 8) la stupefacente meraviglia che i loro occhi avevano visto, che il loro cuore aveva sperimentato.

E noi come i discepoli e le discepole di Gesù di 2000 anni fa, siamo chiamati ad essere testimoni della Risurrezione, che in concreto significa come dice il domenicano peruviano e teologo della liberazione Gustavo Gutiérrez, «optare per la vita, per tutte le espressioni della vita, perché nulla sfugge alla globalità del Regno di Dio. Essere cristiano è essere testimoni della resurrezione, proclamare il Regno della vita».

Penso che se Gesù fosse sceso dalla croce, salvando la sua vita, come gli chiedevano ironicamente in quegli attimi drammatici (Mt 27,40.42; Mc 15,30.32) forse il potere religioso avrebbe creduto in Lui, ma Gesù avrebbe perso la sua umanità: un uomo non può scendere da quella croce! E Gesù era veramente e pienamente uomo, e veramente e pienamente Dio. Questa è stata l’ultima grande tentazione alla quale Gesù riesce a resistere: a chi gli chiede l’ennesimo segno, l’ennesimo prodigio, Lui risponde con la fedeltà al Padre, nella piena speranza/certezza della Risurrezione. Come ci ricorda dal Brasile il teologo della Liberazione Leonardo Boff «Gesù non cercò la morte, né essa fu desiderata dal Padre. Gesù voleva vivere e si aspettava la realizzazione del suo sogno, il Regno. Ciò che il Padre voleva non era la morte del Figlio, perché Dio non è crudele, ma la sua fedeltà, che poteva comportare la morte violenta. Tra lacrime, angosce e grida di disperazione, Gesù mantenne fino alla fine la fedeltà a sé stesso, al sogno, agli uomini e donne umiliati e offesi e al Padre. Pur amando la vita, dovette consegnarla e accettare la morte, caratterizzata come un'esecuzione giudiziale». Ecco, queste stupende parole di Leonardo Boff ci aiutano a capire come davvero la Risurrezione sia la risposta di Dio al grido disperato dell’umanità.

Un altro teologo della liberazione, il gesuita basco Jon Sobrino, ci ricorda che «dobbiamo scegliere tra la compassione e l'indifferenza, la giustizia e l’oppressione. Secondo Gesù, il compito fondamentale di ogni essere umano è quello di umanizzare la realtà a partire dalla verità e dalla misericordia primordiale di fronte alla sofferenza della vittime. E questo lo si fa anche a partire dall’obbedienza – parola scioccante, non molto gradita in Occidente – all’ “autorità di coloro che soffrono”. Umanizzare è guarire, dare da mangiare, cacciare demoni, accogliere e consolare deboli, denunciare e dire la verità, generare comunità e celebrare intorno a una mensa, annunciare cieli nuovi e terra nuova. Confluisce con l’ “altro mondo possibile”, ma ben spiegato. Si tratta anche, ovviamente, di cambiare, abbastanza radicalmente, strutture economiche, politiche favorevoli agli armamenti, culturali. Umanizzare è anche essere aperti perché il mistero di Dio ci mostri il suo volto. Dobbiamo scegliere tra farci carico della croce delle vittime o prenderne le distanze. Secondo Gesù, distanziarsi dalla realtà è il principio della negazione dell’umano e del divino. Di fronte ai cambiamenti dobbiamo camminare con coerenza; di fronte alle croci, con fermezza e con disponibilità a farcene carico, e questo in un mondo in cui abbonda molto più Pilato, che condanna a morte, che cirenei che aiutano a portare, o evitare, la croce. Gesù ci chiede di essere disposti a farci carico della croce dei poveri e degli oppressi, prodotto dell’ingiustizia che ricade anche su coloro che lottano contro quest’ultima». Bellisima questa lunga citazione di Sobrino che ci fa capire come davvero non possiamo rimanere indifferenti davanti i crocifissi della storia e che quindi è necessario umanizzare la società, facendoci carico delle vittime, con compassione e misericordia e non con indiferrenza. Penso davvero che se il nostro discepolato non è capace di umanizzare la realtà e la società, sarà un discepolato sterile.

Che questa Pasqua ci aiuti ad essere discepoli fecondi, testimoni di speranza, portatori di pace, instancabili costruttori di ponti e “distruttori” di muri!

Sant’Ambrogio (339-397), padre e dottore della Chiesa, considera la Risurrezione di Gesù «il primo e il più grande fondamento della fede» perché come ci ricorda Paolo, «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1 Cor 15, 20). Ecco allora a cosa siamo destinati: a risorgere in Cristo e con Cristo. E quanto bisogno abbiamo di risorgere, specialmente in questo tempo di pandemia globale per il coronavirus. Quanto bisogno abbiamo di spezzare le catene che ci rendono schiavi, incatenati a qualcosa, o a qualcuno! Quanto bisogno abbiamo di essere liberi. Veramente liberi. Pasqua sarà veramente Pasqua se amiamo ed amiamo veramente, abbattendo per sempre il muro dell’odio e della morte. Sarà veramente Pasqua se liberati dalle catene della schiavitù del peccato, liberiamo chi più lo necessita. Sarà veramente Pasqua se amati da Dio con un Amore immenso ed eterno, amiamo tutti gli altri, specialmente chi non si sente amato da nessuno. Sarà veramente Pasqua se, risorti con Lui, aiutiamo a risorgere chi vive, però si sente morto dentro. Sarà veramente Pasqua se in ogni gesto, in ogni parola, in ogni azione, daremo vita e non morte.

Utilizzando l’azzeccata definizione di Jon Sobrino, secondo la quale i poveri sono «coloro che non sono», coloro che non contano niente quindi, ritengo che sia molto importante sottolineare, come abbiamo visto in questa notte santa, che sono le donne (escluse, emarginate, la cui testimonianza non contava niente) a ricevere l’annunzio della Risurrezione. Prima dalle parole dell’angelo, e poi dallo stesso Gesù. Vorrei sottilineare tre cose in questa scena che ci narra l’evangelista Matteo.

La prima è la parola iniziale con la quale prima l’angelo e poi Gesù si rivolgono alle donne: «Non abbiate paura» (Mt 28, 5) e «Non temete» (Mt 28, 10). É una Parola che oggi ci viene rivolta, che viene rivolta ad ognuno di noi, che per diverse ragioni, e ne sono sicuro, tutte valide, viviamo nella paura. La seconda: alle donne, l’angelo e Gesù affidano il compito di essere annunziatrici della Risurrezione (Mt 28, 7.10). Non sono quindi i discepoli i quali possono contemplare subito la gloria della Risurrezione, il miracolo della Vita, ma le donne, la cui testimonianza, come già detto, non valeva niente. Però, ed è molto importante sottolinearlo con forza, senza la testimonianza delle donne, non avremmo la testimonianza della Risurrezione! Ci fa vedere quindi l’importanza delle donne nella vita ecclesiale e ci spinge a domandarci davvero, quale è il ruolo della donna oggi nella nostra chiesa. La terza: alle donne, nel momento dell’invio, Gesù dice: «Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno» (Mt 28, 10). Gesù quindi chiama suoi fratelli, coloro i quali lo hanno tradito, rinnegato, abbandonato nell’ora più dolorosa e drammatica. Perchè l’errore, il peccato, non può mai essere l’ultima parola perchè l’ultima parola, quella definita, ce l’ha sempre la vita e il sogno di un mondo nuovo, dove tutti siamo e saremo fratelli. E Galilea, oltre ad essere un luogo geográfico è un luogo teologico, indicando quello che oggi possiamo ben tradurre con l’espressione coniata dal papa Francesco “periferie esistenziali e geografiche”. É li che torneremo a vedere il Signore Risorteo: in ogni impoverito, discriminato, emarginato, escluso, oppresso. In ogni uomo e donna di buona volontà che lotta instancabilmente per un mondo migliore, con le armi della non violenza, e cerca la pace, la giustizia e l’integrità della creazione.

Dio, Padre Onnipotente nell’Amore e nella Misericordia, Figlio Salvatore e Liberatore di tutte le catene umane, Spirito di Vita, Fuoco di Amore e di Verità, ci guidi, ci preceda e ci accompagni nel meraviglioso viaggio che è la vita, e soprattutto nel passaggio dall’oscurità alla luce, dall’idolatria alla fede nel Risorto, dall’io al noi, dall’essere solitari all’essere solidali, dallo spirito di competizione allo spirito di compassione, dalla globalizzazione dell’indifferenza a quella della tenerezza, dalla morte alla vita! Buona Pasqua di Risurrezione e di Liberazione per voi e per le vostre famiglie!

Padre Alessio Geraci, mccj

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