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LIBERARE I SOGNI

I ‘sognatori’ dell’Isis
Cosa sognano gli strateghi dell’Isis? “Sognano un’Europa islamofoba”, afferma il giornalista canadese Gwynne Dyer. Sognano “capi di stato europei che dichiarino guerra all’Islam”, sognano di convincere tutti i fedeli islamici “che il mondo musulmano è sotto l’attacco del malvagio Occidente cristiano”. Sognano una ‘scontro di civiltà’, sognano una guerra di religioni. Ed è probabilmente per questo che i terroristi

I ‘sognatori’ dell’Isis

Cosa sognano gli strateghi dell’Isis? “Sognano un’Europa islamofoba”, afferma il giornalista canadese Gwynne Dyer. Sognano “capi di stato europei che dichiarino guerra all’Islam”, sognano di convincere tutti i fedeli islamici “che il mondo musulmano è sotto l’attacco del malvagio Occidente cristiano”. Sognano una ‘scontro di civiltà’, sognano una guerra di religioni. Ed è probabilmente per questo che i terroristi stanno concentrando i loro attacchi sulla Francia, perché la Francia, in questo momento, è il paese europeo più esposto a una deriva xenofoba di estrema destra. Il sogno dell’Isis è che Marine Le Pen diventi presidente della Repubblica francese. Non tutti i musulmani condividono questo sogno. Anzi, la maggioranza sognano altri sogni. Tahar Ben Jelloun, ad esempio, famoso scrittore marocchino, sogna che i fedeli islamici scendano in massa in piazza per gridare questo messaggio: “Liberiamo l’Islam dalle grinfie del Daesh!”.

Anche l’imam di Al-Azhar, massima autorità dell'Islam sunnita, nutre un sogno molto bello, e ha voluto esprimerlo insieme al papa. Nel maggio scorso, a Roma, Francesco e Ahmad Al-Tayyib hanno espresso pubblicamente il loro desiderio di “un impegno comune delle autorità e dei fedeli delle grandi religioni per la pace nel mondo e per il rifiuto della violenza e del terrorismo”. Ahmad al-Tayibb, dopo l’uccisione di padre Jacques Hamel, a Rouen, ha sottolineato che “gli autori di questo attacco barbaro si sono spogliati dei valori dell'umanità e sono andati contro tutti gli insegnamenti dell’Islam che predica la pace“.

E noi cosa sogniamo?

Sono molto interessanti le poche parole che ha detto il papa sull’aereo che lo portava a Cracovia: "Abbiamo bisogno di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace. E quando parlo di guerra parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione. C'è guerra per interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli. Questi sono i motivi. Qualcuno parla di guerra di religione, ma tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri, capito?". Il papa, in maniera accorata, ci ricorda una verità che noi fatichiamo molto ad assumere, e cioè che il mondo ha perso la pace molto tempo prima del massacro di Nizza e della barbara uccisione di padre Hamel. E l’ha persa perché ci sono alcuni stati che vogliono mantenere il dominio sui popoli e alcuni commercianti senza scrupoli dediti a guadagnare soldi attraverso la vendita delle armi. L’ha detto anche padre Ibrahim Sabbagh, parroco di Aleppo, città martire della Siria che, senza escludere l’elemento religioso, afferma però che “il primo elemento che causa guerra e violenza in Siria è l’interesse economico, che è molto importante, perché qui ci sono grandissimi pozzi di petrolio e di gas. E poi, legato a questo, c’è un altro elemento imponente, che è quello del dominio, del potere: vedere chi dovrà controllare tutto il Medio Oriente”.

Sì, perché quest’anno, nel silenzio quasi totale dei nostri mezzi di comunicazione, in Siria sono state massacrate migliaia di persone, vittime di bombardamento. A titolo di esempio, il 24 luglio scorso aerei russi e governativi hanno bombardato sette ospedali ad Aleppo, uccidendo decine di persone, tra cui un neonato di 2 giorni. Ma in realtà è da qualche anno che in Siria ci sono vittime innocenti tutti i giorni, per un totale di almeno 400.000 morti. Un’altra città siriana che ultimamente ha molto sofferto è Manbij, i cui abitanti sono esposti ai bombardamenti della Coalizione filo-Usa, oltre che alle rappresaglie degli ultimi jihadisti dell'Isis rimasti nella zona. "Non ci sono posti sicuri per proteggerci dai raid aerei. Ogni cittadino di Manbij è considerato un terrorista dagli americani", ha affermato Muhammad Khatib, ex consigliere comunale della città. L'Unicef ha detto che nei raid degli ultimi giorni sono stati uccisi più di 20 bambini ma in totale si parla di almeno 130 morti. Perché ricordo tutto questo? Perché c’è un gap terribile nella nostra informazione: noi sappiamo tutto sugli attentati dei terroristi islamici in Europa, ma non sappiamo niente, ad esempio, sui massacri compiuti in Siria dagli aerei e dai soldati di governi ‘cristiani’ (Russia, Francia, USA, etc.). Solo se colmiamo questo gap possiamo capire l’esclamazione decisamente irritante di un immigrato algerino che mi dice: “Un prete ucciso in Francia? Sì, OK, è una cosa brutta, ma quanti innocenti avete ucciso voi?”.

Allora se Tahar Ben Jelloun sogna che i musulmani scendano in piazza per denunciare la violenza del Daesh, io sogno che i ‘cristiani’ occidentali scendano in strada per denunciare i bombardamenti e i massacri realizzati in Siria con la collaborazione diretta o indiretta di vari governi occidentali. Sono convinto che non ci può essere pace senza comprensione reciproca, e non ci può essere comprensione senza conoscere la verità su quella “guerra mondiale a pezzi” tante volte denunciata da Francesco.

Il sogno di Dio

In questo periodo, in Europa, c’è chi invoca politiche di chiusura totale verso i musulmani e sogna uno stato di polizia. E’ chiaramente un ‘sogno’ speculare alla guerra di religione sognata dall’Isis. E mi domando: a questo vogliamo ridurre la nostra civiltà? a far dipendere i nostri sogni dai ‘sogni’ dell’Isis? Possibile che non riusciamo ad immaginare un mondo sostanzialmente diverso da come lo immagina Al-Baghdadi, cioè un mondo soffocato e devastato da una guerra di religioni? Dobbiamo allora liberare i nostri sogni dalle grinfie del Daesh e rivendicare la libertà di un sognare un mondo ‘altro’. Dio sogna con estrema libertà. E sogna nientemeno che una fraternità integrale, sogna che scompaia ogni traccia di odio e di discriminazione dovuta a motivi religiosi, sociali o di genere: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Questa frase Paolo non se l’è inventata dal nulla, ma si è ispirato a quello che lui vedeva in molte comunità cristiane, in cui convivevano ebrei e pagani, schiavi e liberi. Era una novità assoluta, era una comunità mai vista prima!

Una nuova visione comunitaria per un’Europa multiculturale e plurireligiosa

Non è possibile nessuna convivenza pacifica se coloro che vivono in una stessa società non condividono una “visione comunitaria profonda”, come la chiama Tich Nat Hahn, monaco buddista. Ovviamente dentro una società si possono avere diverse opinioni e diverse sensibilità ma è necessario condividere una visione, una meta, una spiritualità basata su alcuni valori ‘forti’ imprescindibili per tutti. Il giorno di Pentecoste lo Spirito è sceso su una miriade di popoli presenti a Gerusalemme, fra cui c’erano anche gli Arabi (Atti 2,11). Finora, almeno in Italia e in Europa, la nostra visione comunitaria profonda si basava su valori che – direttamente o indirettamente – facevano riferimento a un’unica religione. Oggi viviamo, e vivremo sempre più, in un’Europa multiculturale e plurireligiosa, in cui convivono europei, africani, latinoamericani, asiatici, cristiani, musulmani, buddisti. Siamo dunque chiamati a riprendere lo Spirito di Pentecoste, e ad elaborare una nuova visione comunitaria profonda insieme a tutti questi popoli, culture e religioni presenti sul nostro territorio. E’ una sfida affascinante, e in un certo senso la minaccia dell’Isis è uno stimolo ad accelerare la realizzazione di questo sogno. Come primo punto di questa visione condivisa io metterei lo spirito di fraternità, cui non a caso si sono richiamati in questi giorni sia i cristiani che i musulmani. “L'obiettivo dei terroristi è metterci gli uni contro gli altri. Se vogliamo vincere contro il terrorismo, dobbiamo rispondere con più solidarietà, più fraternità, ha affermato l'imam di Saint-Etienn. E gli ha fatto eco monsignor Pontier, presidente della Conferenza episcopale francese: "Rigettiamo il sentimento di vendetta. In molti cercano di mettere divisioni tra noi, ma questo non è un percorso cristiano. La fraternità è la nostra forza, e se si mette in discussione questo principio si andrà verso la distruzione".

Lo Spirito di Gesù ci aiuti a vivere il sogno di Dio e a costruire assieme ai nostri fratelli e sorelle una visione comunitaria profonda che assicuri a noi e ai nostri figli un presente e un futuro di pace!

Fratel Alberto Degan

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