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FACCIAMO L'UOMO! Alla ricerca di un senso

fr. Alberto Degan


 

FACCIAMO L’UOMO!
 

Alla ricerca di un senso


 “Facciamo l’uomo...” (Gen 1,26): questo è il progetto principale di Dio, la sua passione di vita: fare l’uomo, creare l’uomo, un uomo che si comporti umanamente. E vuole coinvolgerci tutti in questo progetto, per questo usa il plurale: Facciamo l’uomo...
Come dice Enzo Bianchi, forse qui Dio si rivolge all’umano che sta nascendo: Dio vuole un interlocutore, è alla ricerca di una relazione. Facciamo l’uomo... Non è una cosa che si fa una volta per tutte: è un continuo fare, un continuo lottare, un continuo camminare, un continuo cercare. Potremmo chiamarlo “Progetto Uomo”: Dio crea l’uomo come bellezza da realizzare, come ricerca di pienezza, ma anche Dio sta cercando un senso pieno per la sua vita in questa creazione e in questa relazione. Dio vuole ‘fare l’uomo’, vuole costruire una storia umana, vuole che ad orientare e a condurre la storia sia un’umanità umana. Non è semplice...

Il grido come ricerca di un senso pieno
Non è semplice, e anzi, spesso sembra che l’uomo rinneghi questo progetto, che si rifiuti di comportarsi in maniera umana. Quante volte il desiderio di Dio di costruire una storia umana rimane frustrato! E allora, cosa fare? Prima di tutto bisogna gridare! “Nei giorni della sua vita terrena egli (Gesù) offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime” (Eb 5,7). Di fronte alla violenza e all’ingiustizia che sembra dominare la storia e di cui egli stesso è vittima, Gesù grida, Dio grida. Il grido è l’espressione di un desiderio che non accetta di essere soffocato, e allora… urla! Ma perché gli interessi di pochi valgono più della vita dell’umanità? Non ha un senso, non è giusta questa vita, non è umana questa storia! Di fronte alla disumanità imperante, il primo gesto da compiere per fare l’uomo, per richiamarlo alla sua responsabilità di costruire un futuro umano è… gridare.

Dio come ‘ricerca di senso’
Anche il prologo di Giovanni ci ricorda il progetto originario di Dio:“In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio... Tutto è stato fatto per mezzo di lui... In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini...” (Gv 1,1-4).
‘Parola’ nel greco neotestamentario si dice ‘Logos’. Secondo Heidegger logos deriva dal verbo legein che originariamente significava ‘raccogliere’, ‘mettere insieme i pezzi’. La parola – logos – nasce da una raccolta di suoni: un suono, da solo, non ha nessun senso; ma se metto insieme i suoni creo una parola che ha un senso pieno, o che almeno lo sta cercando. Allora dire che ‘al principio Dio era Parola’ significa che ‘sin dall’inizio Dio è raccolta, ricerca di senso’. Da sempre Dio è alla ricerca di un senso pieno per la sua vita!!!!
La sua vita è la luce degli uomini: vivere, per Dio, è essere luce degli uomini, è entrare in relazione con noi per accenderci un lume. Aiutarci a dare un senso alla nostra vita dà un senso pieno anche alla vita di Dio.
E in effetti, ciò che dà senso alla nostra esistenza è il fatto che qualcuno ci rivolga la parola, che qualcuno risponde al nostro grido e ci rivolge il suo sguardo, perché è interessato a stabilire un rapporto di amicizia con noi. Ogni parola è ricerca di una risposta, di una relazione. Per cui ogni parola – nella sua verità più profonda – è preghiera, è invocazione, cioè è richiesta di attenzione, richiesta di comunione. Allora dire che Dio è parola è dire che Dio ci invoca per entrare in comunione con noi e così dare un senso pieno alla sua e alla nostra vita.

La ‘ricerca di senso’ come ’marchio’ di tutta la creazione
Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste: Tutto è stato fatto per mezzo del ‘Logos’: questa ricerca di senso è l’impronta che Dio ha lasciato su tutta la creazione. Il Signore ha voluto coinvolgere tutto il creato – e prima di tutto l’uomo - in questa ricerca di pienezza, ha voluto trasmettere a tutte le sue creature la sua sete di bellezza.
La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno soffocata. Lo possiamo testimoniare anche noi: dopo due millenni le tenebre dell’ingiustizia e della violenza non sono riuscite a soffocare questa luce, questo nostro desiderio di continuare a cercare un senso alla nostra vita pur in mezzo a tante difficoltà.

Un Dio che fa la fila
Gesù, il Logos incarnato, giunge a un punto cruciale della sua ricerca quando decide di immergersi nel Giordano. “Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui”. A Giovanni che vorrebbe impedirglielo Gesù dice: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Dopo che fu battezzato, “Gesù uscì dall’acqua… ed ecco una voce che diceva:  - Questi è il mio figlio amato, in cui ho posto il mio compiacimento” (Mt 4,13-17).
Gesù ci mostra il volto di un Dio che – alla ricerca di un senso pieno per la sua vita - si mette in fila dietro ai peccatori e si immerge nell’acqua. Non chiede privilegi, ma cerca la gioia nell’immersione: Dio trova il senso pieno della sua esistenza nella condivisione dei dolori, delle speranze, delle fragilità e degli aneliti dell’umanità.
Ricordo che quando feci il servizio militare nessuno osava mettere in discussione le regole del nonnismo. Per cui, quando si faceva la fila per entrare in refettorio, era normale che i soldati dello scaglione più vecchio ti passassero davanti. Ricordo com’era umiliante vedere questi tuoi coetanei che arrivavano all’ultimo momento, e che davano per scontato che avevano più diritti di te, che magari era da mezz’ora che facevi la fila. Ricordo anche che, quando toccò al mio scaglione essere il più anziano, mi rifiutai di passare davanti agli altri, e allora un giovane del gruppo arrivato da poco mi disse: “Perché rimani dietro? Passami davanti! Cosa credi? che il tuo comportamento susciti in noi ammirazione? No, al massimo pensiamo che se fai così sei un po’ fesso, perché qui le regole sono queste: anch’io, quando sarò più anziano, passerò davanti”.
Gesù è il fratello maggiore che non passa davanti agli altri, che non umilia i suoi familiari, perché anzi trova gioia e pienezza solo nella giustizia, solo nel rispetto dell’umanità e dignità di tutti gli uomini e le donne. Di fronte a questo comportamento del Figlio, il Padre si commuove ed esclama: “Che bello avere un figlio come te!”. Il fatto che Gesù cerchi il senso della sua vita nella fraternità e nella solidarietà con gli ultimi dà grande gioia a Dio; e in questa gioia di avere per figlio una persona così bella anche il Padre trova il senso pieno della sua vita.

Che tipo di parola?

Stiamo dicendo che Dio è ‘parola’, ma domandiamoci: di che tipo di parola si tratta?
Tempo fa stavo parlando con Giorgio, e a un certo punto – visto che sembrava essersi dimenticato di alcune cose - gli chiesi: “Ma ti ricordi quello che mi avevi detto quella mattina in stazione?”.
”, rispose lui, “ma quanto tempo fa?”.
Sarà cinque mesi fa”, dissi io.
Appunto, cinque mesi fa”, ribadì lui e sottolineò con forza le sue parole, come dire: ‘E’ passato tanto tempo ormai…’. Io diventai tutto rosso, e pensai: ‘Mamma mia, sono proprio un matusalemme: continuo a credere che quello che abbiamo detto o pensato cinque mesi fa valga ancora… Assurdo!’.
La società postmoderna, dice Baumann, promuove e premia la dimenticanza. I ‘vincenti’ sono quelli che dimenticano, quelli che non si fanno intrappolare dai ricordi nè dagli impegni assunti.
Ma la parola di Dio funziona in altro modo, perchè Dio “si ricorda della sua alleanza, parola data per mille generazioni” (sal 105,8). Un uomo può dire: “L’ho detto tre mesi fa? Era un’altra stagione, adesso non vale più”. Dio invece ci dice: “L’ho detto sei secoli fa? duemila anni fa? Ebbene, vale ancora!   Parola data per mille generazioni!”.

Parole che si autodistruggono
L’inconsistenza delle nostre parole è senz’altro causata – almeno parzialmente – dalle nuove tecnologie informatiche. Due anni fa una ragazza statunitense si lamentò pubblicamente di Facebook. Il problema era che i suoi amici continuavano a tirar fuori cose di due mesi prima, usando alcuni suoi ‘vecchi’ commenti per punzecchiarla. Questo le dava enormemente fastidio: “Quel che ho scritto un mese fa adesso non vale più: la situazione è cambiata!”. E così un giovane di talento, Evan Spiegel, creò un nuovo programma, “Snapchat”, che ti permette di inviare un messaggio che poi si autodistrugge. In quanto tempo? dieci secondi? cinque secondi? Lo stabilisci tu: il programma crea una scadenza per quello che scrivi (e per quello che senti). Sì, decidi tu il peso delle tue parole, il valore dei tuoi pensieri: decidi tu quando scade quello che scrivi, quello che speri e che pensi. Scaduto il termine, tutto quello che hai detto e sentito si autodistrugge, non vale più! nessuno lo ricorderà!!! Si ricomincia tutto da zero!

La scomparsa del futuro?
E così, c’è il rischio di vivere in bolle di tempo che durano venti o trenta secondi: troppo poco per riuscire a costruire un senso e a delineare un futuro. Ma d’altronde, che futuro prospetta la nostra società per i giovani? “Il futuro sembra scomparso, dissolto”, commenta Ilvo Diamanti. “I giovani sono la categoria che oggi non ha lavoro e domani non avrà la pensione. Di fronte a questo, la società adulta è incapace di progettare un futuro diverso. E se noi non siamo in grado di predisporre un futuro per i nostri figli, è difficile per loro anche solo immaginarlo”.
Ad esempio, i cosiddetti “neet” - cioè i ragazzi che “non” lavorano, “non” studiano e “non” stanno facendo nessuno stage - sono circa il 30% dei giovani italiani: in  queste condizioni, quale cammino si può proporre?
Certo, per alcuni versi questa situazione è provvidenziale, perchè ci spinge a ri-creare il senso della vita, a elaborare nuovi sensi, al di fuori degli schemi già conosciuti, e a cercare il senso – prima di tutto - in noi stessi: nelle nostre potenzialità, nei nostri desideri, nei nostri dubbi e nelle nostre domande. A questo proposito, spesso mi chiedo: di fronte a questa realtà, noi missionari impegnati nella pastorale giovanile qui in Italia, cosa possiamo fare? Qual è il nostro ‘ruolo’?

Missionario tra i giovani italiani
Quand’ero giovane, si sentiva dire spesso che la società attuale è una società senza padre, una società che ha rinunciato al ruolo della figura paterna. Ma adesso, forse, le cose sono un po’ cambiate. Come commenta Massimo Recalcati, “oggi i giovani sentono bisogno di un padre; non di un padre che gli dica quello che devono fare, ma di un padre che – con la sua vita – gli testimoni che, pur in mezzo a tante difficoltà, è ancora possibile vivere una vita bella e dare un senso a questo mondo. Compito della testimonianza paterna è quello di trasmettere il senso dell’avvenire: non tutto è già stato conosciuto. Ereditare non è solo ricevere un senso del mondo ma è anche la possibilità di aprire nuovi sensi del mondo, nuovi mondi di senso”.
Insomma, non sono gli adulti che devono progettare il futuro per i giovani, ma i giovani si aspettano che gli testimoniamo che anche noi siamo cercatori di bellezza, e che questa ricerca – pur dentro tutti i nostri limiti – ha dato e dà senso alla nostra vita. Quello che dobbiamo dire ai giovani - non con discorsi ma con la nostra esperienza di vita - è che vale la pena e ha ancora senso camminare e progettare un futuro nuovo. Non si tratta di offrire loro soluzioni – che non abbiamo – ma di incoraggiarli a cercarle loro: magari insieme a noi, se ce lo permettono. Si tratta di tenere viva la fede che Dio è lo stesso ieri e oggi: Dio non si arrende e continua a cercare un senso: non da solo, ma assieme ai giovani. “Facciamo l’uomo!”… Dio lo dice anche oggi, e lo dice soprattutto ai giovani: ‘Facciamo un uomo che cerca la felicità nelle relazioni più che nelle cose! Facciamo un uomo capace di assaporare il tempo invece che farsi divorare dal tempo! Facciamo un uomo che rispetta la terra, e custodisce la vita di ogni suo fratello e sorella! Facciamo un uomo capace di creare un’economia al servizio dell’umanità!’.
Dio è alla ricerca di una vita bella anche nel ventunesimo secolo. E desidera che i giovani ricerchino questa vita assieme a Lui. Per noi animatori missionari è una grazia e un privilegio essere coinvolti in questa affascinante ricerca. (fratel Alberto Degan)

 

 

 

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