S.
Paolo, 02 di marzo 2002
Storia
di mamme coraggiose dal cuore immenso.
"Venne
la sera, e poiché era un giorno di preparazione cioé una
vigilia di Sabato, giuseppe di Arimateia, illustre membro del
sinedrio, che pure aspettava il regno di Dio, andó
coraggiosamente da pilato e gli chiese il corpo di Gesú... E
questi comprato un lenzuolo, depose Gesú dalla croce,
l'avvolse nel lenzuolo e lo depose in un sepolcro scavato
nella roccia..."
(Mc15,
42-47)
Oggi,
03 de marzo abbiamo interrato l'ennesima
vittima della violenza del nostro quartiere. Si tratta
di un giovane di 20 anni figlio di una delle donne piú attive
della nostra parrocchia, dona Dirce, che piú di 20 anni
orsono ha contribuito alla formazione delle prime comunitá.
Avevano cominciato con la messa nelle case e successivamente
erano riusciti a fondare la comunitá D. Oscar Romero.
Si
tratta dell'ennesima sconfitta della volontá di vivere in una
societá migliore, dove la persona é veramente rispettata e
possa progettare la sua vita pensando in un futuro migliore.
Abbiamo le facce stanche per le veglie notturne al lato dei
nostri figli. Siamo stanchi di accompagnare le
nostre famiglie ai sepolcri dei loro famigliari.
Abbiamo i cuori tristi per il pian to inconsolabile
delle nostre mamme che perdono tanto presto i loro figli.
Siamo stanchi di percorrere sempre la stessa Via Crucis.
Eppure
non ci disperiamo. Perché nel cuore di dona Dirce oggi non
c'era disperazione. Non c'era rabbia. Non c'era sconforto. La
tristezza della perdita del figlio non si é trasformata in un
rancore cieco. É vero che le nostre mamme (chiamo
"mamma" tutte le donne delle nostre comunitá perché
mi sento a tutti gli effetti figlio adottivo di questo Brasile
martoriato e di conseguenza di tutte le madri che adottano i
missionari) purtroppo sono "abituate" a tanta
sofferenza. Ma come diceva oggi dona Dirce, non si sentono
sconfitte perché la comunitá cristiana é la
loro forza: "Questa comunitá é per me la mia
seconda casa", diceva oggi mamma Dirce. Le donne delle
nostre comunitá credono fermamente che la violenza e la morte
non sono l'ultima parola per questo mondo tanto crudele.
"E
stavano presenti anche alcune donne che osservavano la scena
da lontano. Tra di loro, maria di Magdala, Maria, la mamma di
Giacomo il minore, e de Joset e Salomé. Loro lo seguivano
quando lui stava in Galileia. E molte altre che erano salite a
Gerusalemme con Lui."
(Mc
15, 40-41)
Ieri
notte le donne della comunitá Joilson di Jesus hanno voluto
offrire il loro conforto a una mamma sofferente. Abbiamo
camminato piú di mezz'ora per arrivare in casa di dona Dirce.
Non abbiamo detto molte parole. Neanche dona Ana, dona Raquel
e dona Josefa hanno parlato molto. Nella loro vita sono state
consolate giá molte volte quando un loro figlio era stato
raggiunto da una pallottola della polizia (che per errore
aveva considerato delinquente un adolescente reo di essere
nero...). o avevano ricevuto la notizia che il figlio era
stato portato alla polizia e forse era morto! Si, queste donne
sanno bene qual'é la sofferenza di vivere 24 ore al giorno
immerse nella incertezza di un quartiere tanto violento, come
l'attuale Gerusalemme dell'Intifada.
Abbiamo
camminato insieme per raggiungere il luogo del calvario, la
scena della sofferenza.
Mi
sono venute in menti immagine bibliche, in questi giorni di
quaresima. Nel cimitero c'era molta gente, e ho pensato che
eravamo come quelle persone che hanno accompagnato Gesú al
monte della croce. Abbiamo portato anche noi la nostra croce.
Il cimitero era pieno di Cirenei che in differenti momenti
della loro vita hanno aiutato il Cristo
di turno a sollevare quel fardello tanto pesante.
Abbiamo
inscenato la Via Crucis senza saperlo, perché la nostra
quaresima non si trova nel calendario. Si fa tutti i giorni
nelle famiglie quando il figlio é portato via dalla polizia,
o peggio ancora dal carro funebre. É quaresima nelle baracche
della favela dove manca igiene, cibo, attenzione e gentilezza
per i bambini. É quaresima per le nostre donne quando sono
violentate e sfruttate dentro di casa dai mariti e compagni
(forse il 50% delle donne della nostra regione ha avuto nella
sua storia un episodio di vilenza sessuale...)
Si
siamo in piena guerra. Guerra fatta di marginalizzazione, di
mancanza di strutture pubbliche che offrano una educazione
degna ai giovani brasiliani. Abbiamo bisogno di una
polizia che prevenga il crimine e non che ne faccia uno
strumento per arricchire le file dei corrotti. Abbiamo bisogno
di un Governo che voglia vedere crescere il Brasile con tutti
i suoi cittadini, e non solo quelli che guadagnao 30, 40
salari minimi e sono solo il 10% della popolazione.
"Javé
disse ad Abramo: Esci dalla tua terra, dai tuoi parenti e
dalla casa di tuo padre, e vai verso la terra che ti mostreró.
Io faró di te una grande popolo, io ti benediró, innalzeró
il tuo nome; sii una benedizione. Benediró chi ti benedirá,
malediró chi ti maledirá. Perché saranno benedetti con te
tutti i popoli della terra."
(Gn
12,1-3)
Vogliamo
veramente una "terra senza mali", richiamando il
tema della Campagna della Fraternitá di quest'anno. É la
terra violentata da 500 anni di conquista e menzogne, che i
popoli indigena hanno perso e non ritroveranno piú. É la
terra promessa ad Abramo e ai suoi discendenti, cioé a noi.
Abbiamo
bisogno di speranza e dobbiamo credere che é possibile
costruire una societá piú giusta e solidale.
"Non
c'é pace senza giustizia, non c'é giustizia senza ugualianza
sociale".
Sì,
sogniamo allora un nuovo cielo e una nuova
terra.
"In
quel giorno rialzeró la tenda distrutta di David, ripareró
le sua fenditure, rialzeró le rovine e la ricostruiró come
era anticamente...
Muteró
il destino del mio popolo Israele; loro ricostruiranno le cittá
devastate e le abiteranno, pianteranno vigne e berranno il
loro vino, coltiveranno frutteti e mangeranno i loro frutti.
Io pianteró nella loro terra (Una terra senza dolori) e non
saranno piú trascinati fuori dalla loro terra, quella che io
gli avevo dato, dice Javé tuo Dio."
(Am
9, 11-15)
Abbiamo
bisogno di credere contro ogni speranza soprattutto quando i
seganli di morte sembrano prevalere ma non é cosi.
"Tutte
le volte che nasce un bambino significa che Dio non si é
dimenticato dell'uomo"dice Tagore.
Allora
continuiamo a credere che é possibile il cambiamento.
Dipende
da noi!
Rossano Breda, missionario comboniano
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