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Gesù ci invita a cercare i poveri della città e a portarli da Lui, è la missione cui ci ha chiamati; ma in questo tempo di coronavirus Dio mi ha concesso una grazia del tutto inaspettata: i poveri me li porta Lui, senza neanche bisogno ch’io faccia la fatica di andare a cercarli.

Missionario in tempo di quarantena

Lettera di fratel Alberto dalla Colombia

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Immersi nella Tenerezza di Dio
Fate discepoli tutti i popoli, battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…” (Mt 28,19).

Propriamente ‘battezzare’, ‘baptìzein’ in greco, significa immergere nell’acqua. Quanto al ‘nome’, nella cultura ebraica non indica solo il suono della parola ma tutta la nostra persona. ‘Battezzare nel nome del Padre’, dunque, significa, immergerci nella persona del Padre, ‘inzupparci’ nei suoi sentimenti paterni.
Quanto alla seconda persona della Trinità, immergerci nel Figlio, in Gesù, significa immergerci in un Immerso. Quando aveva circa trent’anni, infatti, il Nazzareno, alla ricerca di un senso pieno per la sua vita, decide di immergersi nel Giordano, mettendosi in fila con tutti i ‘peccatori’ che volevano essere battezzati. Non chiede privilegi per sé, ma cerca la gioia immergendosi assieme alla sua gente, facendo causa comune con le ferite e le speranze del suo popolo.
Essere immersi in una persona significa fare nostri i suoi sentimenti, i suoi atteggiamenti, i suoi sogni. E dunque immersi nel nome del Padre significa immersi nella tenerezza paterna di Dio, avere il suo stesso sguardo paterno sulle sofferenze e sulle speranze degli uomini; immersi nel nome del Figlio significa immersi nell’amore fraterno di Gesù, nel suo irrefrenabile desiderio di lottare e camminare insieme ai suoi fratelli e sorelle.
Infine, siamo battezzati nel nome dello Spirito. Lo Spirito travolge il nostro cuore e lo immerge nella tenerezza divina: “L’amore di Dio è stato riversato nel nostro cuore per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). E quando ci trascina dentro la sua Tenerezza, lo Spirito spacca le pareti della mente e del cuore; come dice Francesco, “acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!” (EG 274). Lasciamo che lo Spirito spacchi le pareti del nostro egoismo! Intrecciamo la nostra vita e la nostra storia con quella di tanti poveri!
Ogni volta che facciamo il segno della croce (nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo) confermiamo il nostro impegno di volerci immergere nella Tenerezza della Trinità e di fare di questa Tenerezza il motore e il faro della nostra vita.  

Una grazia inaspettata
“Esci subito per le vie della città, e portami qui i poveri (Lc 14,21).

Gesù ci invita a cercare i poveri della città e a portarli da Lui, è la missione cui ci ha chiamati; ma in questo tempo di coronavirus Dio mi ha concesso una grazia del tutto inaspettata: i poveri me li porta Lui, senza neanche bisogno ch’io faccia la fatica di andare a cercarli. Ogni giorno 10-12 persone bussano alla nostra porta, chiedendo qualcosa da mangiare: giovani e anziani, senza-tetto e affittuari in procinto di essere buttati in strada.
Con alcuni di loro ho stabilito un bel rapporto di confidenza. Gonzalo, un anziano riciclatore di strada, mi chiede di pregare per lui. Alcuni suoi compagni - che come lui dormono sotto un ponte - non ce l’hanno fatta a continuare a vivere sulla strada disprezzati e temuti da tutti a causa del contagio, e hanno preferito suicidarsi. “Il Signore mi ha dato la forza di tirare avanti, di non arrendermi”, mi dice. “Prega perché non mi venga mai meno questa forza e perché in me prevalga sempre l’amore alla vita”.
La settimana scorsa Camilo, un ragazzo di diciott’anni che con la sua giovane compagna, Mailin, bussano spesso alla nostra porta, mi ha dato una brutta notizia. È da due mesi che non pagano l’affitto e domani, per ordine del proprietario, dovranno lasciare la casa. Non sanno dove andare: la prospettiva è quella di ingrossare il numero di coloro che dormono sotto i ponti. Vedendoli così giovani, ho pensato: ‘Se fossimo davvero una comunità immersa nella Tenerezza del Padre non lasceremmo che un nostro figlio finisca sulla strada’. Quello che mi ha più colpito è l’atteggiamento ‘tranquillo’ di Camilo e Mailin. Non rivendicano niente, non protestano, non esigono che la comunità si preoccupi per loro, perché sanno come funzionano le cose nel nostro mondo. Di fronte alla loro rassegnata tristezza io mi sono sentito in colpa, perché sento che potrei e dovrei fare molto di più. Ad ogni modo, ho fatto loro una proposta, e spero che la cosa possa funzionare… Che il Padre abbia misericordia di noi e ci spinga su nuovi cammini di solidarietà!
Dieci giorni fa, poi, ho conosciuto un altro giovane, Andrés. Quando vengono qui per la prima volta, chiedo sempre come si chiamano. La seconda volta ch’è venuto gli ho detto: “Buongiorno, Andrés!”. Quando ha sentito che l’ho chiamato per nome gli si sono illuminati gli occhi: “Allora ti ricordi di me?!”. Andrés ha 19 anni ed è papà di un bambino di 2 anni, Dylan. Fa il possibile e l’impossibile per mantenere la sua famiglia: passa la giornata cercando di vendere sacchi della spazzatura e raccogliendo materiale da riciclare. Con questa attività riesce giusto giusto a comprare qualcosa da mangiare, ma non tutti i giorni gli va bene. L’altro ieri ha suonato e mi ha detto: “Fratel Alberto, ho fame, mi puoi aiutare?”. Anche lui rischia di essere buttato in strada con la compagna e il piccolo figlio, perché è da un mese e mezzo che non paga l’affitto…
Tanti poveri qui a Bogotá, e tanti poveri anche a Guayaquil, con cui sono in contatto. La signora Elena, ad esempio, ha sulle sue spalle 5 nipoti. Prima del coronavirus lavorava in un ristorante. Adesso è senza lavoro e ha dovuto ingegnarsi: compra arance e vende succhi. Per guadagnare 3 dollari deve ‘spremere’ 100 arance. Ogni giorno spreme circa 150 arance, e con questo riesce almeno a sopravvivere. Vende succhi d’arancia davanti a casa sua, ai passanti, e poi manda i due nipoti più grandicelli a vendere succhi in un altro quartiere vicino, dove c’è un po’ più di movimento.  

La ‘Legge Umanitaria’

Questa è la situazione in Colombia, in Ecuador, e in quasi tutti i paesi dell’America Latina. E i politici che fanno? Il presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, ha fatto approvare una legge che dimezza il salario minimo e che darà ai datori di lavoro il potere di stabilire unilateralmente quanti giorni di vacanza si ‘concederanno’ ai lavoratori. “E’ l’unica maniera per salvare la nostra economia: questi sacrifici sono necessari”, ha detto. Ovviamente, i sacrifici devono farli sempre i poveri. E per colmo dell’ironia, il presidente ha chiamato questa legge ‘Ley Humanitaria’.  

La Santissima Trinità

Abbiamo da poco celebrato la Festa della Santissima Trinità. Ho l’impressione che spesso noi cristiani celebriamo questa e altre feste senza capire cosa significa concretamente vivere il Mistero cui ci rimanda quella festa. Come dicevo prima, se vivessimo davvero il nostro Battesimo, se fossimo davvero immersi nella Tenerezza della Trinità, non accetteremmo – a livello politico – tanti atteggiamenti e tante leggi che non rispettano la dignità dei nostri fratelli e sorelle.
Quanto al mistero della Santissima Trinità, voglio ricordare ciò che dice Leonardo Boff: “Dio non è solitudine, è comunione. Al principio non c’è l’uno, prima viene il tre. Solo in un secondo momento, grazie alla relazione intima fra i tre, percepiamo l’Uno. Credere nella Trinità significa che la Verità dev’essere cercata nella comunione e non nell’esclusione; significa che il bene della comunità è più importante dei privilegi di una piccola minoranza. In realtà noi non viviamo mai ma conviviamo sempre”.
Insomma, Dio non ci ha chiamati a vivere ma a convivere. Questa è la verità fondamentale su Dio e la verità fondamentale sull’uomo. Nella Trinità nessuna persona si impone con violenza sulle altre due, ma tutte e tre dialogano e si amano. Per questo Boff afferma che la Trinità è “la realizzazione definitiva del progetto di fraternità e liberazione cui Dio ci invita a collaborare: una società senza oppressi e senza oppressori”.
Confesso che, i primi giorni di quarantena, i poveri che bussavano alla nostra porta mi davano un po’ fastidio, perché dovevo sempre interrompere il mio lavoro, che è quello di preparare le attività formative della nostra casa – catechesi, ritiri, colloqui, consigli di comunità, etc. - che continuano normalmente anche in questo tempo di coronavirus. Adesso, invece, i poveri li aspetto con gioia – anche se non con tutti è sempre facile – e quando qualcuno di loro non viene, mi mancano e comincio a preoccuparmi.  

Una rete di solidarietà

Quanto ai poveri degli altri quartieri dove andavamo in apostolato i fine settimana, grazie alla solidarietà di alcuni amici riusciamo ad aiutare tante persone bisognose. In particolare, nel quartiere ‘Puerta al Llano’, dove andavo tutti i sabati, grazie alla collaborazione della signora Olivia organizziamo pasti comunitari per i bambini afro del nostro gruppo. Ringrazio Dio perché, nonostante l’isolamento forzato, Lui continua ad aprire strade di fraternità e solidarietà.  

BUONA GIORNATA CON GESÚ!  

fratel Alberto

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