In questa Settimana Santa di preparazione alla morte e risurrezione di Gesù, le parole di Livia ci ricordano che dal buio può nascere la luce, grazie all'amore.
Lettera di Livia dalla Bolivia
Tutte le volte che vado alla Casa Luz Verde, punto di riferimento per i ragazzi di strada, questo cartello mi colpisce nel cuore.
Se ne sta attaccato lì a una colonna nel patio della casa, dove i ragazzi lavano i loro indumenti, con acqua fredda perché a El Alto non arriva l’acqua calda. E lo fanno in qualunque periodo dell’anno, che fuori ci sia il sole o piova a dirotto. Per loro è normale così. Ed è anche normale andare in giro vestiti a maniche corte e pantaloncini nell’attesa che tutti i vestiti che hanno lavato si asciughino, quando magari io ho ancora il cappotto addosso per il freddo e sotto ho strati su strati di vestiti per combatte il clima che si respira in una giornata grigia a 4000m di altitudine.
E tutte le volte che lo guardo penso che è proprio vero. E penso che da una parte vorrei essere io quel calore umano che si emana per i ragazzi, ma dall’altra ci sono momenti in cui vorrei ricevere quel calore così umano. Ma che poi è il calore umano che trasporta l’amore o è l’amore che crea calore umano?!
E rimango lì con loro, mentre lavano le loro poche cose, e ascolto le loro storie. C’è Maria, che ha 17 anni, un figlio di 2 anni, Christofer, e 3 fratelli in carcere. Non vede i suoi genitori da anni e ha passato un intero anno alla residenza delle ragazze 3 anni fa. C’è Gladys, 23 anni, un figlio di 2, Mateo, e crede di essere incinta di nuovo, ma Mateo non glielo fanno più vedere perché tempo fa è ricaduta nella droga. Le è rimasto solo il padre, ma la picchiava e non vuole più averci nulla a che fare. Anche il suo nuovo compagno Nestor frequenta la casa. Quando si è presentato mi ha detto “sono un chico de calle, sto provando a fare del mio meglio e ad uscire dalla droga. Quando riesco lavoro, ma ogni tanto combino qualcosa, perché è come se non avessi avuto i genitori. Con me i miei genitori hanno fallito”. E poi c’è David che non mi ha raccontato nulla di sè, ma mi segue dovunque e mi chiama Seño BoLivia (Seño sta per señito, titolo con cui si chiamano le educatrici). Con lui nel pomeriggio mi sono messa a fare i braccialetti che poi i ragazzi vendono per strada per guadagnarsi qualcosa.
E mentre continuo a rileggere queste parole scritte su un vecchio foglio, spero di poter diventare fuoco e focolare per i miei ragazzi.
Ora è lunedì e ho appena letto la mail che Francesca, altra mia coinquilina e compagna di avventure quest’anno in una associazione che lavora con i lustrabotas (i lustrascarpe lavorano con un passamontagna sul viso perché è considerato un lavoro umiliante e degradante) e ad un certo punto della sua mail ricorda quando in formazione ci hanno chiesto la motivazione che ci spingeva a partire…
Tra noi ci siamo svelate quanto avevamo scritto (in formazione era rimasto segreto) e, mentre Sara aveva scritto “crescita personale e professionale” (lei è educatrice e qui viene a fare quello che ha studiato), Fra racconta di aver scritto “incontrare l’altro crescendo”. E poi ha aggiunto “intendendo una crescita a livello umano, data dall'incontro con una realtà totalmente diversa, con persone nuove con le quali entrare in relazione poco alla volta, con calma e delicatezza.”.
Mi sento molto vicina a lei in questo senso. Non sono venuta qua per crescere professionalmente, non l’ho mai pensato e non vedo e vivo questa mia esperienza come qualcosa di professionale, ma come vocazione personale. Personale da condividere ovviamente.
Nello scrivere la motivazione avevamo a disposizione 3 parole e la mia è stata “Ricerca della Bellezza”. E ora, pensando di nuovo a quel momento e ancora più a quella frase, mi ritrovo con la mente e con il cuore a quel cartello che dice “In questa notte così fredda, trasmetti calore umano con grande amore”. Credo che sia questa la bellezza che stavo cercando.
Un po’ alla volta tutti i pezzetti si ricongiungono.
Mi mancate.
Livia