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Bossi 1

La missione non ci appartiene, lo Spirito del Risorto ci precede e la passione inquieta di Daniele Comboni ci spinge a osare nuove frontiere.

 
«Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il suo grido. Sono sceso per liberarlo» (Esodo 3, 7-8). Comincia così la storia del Dio liberatore e la nostra missione di alleanza con i più piccoli. È un grido di festa, che ci sorprende ogni giorno per la sua forza rigeneratrice: il popolo brasiliano sprigiona vita dalle radici delle sue culture, nella vitalità della sua danza, nella mistica ancestrale delle

Bossi 2

 

«Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il suo grido. Sono sceso per liberarlo» (Esodo 3, 7-8). Comincia così la storia del Dio liberatore e la nostra missione di alleanza con i più piccoli. È un grido di festa, che ci sorprende ogni giorno per la sua forza rigeneratrice: il popolo brasiliano sprigiona vita dalle radici delle sue culture, nella vitalità della sua danza, nella mistica ancestrale delle comunità indigene.

È un grido di orgoglio e dignità, che riverbera nell’organizzazione popolare, nella resistenza creativa ai diversi cicli di oppressione, replica incessante di una storia coloniale. Ma è anche il clamore attualissimo della violenza delle periferie urbane: il Brasile in numeri assoluti è il paese con più omicidi al mondo e il terzo per la sua popolazione carceraria, ancora in crescita.

È l’urlo violento dell’omicidio dei difensori di diritti umani: ogni cinque giorni uno di essi è ucciso mentre promuove il diritto alla terra, alla casa o al lavoro della sua gente.

È il grido soffocato di Madre Terra, “tra i poveri più abbandonati e maltrattati” (Laudato si’, 2): lo scorso anno nell’Amazzonia brasiliana il disboscamento è tornato a crescere con un incremento preoccupante del 29% rispetto all’anno precedente. Corrisponde a un aumento di produzione di anidride carbonica pari a otto anni di emissioni di tutto il parco auto del paese! È il nostro modo silenzioso e codardo di smontare, di nascosto, l’Accordo di Parigi.

Ascoltare questo grido e camminare, rinvigoriti dalla promessa di vita del Padre e dalla sua presenza costante al nostro fianco: la spiritualità dell’Esodo alimenta in modo attualissimo la nostra identità missionaria. Dio si rivela alle persone che accettano l’avventura sociale e politica di abbandonare la schiavitù.

Fedeli alla nostra storia

La storia comboniana in Brasile è cominciata nel 1952: quello stesso anno, i primi missionari si inserirono parallelamente nel sudest e nel nordest. All’inizio non ci fu un grande sforzo di inculturazione, la pratica missionaria tendeva a replicare in altre terre il modello di Chiesa e di pastorale appreso nella patria europea. A dire il vero, questa tentazione è viva ancora oggi ed è forse la sfida più evidente per la Chiesa universale.

Senza dubbio, però, la convivenza nella Chiesa latinoamericana ci ha poco a poco modellati. Le Conferenze dell’episcopato latinoamericano a Medellin (1968) e Puebla (1979) sono state provocazioni forti al nostro modo di pensare e vivere la missione: hanno acceso anche in noi la luce dell’opzione per i poveri e della promozione della giustizia e della pace.

Collaborando con la Commissione pastorale della terra e il Consiglio indigeno missionario, venivamo a comprendere giorno dopo giorno che essere Chiesa significava anche prendere posizione, in tempi di duro conflitto, sui temi della concentrazione della terra, della riforma agraria, del rispetto delle diversità etniche.

Partecipavamo alla formazione sindacale, sociale e politica a partire dalla parola di Dio. Si anticipava, in quel contesto e con vari limiti, ciò che papa Francesco sollecita oggi vivamente: «Solidarietà (…) richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni» (Evangelii gaudium, 188).

Ai margini delle grandi città in crescita, senza avere competenze e forza per far fronte a tanta esclusione strutturale, fondavamo Centri di difesa della vita e dei diritti umani, in collaborazione con volontari e professionisti competenti nel campo dei diritti dell’uomo e dell’educazione popolare. A noi missionari spettava il compito di alimentare la spiritualità e la speranza di queste persone, credendo tenacemente nella risurrezione nel cuore della morte violenta delle periferie.

La nostra animazione missionaria era raccontare la vita dei piccoli e l’alleanza dei missionari con loro.

La rivista comboniana Sem Fronteiras, pur criticata soprattutto negli anni in cui la Chiesa brasiliana si riavvicinava alla “grande disciplina” (dal titolo del libro di J.B. Libânio, critico nei confronti dell’interventismo di papa Giovanni Paolo II in America Latina, che restaurava una logica distante dal respiro del concilio Vaticano II e dalle successive conferenze episcopali del continente), si faceva strada nelle parrocchie, nei gruppi pastorali e nei circoli universitari.

Sperimentavamo quotidianamente pratiche di formazione dei coordinatori delle comunità, dei ministri dei sacramenti e della pastorale sociale. Le Comunità ecclesiali di base (Ceb) erano un contesto vivo per stimolare la ministerialità e il protagonismo dei laici, donne e uomini.

Tre volti

La storia comboniana in Brasile è segnata da figure molto significative. Ne richiamo tre, ciascuna con il suo appello specifico.

Ettore Frisotti (1953-1998). Ha colto e testimoniato la presenza di Dio nella cultura e religione degli afro-discendenti, a Salvador Bahia. Ha sofferto sulla sua pelle esclusione e pregiudizi riservati ancora oggi alla fede e alla vita della gente nera in Brasile. Ma ripeteva con passione che con e tra gli afro sentiva «profumo di vangelo».

Ezechiele Ramin (1953-1985). Si è lasciato coinvolgere nell’”odore” delle sue pecore nella regione amazzonica. Ha camminato a fianco delle comunità indigene e delle famiglie senza terra, senza tirarsi indietro quando occorreva prendere posizione: «Se la mia vita vi appartiene, vi apparterrà anche la mia morte». È stato ucciso mentre cercava di mediare l’ennesimo conflitto fondiario. “Tierra, techo y trabajo”, le 3 T, sono «un diritto elementare e innegabilmente necessario», commenterebbe papa Francesco.

Franco Masserdotti (1941-2006). Ha vissuto la sua vocazione missionaria a livello istituzionale: membro del Consiglio generale dei comboniani prima, poi vescovo in Brasile e presidente del Consiglio indigeno missionario. Lo potremmo considerare il volto comboniano in Brasile di una «Chiesa in uscita, con le porte aperte, per giungere alle periferie umane» (Eg, 46).

Come evangelizziamo

Dalla nostra storia e dalle persone che l’hanno costruita, molto spesso nell’anonimato di un servizio nascosto, abbiamo imparato che si evangelizza e si è evangelizzati nella condivisione personale e comunitaria della gioia e della misericordia, cercando di promuovere un’umanità riconciliata con Dio, con la creazione e con gli altri.

Nell’impegno missionario privilegiamo l’annuncio e la testimonianza della giustizia e della pace per l’intero creato, animando la nostra Chiesa perché si apra al mondo e viva sempre più vicina ai più poveri e abbandonati.

Per evitare la dispersione o la superficialità, ci dedichiamo a quattro campi specifici di missione, spesso intrecciati con l’impegno locale in parrocchie e comunità cristiane. In questo modo, la nostra passione missionaria si arricchisce con il contributo dei laici, e la Chiesa locale viene stimolata dal carisma comboniano.

Un primo campo è l’evangelizzazione in Amazzonia: questa frontiera sfida la Chiesa latinoamericana, che sta cercando di rispondere in modo articolato, organizzando la Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). La priorità è la difesa dei popoli indigeni e delle comunità tradizionali. I comboniani spiccano per il lavoro incessante della rete Justiça nos Trilhos, che da dieci anni protegge e sostiene le vittime dell’estrazione mineraria nell’Amazzonia orientale.

Un altro campo missionario è vivere e scoprire il vangelo tra gli afro-discendenti: nel dialogo interreligioso, nella promozione interculturale e dei diritti afro contro ogni forma di razzismo, nell’educazione alla mondialità nelle scuole.

L’evangelizzazione nelle periferie urbane è il pane per i nostri denti oggi, visto che la maggior parte delle nostre comunità ha fatto questa scelta evangelica: a servizio dei più poveri, delle persone considerate “scarto” perché disoccupate, schiave della droga o dell’alcolismo, o ammassate in condizioni disumane dietro le sbarre. Offriamo comunità e inclusione, percorsi di riconciliazione e perdono, difesa dei diritti, alternative di vita e proposte formative specialmente per il gruppo più fragile, i bambini e gli adolescenti: persone in costruzione in una società che si disgrega.

Infine, la nostra proposta missionaria e vocazionale alla chiesa del Brasile, perché è urgente che questo paese-continente si apra al mondo e i giovani si appassionino per un sogno che vale. Stiamo esplorando il complesso mondo della comunicazione giovanile e percorrendo le reti sociali con provocazioni che traggano le persone dal virtuale per una scelta di vita piena e felice.

Il senso e l’efficacia

Nella complessità di oggi, il senso e l’efficacia della missione sono costantemente da valutare. La sfida maggiore è il riaffacciarsi del fondamentalismo religioso, sia cattolico che neopentecostale. L’appello sentimentale alla consolazione dell’animo può appagare emotivamente, ma non regge a lungo termine. Il rigore moralistico intimorisce e imprigiona, ma non ci fa crescere come persone.

Spetta a noi missionari, uomini e donne di frontiera, superare la promozione normativa dell’istituzione religiosa e incontrare lo Spirito di Gesù in ogni gesto a servizio della vita e dei valori del Regno. Metterci in cammino insieme ai piccoli e ai poveri, con le persone più diverse. Annunciare il vangelo a chi non crede, ma farlo passo a passo, cogliendo e testimoniando la presenza di Dio negli incontri quotidiani, manifestando la gioia di essere parte di una comunità cristiana, contagiando con la nostra speranza gli scenari più desolanti.

Un’altra sfida sono i nuovi modelli di chiesa e i ministeri. Informalmente protagonista nelle nostre comunità, la donna continua sprovvista di autorità istituzionale. In vari contesti del nostro paese, il sacerdozio celibatario è incomprensibile e insufficiente per l’accompagnamento pastorale di tutte le comunità. A noi comboniani, nel contesto della diminuzione di vocazioni alla vita consacrata, tocca saper valorizzare meglio tutte le forme di vita laicale che si riconoscono nel nostro carisma. Proporre percorsi di identificazione, formazione e missione a laici e laiche che si impegnino con noi.

 

 

Padre Dário Bossi

Provinciale in Brasile

 

 

 

 

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