La violenza contro la natura: disperazione od opportunità?
12 Ottobre 2008
Riflessione liberamente ispirata al testo "L'intera creazione geme …", RIBLA 21
Il gemito di Giobbe ed il gemito della creazione.
Nella Bibbia ci sono due forti gemiti,
che lo stesso Dio fatica a consolare.
Il gemito di Giobbe è il grido di una
persona che si lamenta per la sua situazione (sofferenza, miseria, malattia,
esclusione …) e cerca avidamente migliori condizioni.
La creazione, dal canto suo, geme
lamentando la sua vocazione alla vita costretta dalla violenza e minacciata di
morte definitiva.
Il sistema economico attuale pone in
conflitto queste due grida, crea competizione tra gli interessi della persona e
quelli della natura. L'accesso al lavoro si scontra con la preservazione
dell'ambiente (per ogni nuova impresa pianificata, la parola magica che apre la
strada a tutte le licenze è la promessa di centinaia di nuovi posti di lavoro …
anche se quasi sempre si tratta di montature promozionali). Allo stesso modo,
la natura è considerata nemica del progresso e dello sviluppo.
Giobbe cerca una vita piena ed
abbondante; i suoi interessi sono soddisfatti nei paesi sviluppati, mentre la
natura continua a gridare da lontano, nei paesi-deposito più poveri del mondo.
Giobbe, dal canto suo, si sente
completamente innocente e pure in diritto di gridare contro Dio, recriminando
vita e soddisfazione personale. Il Signore gli dá ragione: "se il tuo
orizzonte fosse solo la sfera personale, avresti tutto il diritto di gridare e
lamentarti. Ma lascia che la tua voce si calmi e comincia ad ascoltare anche
altre grida: il clamore della natura, delle masse dei poveri, del sistema
squilibrato che sta franando … Comincia ad integrare le tue necessità con
quelle dell'intera creazione!"
E' questo il senso della bella poesia di risposta con la quale Dio riesce ad ammansire Giobbe ed includere la sua vita in una sfera esistenziale più ampia (Giobbe 38-42):
O chi mette al mondo le gocce della rugiada?
e la brina del cielo chi l'ha generata?
e la faccia dell'abisso si raggela.
e farti coprire da un rovescio di acqua?
Scagli tu i fulmini e partono
dicendoti: «Eccoci!»?
Giobbe, che inizialmente si sentiva vittima innocente ed unico meritevole della compassione di Dio, apre gli occhi e dichiara umilmente: "Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo" (Giobbe 42,3). Il nostro piccolo uomo sta cominciando a pensare con il cuore grande di Dio; ha incluso nei suoi sentimenti, sofferenze e desideri anche quelli della vita più ampia che lo circonda. Adesso è in sintonia con la creazione, ha superato il conflitto tra gli interessi dell'individuo e il bene maggiore del tutto che esiste.
A chi spetta una teologia della terra?
Chi ci aiuterà a vivere, individualmente e come società, questa conversione di Giobbe?
Senza dubbio non saranno le grandi multinazionali, potenti divulgatrici della loro teologia personale. Loro vogliono definire – dall'alto al basso- ciò che è sostenibile, "verde", puro.
Ma "le vittime sono sempre locali" (Vandana Shiva). E' in basso che si ha la vera nozione dell'impatto di ogni progetto.
Da tempo, Dio ha cambiato di posto! Non ci serve più qualcuno che ci dica dall'alto ciò che è bene e ciò che è male; non crediamo che la verità stia semplicemente nella versione divulgata dei fatti; non abbiamo fiducia nei potenti mezzi di comunicazione che conquistano la coscienza.
"La verità si trova nelle vittime" (Jon Sobrino) e Dio ha scelto questo unico luogo d'interpretazione della realtà!
Perciò una nuova teologia della terra può nascere soltanto nelle ferite delle vittime, lasciando parlare i corpi offesi ed ascoltando il lamento della creazione, dal basso. Il Vangelo rivela che Cristo risorto porta con sé le ferite della croce … ed è esattamente a partire da queste che Tommaso riconosce il Signore. Le ferite della terra e del popolo sono il Corpo di Cristo violato, punto di partenza per una riflessione permanente sulla Vita e sulla Resurrezione possibile.
Alcuni pilastri di questa teologia della terra.
Assumendo il punto di vista "di quelli del basso", possiamo rilevare tre espressioni interessanti:
1. La rabbia:
"Non ce la facciamo più!" è il grido ogni volta più frequente che ascoltiamo, restando a fianco delle vittime. E questo lamento si fa reazione, arriva a parlare più alto della violenza incarnata nella realtà dalle grandi imprese, che agiscono silenziose ed impunite passando sopra i poveri. All'inizio questa rabbia può spaventare e sembrare violenta; poco a poco finiamo coll'identificarla con il desiderio istintivo di farsi ascoltare: quando il rumore di fondo della violenza è costante ed oppressivo, bisogna alzare la voce.
Ci sono persone e gruppi che da tempo
hanno abbassato la testa di fronte alla pressione violenta imposta su di loro:
si sono abituati; ci sono altri (e stanno aumentando) che non sopportano più ed
hanno il coraggio di prendere posizione. A volte speriamo che questa rabbia
possa contagiare più persone, perché il desiderio di consumo e di accumulazione
spengono lo spirito.
Oggi in Brasile un movimento parallelo
in vari Stati della Federazione sta provando a "legalizzare la violenza
storica": i danni ambientali, le carneficine, il disboscamento,
l'inquinamento vengono considerati un male inevitabile, che è successo e che
non si può più aggiustare.
Questo gruppo di potere mira a negare
la storia, annullare il legame stretto tra i popoli indigeni con le loro terre
che fanno gola a tutti, diminuire la dimensione dell'Amazzonia Legale cosi che
nessuno possa più tentare di recuperare le condizioni originarie. Di fronte a
questo pensiero clandestino che cerca di mascherare la violenza subita da
queste regioni è necessaria una reazione vigorosa, orgogliosa: la rabbia deve
svegliarci!
2. La mistica e l'attenzione
per la vita:
Dall'inizio dell'umanità, si
percepisce un legame indissolubile tra Dio, il popolo e la terra. La vita non
esiste in mancanza di uno di questi tre elementi. Lo stesso avviene nella
cultura dei nostri popoli della terra: profondamente religiosi, senza
preoccupazioni di dottrina o paura del sincretismo: "Tutto ciò che è fonte
di vita per il povero stanco e demoralizzato fa parte del volto di questo Dio
che è unico, ma che per ognuno dei poveri assume una faccia diversa, capace di
generare vita" (S. Gallazzi).
All'interno dei nostri popoli si
nasconde un potenziale inespresso di vita ed attenzione: basta osservare con
che solidarietà e prontezza una famiglia povera aiuta un'altra ad educare i
figli, adottare o ricevere un bambino, condividere il pane. Queste stesse
famiglie possono maturare un sentimento analogo di attenzione verso la vita
come un tutto, a partire da nuove piccole pratiche come: disciplina ed
autocontrollo al gettare l'immondizia (diminuendola o differenziandola); amore
e rispetto per gli alberi; maggior attenzione alla bellezza dei nostri
quartieri, case, ambienti …
3. La creatività:
Le vittime sono sempre locali, quindi
la risposta deve nascere da loro. Si tratta di quelle piccole pratiche che
abbiamo già accennato: i poveri dispongono di una grande creatività per
guadagnare il loro sostentamento e possono applicare la stessa creatività per
rendere l'esistenza di tutti davvero sostenibile. In questo senso l'educazione
di base ha un potenziale enorme ed ha già dimostrato che può trasformare la
società.
Questa creatività personale deve poi
trasformarsi in creatività politica: oggi si può investire in microcredito,
progetti di generazione di rendita, agroecologia ed agricoltura familiare,
progetti di scambio di beni tra campagna e città…
Siamo al principio di una nuova creazione, se vogliamo. Dipende da noi, come ben evidenzia Ivone Gebara: "La terra non ha forma e l'oscurità l'avvolge … Siamo al principio. Il disordine e la violenza imperano e non si conoscono più i sentieri della terra fertile, dell'acqua limpida, del cantare degli uccelli colorati, delle stelle che brillano nel firmamento, della luce accogliente del sole o di quella della luna, amena e argentata, e del sorriso soddisfatto degli umani. Siamo al principio, il principio caotico di tutto, il principio/fine "dell'eterno oggi" di tutta la creazione. Siamo al principio oggi, siamo oggi al principio!".