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13 ottobre: Annamaria Gentili

Primo incontro: “La cooperazione internazionale – Ambiguità, illusioni, punti fermi”

Intervento di Annamaria Gentili (Africanista, Università di Bologna)

 La nozione di Cooperazione emerge nel dopoguerra: la durata, gli obiettivi, le modalità, i suoi limiti danno vita ad una letteratura oggi sterminata, ad un dibattito a tutto tondo e costituiscono, inoltre, una sfida centrale per quanto riguarda le relazione internazionale. La Cooperazione nasce al fine di creare un mondo libero laddove necessario, permettere scambi, assicurare pace e garantire il perpetuare di un certo ordine internazionale.

La Cooperazione è stata, e lo è ancora oggi, oggetto di studio e ha alimentato plurime teorie; tra queste, ad esempio, vi è la quella realista, la quale offre una visione pessimistica riguardo l’effettiva efficienza della Cooperazione, riconoscendo, invece, il ruolo preponderante assunto dai rapporti di forza; altre teorie funzionaliste, come quella di integrazione regionale, ritengono che essa sia possibile e sottolineano l’importanza delle istituzioni, in particolare quelle internazionali nate nel dopoguerra, come l’Unione Europea ma anche l’università. In assenza di una autorità sovranazionale, il sistema di Stati fa sì che ciascuno di essi privilegi i propri vantaggi, cooperare nella misura ritenuta più opportuna, intendendo con questo anche la possibilità di togliere i fondi alla Cooperazione e destinarli, come purtroppo spesso accade al giorno d’oggi, alla realizzazione di spot televisivi.

Di recente l’”anarchia” internazionale e il primato che stanno conquistando le ragioni della sicurezza rendono sempre più difficile la Cooperazione; è, quindi, opportuno parlare di come è mutato il quadro internazionale all’interno del quale noi pensiamo e agiamo, e di come esso limiti le possibilità e le capacità di agire. Sulla scia di Truman, della esperienza del New Deal americano, nel dopoguerra vedono la luce le Social Democrazie europee dello stato del Wellfare che hanno avuto molta importanza nel portare avanti una nozione di Cooperazione. Ricordo che subito dopo la nascita la Banca Mondiale non era considerata , come lo è oggi, il “demone”, al contrario era vista come un mezzo per stendere politiche welfariste nel mondo; anche in seguito al fenomeno dell’indipendenza negli anni ’60, nei primi anni ’70 scoppiano le grandi crisi economiche, come quella del debito, ed è del ’74 l’adozione, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, di una dichiarazione, tuttora vigente, che chiede una riforma sostanziale dei sistemi di commercio internazionale, basato sul principio per il quale la Cooperazione rappresenterebbe lo strumento di propagazione di una maggiore equità nella crescita di ciascun Paese. E’ chiaro, infatti, che per Paesi che uscivano dalla colonizzazione, come il caso dell’Africa, al momento dell’indipendenza si postulava, in un breve periodo, una modernità, un decollo irraggiungibile con le risorse a disposizione per la maggior parte di essi. Il punto di partenza e le risorse per la Cooperazione per lo sviluppo erano assolutamente inadeguate. Negli ani ’70 si cerca di riconciliare ciò attraverso la strategia dei “bisogni di base” e si dà molta importanza ad una serie di interventi sull’istruzione, la costruzione di case, ospedali; tuttavia quel periodo rivela quanto poco consenso ci fosse sul concetto dei “basic needs”; infatti la l’idea che di essi avevano i governi non perfettamente democratici non coincide con quella delle Associazioni di popolazione o degli osservatori solidali che volevano portare un certo tipo di Cooperazione. Si entra, dunque, in una fase di tensione che viene risolta drasticamente con la svolta degli anni ’80. Durante questi anni si adottano programmi di aggiustamento strutturale che diventano il solo possibile modello di sviluppo così come il prerequisito per ottenere aiuto o investimenti stranieri. N economista inglese ha così riassunto questa svolta: fino agli anni ’80 la Cooperazione era intesa come meccanismo, certamente inadeguato, per promuovere il concetto di sviluppo; dopo gli anni ’80 essa viene intese come mezzo per promuovere il processo di aggiustamento. Per processo di aggiustamento si intende diminuire o annullare le funzioni welfariste dello Stato per promuovere la competizione del mercato; ciò vuol dire che il più competitivo vince, chi non lo è resta indietro (ed è solo a questo punto che entra in gioco la Cooperazione). D’altra parte già in questi anni vengono avanzate le prime critiche allo scopo di porre l’accento su nuove priorità: l’ambiente, le donne, i diritti umani; tali temi diventano però solo nel decennio successivo il centro di dibattiti. Per esempio è propria degli anni ’90 la questione di diritti umani che ha permesso di reintrodurre nel concetto e nella pratica di Cooperazione delle finalità orientate a tenere in considerazione anche la questione dello sviluppo umano. Ma guardando i dati dell’Aiuto Internazionale le percentuali degli aiuti sono andate preferibilmente ai Paesi che adottavano con più concretezza delle politiche economiche di mercato. In realtà questo cambiamento può essere riassunto in due periodi; negli anni ’60 (anno dell’indipendenza) la commissione Pearson aveva notato un divario crescente tra coloro che avevano e coloro che non avevano nel mondo internazionale ma anche al interno de vari stati. Il Summit del millennio tenutosi nel 2000 dice che la priorità deve essere la lotta contro la povertà. Si crea cosi una nuova idea di sviluppo, un nuovo modo di cooperazione che si chiama “Riduzione della povertà”. Nella della Conferenza di Monterrey si dichiara che:

- Questo secolo e il secolo dello sviluppo per tutti.

- Il sistema globale deve essere più equo per tutti.

- Ciascun paese ha la responsabilità primaria per il proprio sviluppo economico e sociale.

- Lo sviluppo devi dipendere prevalentemente da flussi privati che ovviamente vanno dove avranno il massimo della convenienza e non in aree di peggiore vulnerabilità e di esperienza.

- Il commercio è il principale meccanismo di crescita sviluppo e l’aiuto a lo sviluppo deve essere considerato un complemento ad altre fonti di finanziamento prevalentemente private.

- I debitori e i creditori devono condividere responsabilità per risolvere le situazione difficili di debito.

- Rafforzare la partecipazioni dei paesi in via di sviluppo nelle istituzioni decisionale (G8).

Ora cosa sta accadendo nei quadro alla cooperazione? Da una parte le Istituzioni Finanziare Internazionali hanno inserito una serie di considerazioni e politiche che guardano al aspetto umano dello sviluppo. Dall’altra parte anche ONU sta riformulando la sua politica di cooperazione e aiuto intendendo come aiuto non solo un diritto per il paesi meno fortunati ma deve essere collegato ai risultati e alle performance. Questo e il significato del Global Compact il cui obbiettivo e indurre il settore privato ad adottare nella sua azione nel sud del mondo delle “buone pratiche” fondate su nuovi principi tra i quali stanno rispetto per l’ambiente, dei diritti umani, del lavoro, responsabilità delle aziende. Tuttavia per la Banca Mondiale la povertà è fatta di individui o gruppi che non sono riusciti o meglio non sono stati capaci di rispondere alle domande del mercato. Per l’ONU la povertà è anche causata da problemi strutturali della disuguaglianza e richiede per essere sfrontata una certa misura di ridistribuzione. Quindi quando parliamo di cooperazione della globalizzazione ci troviamo di fronte ad una dicotomia: per le agenzie finanziale internazionali la globalizzazione e una opportunità mentre nell’ONU se ne vedono anche i rischi per quelle che sono chiamate le popolazioni vulnerabili. L’ONU propone innovazioni istituzionali avanzando la proposta di considerare la cooperazione come obbligo e non come atto di volontà . questo è il contesto di oggi.

Cosa dovrebbe fare la università? Parto raccontando una esperienza: alcuni anni fa ho fatto parte di una ricerca della commissione europea sul la creazione di una partnership tra istituzione universitarie dei paesi europei e dei paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico), al fine di creare relazione tra università contribuendo allo sviluppo e alla collaborazione. Il primo impatto negativo è stato a Bruxelles alle riunioni per dividerci i compiti; era stato destinata nel ex-colonie italiane mentre io volevo andare a Mozambico dove avevo lavorato per venti anni e dove invece venivano destinati i portoghesi.

Cosa siamo capaci di fare noi? In Italia abbiamo iniziato approfittando di una legge di qualche anno fa, arrendere accademicamente credibili corsi di sviluppo e cooperazione istituiti in molte università italiane. Sono cosi cresciute le opportunità di formazione, ma si tratta di una formazione accademica che non è riuscita a creare sinergie con la società civile. Si potrebbe creare programmi comuni di scambio, di insegnamento con università del sud, un scambio un cui un studente italiano segue i propri corsi in uno dei paesi del sud e viceversa, in modo da creare la vera partnership, scambio di vita e non carità.


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