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Luca 1, 39-56: MAGNIFICAT

Esultando in Dio MARIA si mette a servizio dei poveri, campo ROMA 2008

 MAGNIFICAT
Esultando in Dio MARIA
si mette a servizio dei poveri
Luca 1, 39-56 

Questo brano di Luca appartiene ai racconti dell'infanzia di GESÙ: non è una dimostrazione di come sono successi i fatti, ma una RILETTURA dei fatti alla luce del grande avvenimento morte-risurrezione di Gesù, per illuminare il cammino di fede delle prime comunità cristiane. Quindi non si tratta di curiosità storica, ma di una lettura teologica.
L’esplosione del cantico del Magnificat si inserisce nel contesto di un incontro tra due donne,
 Maria e la cugina Elisabetta che, sul piano umano, è sicuramente un incontro di grande gioia, in quanto è l’incontro tra due parenti e tra due donne in attesa di un figlio… ma il loro incontro è soprattutto di gioia e di esultanza nello Spirito Santo: Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo...”  E’, infatti, un incontro che si realizza ad un livello superiore rispetto a quello prettamente umano; la casa di Zaccaria è pregna della presenza di Dio attraverso lo Spirito che colma le due donne. Maria, “la vergine”, ha da poco ricevuto l’Annuncio dell’Angelo che il Figlio di Dio è stato concepito nel suo seno, grazie all’intervento dello Spirito Santo; ed Elisabetta pure, “sterile e avanti negli anni”, ha avuto una grazia particolare, con la gravidanza di Giovanni Battista.  E’ un saluto dunque, quello fra Maria ed Elisabetta, che si realizza nella pienezza di queste “esperienze di Dio” che ciascuna delle due donne portava nel proprio corpo e nella propria vita.

Rileggiamo il testo:
Lc. 1,39-45: La Visitazione: un incontro tra due donne

  • v. 39: Maria si mise in viaggio…”  Luca mette l’accento sulla prontezza di Maria nel servire, nell’essere ancella-serva. L’Angelo parla della gravidanza di Elisabetta e immediatamente, Maria si alza ed in fretta si reca ad aiutarla.  Maria lascia Nazareth, collocata al nord della Palestina, per recarsi al sud, a circa 150 Km., quattro giorni di viaggio, come minimo, in una località che la tradizione ha identificato con l'attuale Ain Karem, poco lontana da Gerusalemme. Il muoversi fisico mostra la sensibilità interiore di Maria, che non è chiusa a contemplare in modo privato ed intimistico il mistero della divina maternità che si compie in lei, ma è proiettata sul sentiero della carità, del servire con la propria vita. Non c’erano né pullman, né treni. Maria inizia a servire camminando, facendo il suo pezzo di strada per compiere la sua missione a favore del popolo di Dio. Il recarsi di Maria da Elisabetta è connotato dall'aggiunta “in fretta” che S. Ambrogio interpreta così «Maria si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell'annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall'intima gioia... La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze». Inoltre Maria si fermerà tre mesi, il tempo perché il bambino possa nascere, tempo giusto per portare aiuto alla cugina nel tempo a lei necessario. Maria corre e va là dove la chiama l'urgenza di una necessità, di un bisogno, dimostrando, così, una spiccata sensibilità e concreta disponibilità.

  • v.41: “Appena Elisabetta ebbe udito il saluto…”  Elisabetta rappresenta il Vecchio Testamento che stava per terminare. Maria rappresenta il Nuovo Testamento. Il Vecchio Testamento accoglie il Nuovo con gratitudine e fiducia, riconoscendo in esso il dono gratuito di Dio che viene a realizzare ed a completare l’aspettativa della gente. Nell’incontro delle due donne si manifesta il dono dello Spirito. Il bambino salta di gioia nel seno di Elisabetta. Luca usa un verbo greco particolare che significa propriamente 'saltare'. Interpretandolo un po’ liberamente, lo si può indicare con 'danzare', escludendo così l'accezione di un fenomeno solo fisico. Qualcuno ha pensato che quella 'danza' la si potrebbe considerare una forma di 'omaggio' che Giovanni rende a Gesù, inaugurando, non ancora nato, quell'atteggiamento di rispetto e di sudditanza che caratterizzerà la sua vita: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale non sono degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali» (Mc 1,7). Un giorno lo stesso Giovanni testimonierà: «Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,29-30). Così commenta S. Ambrogio: «Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia». Una conferma di questa interpretazione la troviamo nelle stesse parole di Elisabetta che dice ancora: «Ha esultato di gioia nel mio grembo». 
    La Buona Notizia di Dio rivela la sua presenza nelle cose più comuni della vita umana: due donne di casa che si visitano per aiutarsi a vicenda. Visita, allegria, gravidanza, bambini, aiuto reciproco, casa, famiglia: Luca vuole che noi e le comunità percepiamo proprio questo e scopriamo in questo la presenza di Dio.

  • v. 42:: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!" esclamò a gran voce Elisabetta, proclamando la sua benedizione su Maria, quel dire bene di Dio,  su una creatura che ha saputo osare nel fidarsi di Dio. A lei viene riservata una benedizione («benedetta tu») e una beatitudine: “beata”. In che consiste quest'ultima? Esprime l'adesione di Maria alla volontà divina. Maria non è solo destinataria di un arcano disegno che la rende benedetta, ma pure persona che sa accettare e aderire alla volontà di Dio. Maria è una creatura che crede, perché si è fidata di una parola nuda e che ella ha rivestito col suo «sì» di amore. Ora Elisabetta le riconosce questo servizio d'amore, identificandola «benedetta come madre e beata come credente».
    La prima beatitudine del vangelo di Luca è l'esaltazione della fede di Maria.  La fede è la virtù che ha accompagnato Maria nel suo cammino e l'ha radicata profondamente nel progetto di salvezza di Dio.

  • v. 45:  "E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore". É l’elogio di Elisabetta a Maria ed il messaggio di Luca per le comunità: credere nella Parola di Dio, poiché la Parola di Dio ha la forza per adempiere tutto ciò che ci dice. E’ Parola creatrice. Genera vita nuova nel seno della Vergine, nel seno della gente che la accoglie con fede. Maria ed Elisabetta si conoscevano già. Ma in questo incontro,  scoprono, l’una nell’altra, un mistero che ancora non conoscevano, e che le riempie di molta gioia. Attraverso loro anche i frutti dei loro grembi si incontrano e sono la causa della loro gioia e esultanza.  Anche oggi possiamo incontrare persone che ci sorprendono con la saggezza che posseggono e con la testimonianza di fede che ci danno. Qualcosa di simile ti è successo già? Hai incontrato persone che ti hanno sorpreso? Cosa ci impedisce di scoprire e di vivere l’allegria della presenza di Dio nella nostra vita?

L’atteggiamento di Maria dinanzi alla Parola esprime l’ideale che Luca vuole comunicare alle Comunità: non rinchiudersi in se stesse, ma uscire da sé, essere attente ai bisogni ben concreti delle persone e cercare di aiutare gli altri, soprattutto i poveri, nella misura delle loro necessità.
 


Lc. 1, 46 – 56: Il Magnificat di Maria: un canto d’amore


Il cantico di Maria era uno dei cantici delle comunità dei primi cristiani. Rivela il livello di coscienza e la fermezza della fede che le animava internamente.  Cantato nelle comunità, questo cantico di Maria insegna a pregare e a cantare.
Questo inno si
sviluppa come un mosaico di citazioni e di allusioni bibliche, che trova un parallelo nel Cantico di Anna (1Sam 2,1-10), considerato generalmente come la sua fonte principale sia dal punto di vista della situazione che della tematica e della formulazione. Qualche esegeta suggerisce di leggere questo cantico di Maria anche sullo sfondo della grande liberazione dell'Esodo e in particolare del celebre Cantico del passaggio del mar rosso (Es 15,1-18.21).
In questo canto Maria si considera parte degli anawim, dei 'poveri di Dio', di coloro che 'temono Dio' riponendo in Lui ogni loro fiducia e speranza e che sul piano umano non godono nessun diritto o prestigio. La spiritualità degli anawim può essere sintetizzata dalle parole del Salmo 37,79: «Nel silenzio sta innanzi a Dio e in lui spera», perché «coloro che sperano nel Signore possederanno la terra». Nel Salmo 86 al v.
6 l'orante, rivolgendosi a Dio, dice: «Dona al tuo servo la tua forza»: qui il termine 'servo’ esprime il suo essere sottomesso, come anche il sentimento dell'appartenenza a Dio, di sentirsi sicuro presso di lui. I poveri, nel senso strettamente biblico, sono coloro che ripongono in Dio una fiducia incondizionata; per questo sono da considerarsi la parte migliore, qualitativa, del popolo d'Israele.
Gli orgogliosi, invece, sono coloro che ripongono tutta la loro fiducia in se stessi.
Ora, secondo il Magnificat, i poveri hanno mille motivi per rallegrarsi, perché Dio glorifica gli anawim (Sal 149,4) e abbassa gli orgogliosi. Un'immagine presa dal NT, che traduce molto bene l'atteggiamento del povero dell'AT, è quella del pubblicano che con umiltà si batte il petto, mentre il fariseo compiacendosi dei suoi meriti si consuma nell'orgoglio (Lc 18,9-14).  In definitiva, Maria celebra quanto Dio ha operato in lei e quanto opera in ogni credente. Gioia e gratitudine caratterizzano questo inno alla salvezza che riconosce grande Dio ma che pure fa grande chi lo canta.

  • v. 46-50: Maria inizia proclamando il cambiamento che avviene nella su avita sotto lo sguardo amoroso di Dio, pieno di misericordia. Per questo, canta felice: "Esulto di gioia in Dio mio Salvatore". E’ il ringraziamento personale perché Dio l'ha scelta ad essere madre del Messia (madre vergine!): "ha guardato... ha fatto in me grandi cose". Maria canta la grandezza di Dio. Riconosce che Dio è Dio. La conseguenza della scoperta di Dio grande nell'amore è l'esultanza dello spirito. La scoperta dell'amore immenso di Dio fa vincere la paura. Chi conosce il vero Dio, gioisce della sua stessa gioia. La gioia di Maria è Qualcuno, il Signore. Il motivo è Lui, il "mio Salvatore”. Come spiega Giovanni Paolo II, "la sua gioia nasce dall'aver fatto l'esperienza personale dello sguardo benevolo di Dio su di lei, creatura povera e senza influsso nella storia". Il motivo del dono di Dio a Maria non è il suo merito, ma la coscienza che ha della sua povertà, la sua umiltà (da humus=terra, parola da cui deriva anche "uomo"). Maria è il nulla assoluto, che solo è in grado di ricevere il Tutto. Dio è amore. L'amore è dono. Il dono è tale solo nella misura in cui non è meritato. Dio quindi è accolto in noi come amore e dono solo nella misura della coscienza del nostro “demerito”, della nostra lontananza, della nostra piccolezza e umiltà oggettive. Maria è il primo essere umano che riconosce il proprio nulla e la propria distanza infinita da Dio in modo pieno e assoluto. Il merito fondamentale di Maria è la coscienza del proprio demerito: ella riconosce la propria infinita nullità. L'umiltà di Maria non è quella virtù che porta ad abbassarsi. La sua non è virtù, ma la verità essenziale di ogni creatura, che lei riconosce e accetta: il proprio nulla, il proprio essere terra-terra. L’umiltà è verità. Tutte le generazioni gioiranno con lei della sua stessa gioia di Dio, perché in lei l'abisso di tutta l'umanità è stato colmato di luce e si è rivelato come capacità di concepire Dio, il Dono dei doni.  Le grandi opere di Dio si riassumono in una sola: Gesù, di cui Maria è stata scelta ad essere la madre. Gesù nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione. Le "grandi cose", allora, sono tutti gli interventi di Dio su Maria: dall'Immacolata Concezione alla maternità divina... all'Assunzione che corona le opere di Dio in suo favore. "Tutte le generazioni mi chiameranno beata". In comunione profonda con tutte le generazioni cristiane del passato e con quelle che verranno, noi oggi - attuando il suo annuncio profetico - proclamiamo beata Maria e facciamo nostro il suo cantico di lode.  Solo riconoscendo la propria esperienza personale di Dio, Maria può e passa a contemplare la salvezza che Dio ha cominciato a compiere in favore del suo popolo e dell'intera umanità.

  • v. 51-53: Canta la fedeltà di Dio verso il suo popolo e proclama il cambiamento che il braccio del Signore stava compiendo a favore dei poveri e degli affamati. L’espressione “braccio di Dio” ricorda la liberazione dell’Esodo, dalla schiavitù d’Egitto.  E’ questa forza di salvezza e di liberazione di Jahvé che produce i cambiamenti: disperde i superbi, rovescia i potenti e innalza gli umili, rimanda a mani vuote i ricchi, ricolma di bene gli affamati. Maria descrive la storia biblica della salvezza in sette azioni di Dio. La descrizione con i verbi al passato significa quello che Dio ha già fatto nell'Antico Testamento, ma anche quello che ha compiuto nel Nuovo, perché il Cantico, composto dalla comunità cristiana, canta l'operato di Dio alla luce della risurrezione di Cristo già avvenuta. Nella persona di tutti i poveri che aspettano la salvezza, Maria riconosce e si rallegra con la grandezza di Dio (Abacuc 3,18), perché ha visto l'umiliazione del suo popolo povero e venne per liberarlo dagli occhi di tutti ( 1 Sam 1,11). Difatti, la maggior gloria e testimonianza della santità e della misericordia di Dio è aver assunto lui stesso la situazione dei poveri, per liberarli, dando efficacia alla loro lotta (Dt. 10,21; Salmo 103,17). Come Dio realizza questo? Per mezzo della forza della giustizia, che inverte le situazioni sociali per creare un nuovo relazionarsi tra le persone e i gruppi umani: i poveri e i deboli sono liberati da coloro che li opprimono e sfruttano (1 Sam 2,7-8; Salmo 107,9). É il modo con cui Dio agisce e come agirà Gesù, perché la vera giustizia è difendere il povero ed il debole contro le strutture e le persone che lo opprimono. In questo riconosciamo la misericordia e la fedeltà di Dio verso il popolo che lo teme e lo serve, ricordandoci dell'alleanza che fece con Abramo, il padre del popolo di Dio (Gen 17,7). Il Magnificat testimonia la gioia dei poveri che aspettano e confidano nell'azione di Dio. Ma lo stesso Dio aspetta che i poveri imparino con lui per diventare suoi strumenti nella realizzazione della giustizia che libera. Tagore diceva: " La storia dell'umanità aspetta, con pazienza, il trionfo dell'uomo umiliato".

    v.54-55: Alla fine Maria ricorda che tutto questo è espressione della misericordia di Dio verso il suo popolo ed espressione della sua fedeltà alle promesse fatte ad Abramo. La Buona Notizia vista non come ricompensa per l’osservanza della Legge, bensì come espressione della bontà e della fedeltà di Dio alle sue promesse. Maria sintetizza in una sola parola tutti gli attributi di colui che ha già chiamato Signore, Dio, Salvatore, Potente, Santo: il nome di Dio è Misericordia. Dio è amore che non può non amare. E' misericordia che non può non sentire tenerezza verso la miseria delle sue creature. San Clemente di Alessandria afferma che "per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza che ha per noi lo fa diventare Madre. Amando, il Padre diventa femminile, Dio è Padre e Madre".  E' un capovolgimento radicale della sorte dell’umanità, è il compimento delle promesse di salvezza fatte dai profeti. Tutto ciò ha la sua origine nell'evento che si è compiuto in Maria, ed è legato al bambino che lei porta nel grembo. E' il Regno di Dio che comincia a realizzarsi. Maria con un'audacia sorprendente e un’incredibile  carica di ottimismo e di speranza lo annuncia come un fatto compiuto. In effetti, tutti i verbi indicano un'azione come già avvenuta. Maria dice queste parole, quando ha appena cominciato a vedere l'opera di Dio (cioè la presenza del Figlio nel suo grembo).

La Chiesa, ieri, oggi e sempre, proclama il Magnificat quando Cristo è risorto, ma rimangono ancora gravi ingiustizie sociali e il male continua a imperversare. Maria, e in lei e con lei la Chiesa, è talmente sicura che Dio porterà a compimento l'opera iniziata da parlarne come di un disegno già realizzato.  Come dirà Gesù: “Il Regno di Dio è presente, il Regno di Dio è in mezzo a voi:” e come discepoli del Risorto continuiamo a cantare il Magnificat dei poveri e degli impoveriti della storia che sanno di farcela perché Dio resta l’eterno fedele alla vita di tutti.

 

 

Domande per la riflessione personale… e condivisione.

1) Mettendomi al posto di Maria e di Elisabetta: sono capace di percepire e sperimentare la presenza di Dio nelle cose semplici e comuni della vita di ogni giorno? Come, quando, dove?

2) Elisabetta verso Maria ha proclamato una benedizione e una beatitudine. Nel mio cammino di fede come vivo questo? Quale benedizione e beatitudine mi sento di proclamare in questo momento storico?

3) Come vivo la mia preghiera? E’ solo espressione di un sentimento o atteggiamento di ascolto e accoglienza della Parola di Dio, per riconoscere l’azione di Dio? A cosa mi porta nella vita concreta?

4) I cantici sono il termometro della vita delle comunità. Rivelano il grado di coscienza e di impegno. Quale cantico creeresti personalmente e come comunità, come canto di lode a Dio?  Prova a fare il tuo Magnificat con le parole del tuo cuore.

 

MARIA, DONNA DELLA LODE


«Maria, donna che sa gioire e che sa esultare, che si lascia invadere dalla consolazione piena dello Spirito Santo, insegnaci a pregare perché possiamo anche noi scoprire la fonte della gioia.

Nella casa di Elisabetta, tua cugina, sentendoti accolta e capita nel tuo intimo segreto, prorompesti nell'inno di esultanza del cuore, parlando di Dio, di te in rapporto a Lui, e della inaudita avventura già avviata di essere madre di Cristo e di noi tutti, popolo santo di Dio.

Insegnaci a dare un ritmo di speranza e fremiti di gioia alle nostre preghiere, a volte logorate da amari piagnistei e intrise di mestizia quasi d'obbligo.

Il Vangelo ci parla di te, Maria, e di Elisabetta: ambedue custodivate nel cuore qualcosa, che non osavate o non volevate manifestare a nessuno. Ciascuna di voi, però, si sentì compresa dall'altra, quel fatidico giorno della visitazione e aveste parole e preghiera di festa.

Il vostro incontro divenne liturgia di ringraziamento e di lode al vostro ineffabile Dio.

Tu, donna della gioia profonda, cantasti il Magnificat, rapita e stupita di quanto il Signore andava operando nell'umile sua serva.

Magnificat è il grido, l'esplosione della gioia, che scoppia dentro ciascuno di noi, quando si sente accolto e compreso».

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