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GIM1 - PADOVA
17 gennaio, 2021

Vivi CON(M)PASSIONE dando frutti di giustizia

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All'ascolto della Parola: Mc 11,1-21

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: "Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: «Perché fate questo?», rispondete: «Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito»". Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: "Perché slegate questo puledro?". Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!". Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.

 

La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all'albero, disse: "Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!". E i suoi discepoli l'udirono.

 

Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: "Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri". Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. Quando venne la sera uscirono dalla città. La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: "Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato".  Parola del Signore

 

Introduzione

Il testo su cui oggi riflettiamo è ricco di elementi simbolici; occorre quindi cominciare mettendo in chiaro 2 cose:

  • i vangeli non sono la cronaca di quanto è avvenuto in Palestina duemila anni fa e di quello che Gesù ha detto e fatto in quell'epoca, ma la profonda riflessione teologica delle comunità che hanno accolto e praticato il suo messaggio. Ad esempio, l'episodio dell'ultima cena di Gesù viene riportato da tre evangelisti (Mt, Mc, Lc) che divergono sia sulle parole pronunziate da Gesù sul pane e sul vino, e sia sui gesti che le hanno accompagnate. Tre differenti versioni che rendono difficile, se non impossibile, la ricostruzione storica dell'ultima cena. Significa allora che è tutta un'invenzione?....assolutamente no! Invece, sta a dimostrare che gli evangelisti non si sono preoccupati di trasmettere l'esattezza degli eventi storici, bensì la verità di fede in essi contenuta.
  • altro aspetto da tener presente è che gli evangelisti nella loro narrazione preferiscono adoperare immagini di vita, anziché freddi concetti teologici. Naturalmente, queste immagini appartengono al mondo culturale degli evangelisti; per cui, alcune immagini risulteranno abbastanza comprensibili, altre invece richiederanno un approfondimento culturale. Per esempio, alla fine del vangelo di Marco si trova scritto che il Signore Gesù fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio (Mc 16,19). Quello che l'evangelista vuole dire è che quell'individuo di nome Gesù, messo a morte dalle supreme autorità religiose come un bestemmiatore, aveva in realtà la stessa condizione divina. Le immagini per esprimere questo concetto vengono prese a prestito dall'etichetta reale, che prescrive che a destra del trono del re sedeva colui che era destinato a succedergli ed esercitare lo stesso potere.

Nella nostra cultura nessuno si sorprenderebbe se un messaggio come: “Il tale si trova in precarie condizioni economiche”, lo si espressa con un immagine, tipo: “Tizio è al verde”; oppure, di uno che è rimasto molto sorpreso, si dica: “Tizio è caduto dalle nuvole”. Ovviamente, in Italia queste immagini vengono usate nel linguaggio comune, in quanto conosciute e accettate da tutti; ma lette tra duemila anni e in altre culture, in assenza delle conoscenze adeguate, correrebbero il rischio di essere prese letteralmente.

Contesto

Il testo su cui oggi ci soffermiamo è preceduto dall'incontro a Gerico tra Gesù e Bartimèo, che è l'immagine di chi non si accontenta di sopravvivere, ma vuole capire e dare un senso alla sua vita; e trovatolo in Gesù, che lo libera dalla sua cecità, Bartimèo diventa discepolo di Gesù, pronto a seguirlo fino a Gerusalemme, dove Gesù sarà ucciso dal potere religioso e politico di quel tempo.

Gesù, quindi, s'incammina verso Gerusalemme, però non come un pellegrino pietoso che desidera mostrare la sua fedeltà al Tempio, ma come un re popolare, in aperto conflitto con le autorità religiose e con i romani, pronto a iniziare un assedio non-violento.

 

Il Testo

Il racconto che leggiamo oggi annuncia la fine del dominio dei poteri forti e dell’oppressione sulla gente, e proclama l’avvento di un nuovo Regno, quello di un Dio che non si può manipolare per gli interessi dei potenti di turno.

 

Il testo ci racconta 2 giornate piene di Gesù.

La prima giornata, che interessa i versetti 1 -11, Gesù la trascorrerà viaggiando, apparentemente una giornata poco significativa. Da Gerico a Gerusalemme sono circa 30 chilometri di strada; Gesù però non è da solo a camminare; sono in tanti quelli che lo seguono, tra cui anche Bartimèo, perché lo hanno riconosciuto come il Messia, sono stati toccati, sanati, liberati, rimessi in piedi da Colui che viene a rovesciare i potenti del mondo e a innalzare gli umili, viene, secondo la profezia di Malakia,nel suo Tempio per purificarlo (Ml 3,1).

Si potrebbe dire, allora, che Gesù in quella giornata ha dato vita, per la prima volta nella storia a una marcia non-violenta, una grande marcia di protesta che, dalle periferie esistenziali della Palestina porta al centro del potere situato in Gerusalemme con l'intenzione di denunciare i suoi soprusi.

Un po' sullo stile di quanto successe in India al tempo di Gandhi che, con le sua azioni di disobbedienza civile e di protesta non-violenta, come il boicottaggio, la non-collaborazione, il digiuno, le marce e quant'altro, portò il suo popolo all'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1947.

O magari possiamo ricordare ciò che avvenne negli Stati Uniti negli anni '60, con le imponenti marce organizzate dal movimento per i diritti civili degli afroamericani, con Rosa Parks, Malcolm X e Martin Luther King come lider più rappresentativi.

Ma anche ricordare le impressionanti manifestazioni iniziate in marzo 2019 negli Stati Uniti e nel mondo intero, contro la violenza brutale della polizia ai danni di George Floyd, contro ogni tipo di razzismo e xenofobia, uniti al grido "Black Lives Matter".

E' importante però, a questo punto, capire che tipo di azione messianica Gesù viene a compiere.

Innanzitutto bisogna dire che Egli non arriva a Gerusalemme come un Messia potente, conquistatore, con spade e lance e potenti cavalcature, come si aspettava il popolo d'Israele.

 Gesù, invece, rispettando le scritture, e in particolare la profezia di Zaccaria, entra nella città santa a dorso di un asinello annunciando la pace, pace tra tutti i popoli, e condannando ogni tipo di violenza. Egli viene a portare il grido degli impoveriti e a contestare la mentalità, l’ideologia politica e le strutture di potere che li opprimono, e lo farà in un modo nonviolento e giocandosi la vita!

La reazione della folla

Scrive l’evangelista “che molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi”. Quando c’era l’intronizzazione regale, il popolo, in segno di sottomissione, prendeva il proprio mantello, immagine della loro stessa vita, e lo metteva per strada. Il significato di questo gesto, secondo una interpretazione a mio avviso corretta del biblista Alberto Maggi, è che il popolo non accetta di essere liberato; anzi, vuole essere sottomesso, vuole essere dominato, magari da un re migliore, da un re più importante, ma non comprende il messaggio di liberazione portato da Gesù. Il popolo è convinto che il Messia, figlio di Davide, restaurerà un regno con la forza e la violenza delle armi.

 

Per questo allora gridano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!".

Quando, però, si accorgeranno di aver sbagliato persona, gli stessi che hanno acclamato Gesù gridando “Osanna”, saranno tra coloro che grideranno “Crocifiggilo!”, perché, ce lo dice l’evangelista, loro gridavano “Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!” Non hanno capito che Gesù viene a inaugurare il Regno di Dio, mentre loro vogliono che Gesù resusciti il defunto Regno di Davide, il Regno di Israele. Gesù non inaugura il Regno di Davide, ma il Regno di Dio, un Regno universale, dove ogni persona si possa sentire accolta e amata, e dove il segno distintivo non sia la sottomissione, la dominazione, ma l’amore e il servizio.

Il Regno di Dio, esige un cambiamento di mentalità, un cambio di valori, di astenersi di fare il male, di aiutarsi vicendevolmente, di accogliere il primato dell'amore sopra ogni altro comandamento; di non vivere più per se stessi egoisticamente, ma di costruire insieme un mondo dove l'altro non è mio rivale o antagonista o addirittura mio nemico, ma solamente e per sempre fratello, sorella, figli/e tutti dello stesso Dio che Gesù insegnava a chiamare Padre.

Mi piace a questo proposito ricordare quanto hanno dichiarato insieme Papa Francesco e il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb nel loro incontro ad Abu Dhabi nel febbraio del 2019: "Dio ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra loro".

Mi piace molto, quindi, vedere Gesù che di fronte a tanta ingiustizia, non rimane con le mani in mano, ma decide di avanzare verso Gerusalemme, insieme a tanti altri, per lo più gente semplice, impoverita, emarginata, ma con tanta voglia di vedere le cose cambiare.

Ciò ci fa capire che, quando il sistema sociale risulta corrotto e quando le istituzioni esercitano il loro potere contro il popolo opprimendolo barbaramente, non si può fare finta di niente, non si può rimanere in silenzio, magari piangendosi addosso e sperando che qualcuno faccia qualcosa. Le cose cambiano se anch'io mi do da fare, mi sporco le mani, e insieme agli altri cerco soluzioni che migliorino la vita di tutti. Gesù voleva bene al suo popolo, ed era, penso io, molto arrabbiato con quanto accadeva: tantissimi ammalati, tantissimi indigenti, tantissima gente senza una casa, un letto, tantissimi abbandonati al loro destino; non poteva più sopportare tanto dolore e tanta indignazione!

 

Il Tempio e il fico

La seconda giornata raccontata dall'evangelista Marco va dal versetto 12 al 21: Gesù decide di affrontare l'istituzione del Tempio. Sarà una giornata intensa! Per questo, ci concentreremo su 2 immagini che il testo di oggi ci suggeriscono: l’irruzione di Gesù al tempio di Gerusalemme e l'albero di fico.

 

Per comprendere questa parte del testo di Marco è necessario fare attenzione alla struttura narrativa del brano evangelico che è costruito come un trittico. Per chi non fosse familiarizzato con questo termine, diciamo che nel mondo dell'arte per trittico si intende un dipinto costituito da una tavola centrale e due sportelli laterali. Gli sportelli acquistano il loro significato da ciò che è raffigurato nella tavola centrale. Quindi, possiamo in qualche modo applicare alla narrazione della maledizione del fico sterile e l’irruzione di Gesù al tempio di Gerusalemme ciò che è valido per un trittico nelle arti figurative!

 

Pertanto, la scena centrale mostra Gesù nel tempio che compie un’azione carica di significato simbolico: scaccia quelli che vendevano e comperavano nel tempio dicendo "ne avete fatto una spelonca di ladri!"(Mc 11,15-19). In questa scena Gesù prende posizione contro il sistema del culto nel tempio che, con i suoi obblighi legati soprattutto alle offerte di purificazione, condannava i più poveri all'indigenza, come poi l'evangelista racconterà nella storia di una vedova che, nel dare il suo contributo al tesoro del tempio, rimane completamente senza alcuna risorsa per la propria sopravvivenza (Mc 12,41-44).

 

Come abbiamo già considerato più volte, ai tempi di Gesù, i poveri e gli impuri erano doppiamente oppressi: erano considerati e trattati come cittadini di seconda classe e obbligati a riparare al loro status inferiore attraverso sacrifici, arricchendo così la classe dominante.

 

Ciò significa, allora, che il Tempio, che sarebbe dovuto essere un meccanismo per assicurare la condivisione e la giustizia sociale, era diventato un apparato di stratificazione socio-economica. La metafora del “covo di ladri” è ripresa dal profeta Geremia (7, 11) che proclama che l’alleanza con Yahwè garantisce una terra ad Israele fintanto che c’è giustizia verso lo straniero, l’orfano e la vedova (le tre categorie di persone più vulnerabili nella società ebraica); se, invece, continua lo sfruttamento dei poveri, il tempio non ha più senso e deve finire. Gli scribi e i sacerdoti colgono subito forte e chiaro il messaggio di Gesù e cercano un modo per eliminarlo e per difendere i propri interessi.

 

Questa scena è contornata, come in un trittico, da due scene laterali, in cui appare un fico che non ha frutti (Mc 11,12-14) – nella prima – e che si secca fino alle radici nella seconda (Mc 11,20-21). Queste due scene compongono una storia parallela che rinforza il messaggio della scena centrale.

 

Per capire cosa sta succedendo, dobbiamo intendere i riferimenti simbolici e biblici di cui fa uso il testo. Il fico era un emblema di pace, sicurezza e prosperità; era una metafora per lo stato giudaico basato sul tempio e il culto. La sua fioritura e i primi frutti accompagnavano, nella letteratura biblica, le scene in cui Yahwè visitava il suo popolo con benedizioni. Il suo seccarsi e la mancanza di frutti simbolizzavano il giudizio di Dio sul suo popolo o sui loro nemici. Molto spesso la ragione di questo giudizio era l’aberrazione del culto, la corruzione del culto e del sistema di sacrifici.

 

Il testo ci dice che non era il “tempo” dei fichi. Come mai allora Gesù li cercava?...

 

Ci sono due parole in greco che significano tempo: “chronos”, il tempo che scorre come nel nostro cronometro, e “kairos”, che significa il momento favorevole, il momento di grazia in cui viene l’azione salvifica di Dio. Nel testo leggiamo che non era il kairos dei fichi: Gesù cercava frutti di giustizia nel tempio (simbolizzato dal fico), ma non ne trova perché in quella istituzione corrotta non si verifica il passaggio della grazia di Dio.

 

Per questo Gesù, rivolto al fico (quindi al Tempio), sentenzia: "nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti!"; in questo modo Gesù invoca la fine del sistema oppressivo del Tempio, incapace di produrre frutti di giustizia.

 

La corruzione dell’economia

Anche oggi l’economia conosce una corruzione che colpisce la gran parte della gente, soprattutto i più deboli. Ce lo spiega papa Francesco nella esortazione Evangelii Gaudium (53 – 56):

"Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.

Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società.

Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta".

 

Sulle orme di Daniele Comboni

A Daniele Comboni stava a cuore la trasformazione del mondo Africano; egli era sensibile al grido dell’Africa Centrale che aveva bisogno di essere liberata dall’idolatria e dalla superstizione, ma anche dalla schiavitù, dalla fame, dalla malattia, dalla carestia e dall’emarginazione. Comboni descriveva il popolo che vive in queste o simili situazioni come “i più poveri ed abbandonati” .

Egli fece un’opzione preferenziale in loro favore e cercò la collaborazione di tantissima gente; pieno di speranza riconobbe il fine della missione nella “rigenerazione dell’Africa” . Nella nostra presenza e azione missionaria siamo sfidati, come Comboni, dai bisogni attuali dell’Africa a fare causa comune con gli africani.

Questo metodo integrale di fare missione divenne parte integrante del carisma dei suoi istituti; secondo il Comboni è compito dei missionari e delle missionarie aiutare a costruire comunità cristiane africane che contribuiscano alla formazione di una società secondo i principi della giustizia e della pace.

La sua metodologia è ancora valida oggi, e noi la attuiamo quando ci impegniamo per la giustizia e la pace, preparando la gente locale ad essere operatori principali della loro liberazione e trasformazione, mostrando e praticando la solidarietà con loro, cercando altri collaboratori e collaboratrici nel mondo e impegnandoci per la promozione umana integrale.

 

Per la tua riflessione

1.  Che cosa ti ha colpito maggiormente di questo vangelo? Che cosa suscita in te?

2.  Di fronte ad un sistema economico che impoveriva ed escludeva, Gesù ha sentito una forte indignazione. Cosa senti tu davanti all’economia “che uccide” dei nostri giorni?

3. Cosa sei disposto/a a giocarti per essere anche tu oggi parte del cambiamento e, come Comboni, impegnarti per un mondo più giusto, equo e solidale?

 

 

P. Antonio D'Agostino

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