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Francesca e Caterina ci raccontano come si è svolto l'incontro virtuale del GIM di Padova che ha avuto come tema l'approfondimento del pilastro dell'Informazione critica. Quattro giovani volontari di Operazione Colomba, corpo di pace non violento, ci hanno raccontato quanto sentano forte, al loro ritorno a casa, il desiderio di far conoscere al maggior numero di persone le realtà in cui hanno vissuto.

Se vedi...sei fuori

Il Signore è capaci di risvegliarci dalle nostre morti?

Sabato 25 Aprile, noi del Percorso Gim 1 di Padova, ci siamo incontrati virtualmente per riflettere sull’ultimo dei quattro pilastri Gim: l’informazione critica. Abbiamo  meditato sul Vangelo della resurrezione di Lazzaro ascoltato le testimonianze di giovani volontari che fanno parte di Operazione Colomba, un corpo nonviolento di Pace della Papa Giovanni XXIII. Prima di queste preziose testimonianze abbiamo riflettuto sul brano del Vangelo di Giovanni riguardante l’episodio della Resurrezione di Lazzaro (Giovanni 11, 1-44).In questo passo è centrale l’azione di Gesù verso i discepoli; egli li invita infatti a mettersi in cammino per far tornare la gioia nei loro e nei nostri cuori. La resurrezione di Lazzaro simboleggia la vita che vince la morte, la vita che non finisce mai perché la morte fisica non ha il potere di farla finire. Marta e Maria chiamano Gesù; vediamo quindi due donne, due sorelle come figure chiave di questo brano. Marta crede nella resurrezione aprendosi alla speranza e riconoscendo Gesù come figlio di Dio. Gesù infatti dice: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà” (v. 25). Anche se arriva la morte fisica, quindi, non si muore e, come Gesù chiama Lazzaro, egli chiama per nome anche noi, per darci vita.

E noi? Il Signore è capace di svegliarci dalle nostre morti? Il dormire della società, dell’ignoranza del vangelo. Si dorme nella normalità dell’inquinamento creato, nell’uso della plastica, nel consumismo sfrenato, nella corruzione, nell’indifferenza. Ci dimentichiamo così dei rifugiati, dei senzatetto, delle donne vittime di tratta, dei carcerati, dei migranti. L’apertura alla morte a noi contemporanea si trova: nei nostri stili di vita insostenibili, che portiamo avanti delegandone la responsabilità ad altri e mai sentendoci i primi fautori; nella rassegnazione e nell’atteggiamento che tanto “niente cambierà”; nella nostra mancanza di speranza.In questo spirito vediamo come Daniele Comboni si lascia invece lanciare da Dio verso un’Africa sconosciuta. E come Don Luigi Ciotti afferma l’importanza del vivere e non del lasciarsi vivere. Ci richiama dunque al risveglio delle nostre coscienze e al costruire relazioni come vere essenza di vita. Il lavoro e l’impegno nella nostra comunità è importante; la comunità che creiamo nelle nostre famiglie, con gli amici o semplicemente con chi ci ama; la comunità come ispirazione per nostra vita perché ci aiuti ad essere liberati dalla morte e a trovare la nostra luce. Oggi, in questa particolare situazione data dal Coronavirus, possiamo aiutare ed essere aiutati. Come Gim ci domandiamo quali sono le nostre bende, come quelle di Lazzaro, e chi ci aiuta e ci ha aiutato a romperle. Prendendo come esempio il Vangelo, le bende possono essere tolte grazie alle nostre amicizie e relazioni che sono in grado di creare comunità e comunione. Ma soprattutto, chi possiamo aiutare? Vogliamo muoverci verso gli altri e non sempre credere che siano gli altri a muoversi verso di noi. Così si costruiscono legami, fonti di forza e ispirazione, fonti luce, perché se si cammina nelle tenebre prima o poi si inciampa! Vogliamo provare a soffiare sopra ciò che ci accade e ciò che accade attorno a noi, al di fuori del nostro piccolo quotidiano.Gesù cercava di dare un senso a chi incontrava lungo il cammino della sua vita.

Durante questo incontro Gim abbiamo riflettuto sull’amicizia come valore fondante della nostra vita cristiana. Amicizia non solo come scambiarci quattro chiacchiere di circostanza, ma piuttosto amicizia come il parlare sul senso della vita, toccando le corde più profonde della nostra anima. Gesù infatti ci trasmette il sogno di Dio dove le relazioni sono sorgente di vita e non di morte. Il problema sovviene quando il mondo diventiamo noi e viviamo in modo individualista pensando che tanto, le cose vanno come devono andare. Tornando per un attimo a Lazzaro, i biblisti parlano di rianimazione perché Lazzaro non è morto, dorme. Dormire è, in questo contesto, dimenticarsi del nostro ruolo nel mondo e non essere capaci di sentirci coinvolti nello scorrere della società. Lazzaro appare assente, ammalato, morto. La rianimazione di Lazzaro è qui farsi partecipe delle cose della vita. Ci dimentichiamo spesso, ad esempio, delle persone a noi vicine che soffrono. E Lazzaro, come loro, è chiamato da Gesù ad essere liberato dal suo dolore. Proprio oggi 25 Aprile, Anniversario della Liberazione, siamo quello che siamo grazie alle persone che ci hanno resi liberi di scrivere ora queste parole chiamandoci ad onorare la libertà che loro hanno ottenuto anche con la morte. 

Un processo di liberazione è anche quello che portano avanti i ragazzi di Operazione Colomba – Silvia, Monica, Nadia, Alessandro – che abbiamo incontrato e di cui abbiamo ascoltato il loro vissuto in terre difficili come la Colombia, l’Albania e il Libano. Ci hanno portato la loro testimonianza parlandoci di come “è possibile raccontare il dolore e trasformarlo in qualcosa di diverso”. Con questo progetto scelgono di lottare al fianco delle persone che si trovano a vivere dei conflitti o situazioni di disagio per costruire una nuova giustizia sociale. I conflitti nascono spesso da interessi economici che schiacciano gli abitanti del Paese.  

La  Colombia infatti è purtroppo conosciuta per essere tra i maggiori Paesi esportatori di coca, e chi ne gestisce il trasporto e la diffusione in Europa, in particolare a Milano, è la ‘ndrangheta calabrese. Questo fatto è legato strettamente al commercio delle armi: il narcotraffico è come una banca che consente a questi gruppi armati di costruire ed esportare nuove armi, portando avanti il conflitto con degli attacchi che coinvolgono la popolazione civile. Chi subisce pesantemente le conseguenze di tutto ciò è la popolazione civile, che non ha più possibilità di vivere e tessere relazioni e azioni collettive, così il territorio passa di mano in mano a diversi gruppi armati che ottengono di fatto il controllo, un riconoscimento istituzionale e la gestione delle terre e delle fonti minerarie. 

La Comunità di Pace è nata negli anni novanta proprio in risposta agli eventi sempre più gravi e pericolosi che si stavano verificando in questa area. I contadini si ritrovavano a scegliere se coltivare coca o coltivare grano, a scegliere da che parte stare, spesso  costretti a diventare spie ed informatori per le due parti. Anche scegliendo da che parte stare rischiavano di essere uccisi, così i contadini si sono ritirati in un piccolo villaggio, ma sono stati circondati dall’esercito e dai gruppi armati, che li hanno negli anni ridotti alla fame, brutalmente torturati ed uccisi 

Così sotto la guida del vescovo del tempo, la Comunità di Pace si costituisce come realtà neutrale e nonviolenta rispetto al conflitto, un’alternativa non economica, non politica ma di vita proprio per supportare i contadini che, in quelle condizioni, non avevano possibilità di costruire una proposta alternativa. 

Dal 2009 l’Operazione Colomba è presente per affiancare e supportare la Comunità di Pace, in modo da poter continuare a vivere sulle proprie terre (dichiarate Zone Neutrali) in sicurezza e svolgere le proprie attività quotidiane. La forma di tutela e di difesa più efficace di questa esperienza di resistenza nonviolenta è la presenza di civili internazionali, che siano in grado di accompagnare e proteggere la popolazione civile, monitorare il rispetto dei diritti umani e tutelare l’incolumità delle persone. Ancora adesso questi contadini ogni mattina si alzano, prendono la zappa e vanno a lavorare nei campi, sapendo che ogni giorno potrebbe arrivare nel campo qualcuno per ucciderli. Ma ciò che spinge i contadini a rischiare è l’amore per la terra.

Noi adesso siamo un po’ più consapevoli e informati rispetto all’ecologia e all’emergenza climatica, e con le nostre scelte quotidiane (anche rispetto ai fornitori di energia elettrica per le nostre case) possiamo contribuire agli interessi delle multinazionali che perpetuano questi conflitti, oppure scegliere consapevolmente. "In questa esperienza ho imparato - dice Monica - che ciò che veramente permette il cambiamento è la coerenza e la dedizione totale, fino al sacrificio. Questa gente colombiana è disposta a morire. Il responsabile della Comunità di Pace José Roviro Lopez è costantemente minacciato e nel 2017 hanno cercato di ucciderlo. Questo per dire che nessuno è un supereroe: i gruppi armati potrebbero facilmente distruggere tutto in un attimo, quello che li trattiene è forse la paura dello scandalo politico, ma sono presenti lì tutti i giorni per rivendicare il controllo del territorio e delle risorse idriche, energetiche, minerarie. Noi dovremmo farci questa domanda: per che cosa o per chi sono disposta/o a morire? La determinazione a restare, a rischiare di perdere la vita per la giustizia, per la pace, per la terra, non solo per i propri figli ma per tutti noi è per me uno stimolo per fare qualcosa di più."

Nadia ci ha parlato invece della sua esperienza in Albania, dove in molti villaggi di montagna le famiglie sono ancora protagoniste delle “vendette di sangue” pratica risalente al medioevo. Queste faide sono veri e propri conflitti di sangue in cui le famiglie si trovano a vivere. Ogni famiglia può uccidere, uno alla volta, un membro maschio dell’altra famiglia con cui è in lotta fino a quando una delle due famiglie decide di non vendicarsi più ponendo così fine a questo processo di morte. In questo contesto, in tempi recenti, Operazione Colomba ha redatto un report che ha portato all’Unione Europea nel tentativo di mettere in luce quello che succede tutt’oggi in Albania. Questo report ha contribuito al rifiuto dell’Unione Europea di ammettere l’Albania come stato membro.  

Infine, abbiamo ascoltato la testimonianza di Alessandro che ci ha raccontato la sua esperienza nei campi di accoglienza della popolazione siriana in Libano. Questo stato, grande quanto l’Abruzzo, negli ultimi anni ha accolto ben due milioni di profughi siriani in fuga dal conflitto che vede la Siria protagonista. Qui Operazione Colomba si occupa di fornire assistenza medica ai profughi siriani. Stabilmente ci sono medici e infermieri professionisti che dall’Italia si recano nei campi del Libano a prestare assistenza alla popolazione siriana. Il progetto si occupa inoltre di fornire aiuto ai profughi siriani allestendo corridori umanitari per dargli un aiuto nel loro diritto alla vita, alla libertà.

E noi ci siamo chiesti: cosa facciamo per non rimanere indifferenti a tutte queste situazioni che accadono oggi, mentre andiamo avanti con le nostre vite? Siamo così abituati a vivere nella nostra libertà che a volte non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo e rimaniamo immobili di fronte a queste ingiustizie. Se rimaniamo in silenzio non siamo forse complici di quanto sta accadendo? Come possiamo dunque portare luce in questo mondo così ferito dove ogni giorno ci sono persone che si trovano ad essere private della loro libertà personale? Come Gesù ha invitato i discepoli a mettersi in cammino, ci dobbiamo sentire anche noi chiamati a metterci in cammino per una vera giustizia sociale.

Francesca e Caterina

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