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Palermo Lampedusa

Campo Palermo - Lampedusa 2018

Tutti noi siamo in viaggio, facciamo un percorso materiale o spirituale che ci porta in contatto con gli altri. Dobbiamo imparare a riconoscere i fratelli che fanno viaggi più difficoltosi del nostro e ad accoglierli con profonda dolcezza.

Palermo Lampedusa

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Non e’ un film quello che scorre intorno

Ritrovarsi in una casa, in un comunità, che poi alla fine è una famiglia ed incontrare l’altro che poi alla fine sono io stesso. Sono Federico, gimmino di Verona, che ha partecipato al campo Palermo – Lampedusa. Ci siamo trovati come detto all’interno di una grande casa, con tanti ragazzi, tra cui quelli che il mondo definisce di colore, “migranti”, “stranieri” e altri termini più offensivi. Io ora invece li chiamo amici, fratelli. La prima cosa particolare in questo mondo visto al contrario è stata la visita alla città di Palermo, guidati da Pascal e Alieu, due simpatici ragazzi nigeriano e ghanese. Loro ci hanno indicato le vie delle città e ci hanno fatto da Ciceroni. La cosa divertente è che ogni tanto nel loro parlare usciva qualche parola in siciliano. Nel giorno successivo abbiamo continuato la nostra conoscenza tra partecipanti all’esperienza, membri dell’equipe e abitanti della casa, compresa la dolce principessa Anastasia, bimba di soli 2 anni.

 

 

IL CONFINE E’ ROTONDO SI SPOSTA MAN MANO CHE MUOVIAMO LO SGUARDO I nostri momenti di incontro e di formazione sono stati molto forti, abbiamo capito da subito di avere a che fare con persone competenti e con un sacco di esperienza che ci hanno fatto comprendere in questo primo contatto con la realtà dell’immigrazione che il percorso del migrante è molto complicato dal viaggio all’ottenimento dei documenti e che nel corso degli anni ci sono state varie regole a volte completamente evase e a volte improvvisamente irrigidite. Allo stesso tempo siamo entrati in contatto con la frontiera attraverso dei ragazzi africani accolti in due realtà: Casa dei Mirti e Sprar. Non abbiamo fatto molto, siamo semplicemente entrati in contatto, abbiamo ascoltato, ballato, condiviso, eppure è stato importantissimo, associare nomi a volti, descrizioni generiche a storie raccontate. Entrando in contatto il nostro confine si è allargato e il nostro gruppo è diventato sempre più coeso.

AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO Durante questa esperienza abbiamo avuto anche un percorso spirituale, un momento di preghiera quotidiano, che ci ha fatto entrare in contatto tramite i salmi della vita con la realtà che stavamo vivendo. Leggendoli e pregandoli mi è venuto da pensare se per caso stessi leggendo il vangelo di oggi, incontrando i crocifissi di oggi. Nello stesso tempo vedendo la gioiosa attuale energia dei nostri ragazzi abbiamo riflettuto che nella serietà degli argomenti trattati serve anche la leggerezza che non è superficialità ma voglia di superare le difficoltà che la vita ci pone davanti.

APRITI MARE E LASCIALI PASSARE C’è un momento in tutti i percorsi che rappresenta la svolta, quello da cui poi scaturisce tutto il resto. Per noi è stato il viaggio in mare fino a Lampedusa. La convivialità e la gioia hanno lasciato spazio ad emozioni forti e a momenti di forte commozione con i ragazzi che stando sul mare hanno in parte rivissuto la dura traversata dalla Libia con il profondo senso di abbandono. Dovremmo forse dire tanto, ma a me viene un solo pensiero: “Nunca mas!”, “Mai più!”

MARE NOSTRO TI ABBIAMO SEMINATO DI ANNEGATI PIU’ DI QUALUNQUE ETA’ DELLE TEMPESTE Sull’isola abbiamo incontrato tante persone che ci hanno raccontato il loro rapporto con la migrazione ed i migranti, da don Carmelo, parroco di Lampedusa, a Francesco Piobbichi, operatore sociale e disegnatore di storie, dal curatore dell’archivio storico a Enzo, amico e pescatore. Mi piace ricordare alcuni pensieri: don Carmelo ci ha detto che il suo compito è esserci per chi ne ha bisogno (“Non facciamo molto, siamo presenti”), Francesco ci ha ricordato che in questa epoca fortemente razzista e in cui il povero soccombe in una lotta tra poveri il nostro compito è resistere, il curatore ci ha parlato di una società che tiene più al profitto che all’accoglienza, Enzo, infine, ci ha parlato di accoglienza e forse più nel silenzio che nelle parole abbiamo capito il dolore che lo accompagna quando pensa ai morti che ha avuto la sfortuna di ripescare.

VIVA LA LIBERTA’, VIVA! Nel girare sull’isola, ci siamo sentiti come fratelli, come cumpà, portando allegria e cantando nelle piazze e nelle spiagge. La musica, il ritmo sono stato il veicolo di contatto con tante persone presenti che in più occasioni si sono avvicinati a noi. Vedendo il nostro sorriso allegro e spontaneo spero che si sia riusciti a lasciare un messaggio molto importante: “lasciamoci contaminare!”

SE VOI AVETE IL DIRITTO DI DIVIDERE IL MONDO IN ITALIANI E STRANIERI ALLORA VI DIRÒ CHE NEL VOSTRO SENSO , IO NON HO PATRIA E RECLAMO IL DIRITTO DI DIVIDERE IL MONDO IN DISEREDATI E OPPRESSI DA UN LATO, PRIVILEGIATI E OPPRESSORI DALL'ALTRO. GLI UNI SONO LA MIA PATRIA, GLI ALTRI I MIEI STRANIERI. ( DON MILANI) . Il momento più toccante di tutta l’esperienza è diviso in due serate. La prima serata, fatta di 4 lunghissime ore di condivisione, è stato il profondo racconto delle nostre vite, nostre e dei ragazzi: abbiamo raccolto storie belle e storie brutte, e abbiamo percepito quanto la natura umana, se tale si può definire, possa abbassarsi a violenza e brutture! Credo che certe cose rimaranno nel nostro cuore ma il nostro compito sarà quello di fornire sempre testimonianza di ciò che abbiamo sentito e vissuto. La seconda serata è stato la nostra restituzione scenica alla gente dell’isola. Senza falsa modestia siamo stati bravi ed in fondo alla fine siamo riusciti nel nostro scopo, scioccare (chiedere alla signora che pensava stessimo veramente insultando il povero Laman), dare emozione (Chris sa comunicare con la musica come pochi altri) e dare al mondo un messaggio (CONTAMINIAMOCI!)

LA NOSTRA PATRIA E’ UNA BARCA Al termine di questa esperienza, porto a casa un grande calore nel cuore, una nuova casa alla Zattera, tanti amici che mi hanno insegnato un nuovo linguaggio di condivisione. Tutti noi siamo in viaggio, facciamo un percorso materiale o spirituale che ci porta in contatto con gli altri, dobbiamo imparare a riconoscere i fratelli che fanno viaggi più difficoltosi del nostro e ad accoglierli con profonda dolcezza. Sul volo di ritorno avevo un sorriso di gratitudine, velato dalla tristezza di aver lasciato nuovi amici ed uno sguardo di profonda determinazione con cui impegnarsi a ricordare che sulla barca ci siamo tutti, qualunque sia la nostra nazionalità, e questa barca si chiama vita.

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