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Intervista a Padre Andres Tamayo, prete missionario testimone di nonviolenza in Honduras, realizzata durante il convegno di www.giovaniemissione.it sul tema: lo stile di presenza missionaria. 

L'offertorio con le tortillas

Intervista a Padre Andres Tamayo

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Intervista a Padre Andres Tamayo, prete missionario testimone di nonviolenza in Honduras, realizzata durante il convegno di www.giovaniemissione.it sul tema: lo stile di presenza missionaria. 

Quale era, all'inizio dell'attività, la tua idea di missione?

Sono salvadoregno, missionario a Olachio in Honduras da 26 anni. Sono entrato in seminario a 13 anni , senza aver l'idea di diventare un missionario. Provenivo da una famiglia molto povera e ho scelto di studiare per fame. Divenuto sacerdote, la sfida è diventata vincere me stesso poichè ero piccolo di statura e magro e avevo paura di non essere valorizzato dal popolo, abituato a missionari, bianchi, americani, alti e belli. Ho fatto una missione non pianificata con molta poca Bibbia. Dunque non avevo una chiara idea di missionarietà, ma mi sono trovato a vivere e sperimentare questa realtà inaspettata.

Come ti sei introdotto nella comunità?

Ho deciso di mettermi in strada, lavorando nei campi coltivando mais, suonando la fisarmonica, quindi stando con la gente. Volevo condividere la semplice quotidianità con i contadini per capire la loro cultura, le loro esigenze e convivere con la loro realtà. Il mio stile di missione era situarmi nelle situazioni reali del popolo cosi ho superato l'ostacolo che c'era tra me e la gente. Mi sono immerso nella cultura e combattevo a fianco del popolo per i loro problemi: ad esempio abbiamo lottato per difendere le fonti di acqua o tutelare i diritti della gente. Per me non era importante la presenza della chiesa quanto lo stare con la gente e lottare con loro. Non si deve partire con l'idea che si ha qualcosa da insegnare, ma dobbiamo imparare a leggere nella vita del popolo il Vangelo, per aiutare il popolo stesso a riscoprire che nella loro vita c'è già il Vangelo. I semi del Verbo di Gesù sono già in mezzo alla gente, nella loro cultura c'è forte la presenza di Dio visibile entro le tradizioni del popolo. Ad esempio credono che Dio verrà a visitare la casa se appendono dell'aglio sopra la porta. Non si può togliere loro questa credenza, cosi facendo avrei distrutto Dio nelle loro menti.

Il contadino riconosce nella pannocchia un dono di Dio e quando prepara la tortilla per pranzo la innalza verso il cielo in rendimento di grazie. Non è questa già una messa?

I sacramenti non sono da pensare come in Italia. Il battesimo, per loro già c'è. Avviene quando la nonna disegna una croce sulla pancia della figlia in attesa del bambino. È il suo modo di dargli il benvenuto nel mondo e affidarlo a Dio.

Tutti questi sono esempi della presenza di Dio nelle loro vite al di là dei rituali della chiesa.

Quali strumenti ha usato?

Ho sempre lavorato accanto alla gente e utilizzato i rituali per segnare i momenti importanti della loro vita. Ad esempio facevo messa con loro il giorno della semina o del raccolto, per la nascita di un bambino o un evento familiare importante. La messa ha un valore diverso da quello dato in occidente, dove si cerca Dio in chiesa. Il popolo dell'Honduras vede un Dio che è sempre presente nella quotidianità della vita e dunque la messa ha valore quando lì, porta la sua vita.

Mi sono circondato di collaboratori, persone del popolo che si formavano alla “scuola della vita”. Avevano la funzione di celebratore della vita e della parola di Dio (presiedono la liturgia della parola, inaugurano l'anno scolastico...).

I catechisti si occupano della formazione dei bambini e i visitatori solidali vanno di casa in casa, ad esempio le abitazioni dei malati, per raccogliere le loro necessita e cercare soluzioni.

Se avviene come e quando c'è il passaggio dallo stare in una realtà al farsi portatori del Vangelo?

Questo non avviene, è automatico.

Dio è già presente in loro e nelle loro vite, bisogna solo elevarli al Vangelo.

 

Intervista a cura di Lorenzo, Filippo e Nicolas di Spoleto e Lorenza di Venegono

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