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Don Luigi Di Liegro

 Don Luigi Di Liegro:  un uomo che si sporcava le mani

 

"Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia,
senza sporcarsi le mani,
ma soprattutto non si può amare senza condividere
"
 
                                                                                Don Luigi Di Liegro


Una vita spesa affianco a chi soffre
 

 

L'inizio della storia.
Quella di don Luigi è stata, fino all'ultimo giorno della sua vita, una incessante battaglia contro ogni forma di esclusione, di paura dell'estraneo, e una radicale difesa dell'umano. "L'unico valore assoluto diceva don Luigi - è la dignità umana, è la libertà di ogni uomo. Ogni uomo va liberato, ogni uomo è una strada che in qualche modo conduce a Dio". Battaglia, la sua, che richiamava severamente i poteri alle loro responsabilità, lontana da una concezione pietistica e individuale della caritas cristiana.

Luigi Di Liegro nasce a Gaeta, in provincia di Latina, il 16 ottobre 1928, ultimo di otto figli. Lo zio e i fratelli dovettero emigrare a Boston, negli Stati Uniti. Il padre, Cosmo, tento più volte di emigrare in America, respinto come clandestino e, quindi, sempre costretto a tornare in famiglia carico di umiliazioni e delusioni. Per Luigi, che era molto affezionato alla sua famiglia, questi distacchi furono sempre dolorosi e insieme significativi. Quando a dieci anni manifestò l'intenzione di andare in Seminario, il padre si oppose con decisione. Allora Luigi scappò a Roma, dove venne accolto presso il Santuario del Divino Amore. Col passare del tempo la vocazione di Luigi si manifestò a tal punto che il suo desiderio di donazione fu accolto e sostenuto dalla famiglia, in particolare dalla sorella maggiore, Suor Maria, autentica guida umana e spirituale per Luigi fino all'ordinazione sacerdotale e poi per tutti gli anni del suo ministero pastorale.

I primi incarichi pastorali e l'immediatezza dell'azione
Ordinato sacerdote il 4 aprile del 1953, gli venne affidato l'incarico di Vicario Parrocchiale nella Parrocchia di S. Leone I, al Prenestino, un quartiere di ferrovieri ed operai, molto politicizzati e diffidenti.

Al 1958 risale il viaggio di don Luigi in Belgio, durato 3 settimane. Egli era in quel periodo fortemente impegnato sia come viceparroco sia come assistente diocesano di Azione Cattolica sul fronte della pastorale del mondo operaio. In Belgio egli prese parte, insieme ad altri sacerdoti italiani ed europei, ad un corso di formazione proposto dalla J.O.C. (Gioventù Operaia Cristiana) proprio sui temi della pastorale del lavoro. Fu nel corso di queste settimane che egli visitò in prima persona le miniere dove anche molti emigrati italiani lavoravano, e imparò ancora una volta a condividerne i percorsi e le sofferenze.

Nel 1964 fu nominato dal cardinale Clemente Micara responsabile dell'Ufficio pastorale della diocesi.
Nel 1969, con il Centro di Studi sociali dell'Università Gregoriana di Roma don Luigi diede vita alla prima "Indagine sociologica sulla religiosità dei cristiani di Roma". L'iniziativa mise in luce in maniera preoccupante la divaricazione fra una fede ancora professata dalla stragrande maggioranza dei cittadini e le scelte concrete sul piano etico e sociale che gli stessi cittadini dichiaravano di seguire. Questo tema sarà, a detta dello stesso don Luigi, fra i motivi ispiratori del convegno del Febbraio 1974.

Nel 1972, venne chiamato dal cardinale Angelo Dell'Acqua a dar vita al Centro pastorale per l'animazione della comunità cristiana e i servizi socio-caritativi. Qui si impegnò nella costruzione di una nuova articolazione sociale della diocesi, che è poi quella attuale. Riunì le parrocchie in cinque grandi "settori", a loro volta divisi in "prefetture" che cercò di far coincidere con i confini politici delle circoscrizioni.

In quel periodo, il Comune di Roma aveva deliberato la suddivisione del territorio comunale in venti circoscrizioni. Don Luigi fu tra coloro che pensarono al decentramento amministrativo in corso come un'occasione per la Chiesa di rivitalizzare il suo tessuto di base. Si attivò personalmente per la realizzazione del progetto: girava per le parrocchie, organizzava incontri ed assemblee nelle quali i cristiani dibattevano i problemi sociali dei loro quartieri, invitava parrocchie e prefetture ad avere rapporti con i comitati di base, le associazioni, le circoscrizioni. Le comunità ecclesiali dovevano diventare luoghi di educazione alla partecipazione.

Nel 1973 Don Luigi fu investito della carica di Cappellano di Sua Santità, carica che prevede l'appellativo, da lui sempre schivato con un sorriso, di Monsignore. Voleva che i suoi poveri lo sentissero il più possibile uno di loro: "Dammi del tu - disse una volta ad un senza-fissa-dimora - io mi chiamo Luigi e ti chiamo Giovanni. Devi darmi del tu".

Nel febbraio del 1974, Don Luigi mise in piedi, stavolta col cardinale Poletti, il famoso convegno sui mali di Roma: "La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma". Iniziato il 12 febbraio nella basilica di S. Giovanni in Laterano, il convegno mise in luce e denunciò le debolezze e le mancanze di Roma, insieme a coloro che ne erano stati responsabili.

Dal convegno sui mali di Roma alla Caritas diocesana
Sul finire degli anni Settanta Don Luigi, che per il suo incarico di rilievo presso il Vicariato avrebbe potuto ottenere certo sistemazione più gratificante, scelse di diventare pastore della nascente comunità di Centro Giano, una piccola borgata sorta sulle rive del Tevere in prossimità di Ostia. La sua scelta nacque dalla consapevolezza che un prete non è tale senza una comunità da servire e a cui appartenere, e anche dalla sua inclinazione a leggere la realtà con lo sguardo di chi ne abita le periferie. Di questa comunità don Luigi rimarrà la guida spirituale, ma anche umana e sociale, fino alla fine della sua vita, nonostante la nomina di un nuovo parroco nel 1995.

Nel novembre del 1979 nacque la Caritas Diocesana di Roma. Don Luigi ne divenne fin dall'inizio il direttore, o meglio l'anima, come dirà il cardinale Ruini. Una Caritas pensata per praticare "una carità che tende a liberare le persone dal bisogno e quindi a renderle protagoniste della propria vita".

Don Luigi fece del suo ufficio un interlocutore decisivo della vita cittadina: giunte, realtà ecclesiali, forze civili e politiche dovevano confrontarsi con lui e con la sua strategia tesa ad alleviare le sofferenze degli esclusi. Mobilitando migliaia di volontari, la Caritas ingaggiò una vasta battaglia contro la povertà, l'emarginazione e l'indifferenza. Cominciarono a sorgere centri di ascolto, ambulatori, un ostello, una mensa per i senza fissa dimora. Il povero, secondo don Luigi, non era solo un problema del cristiano. Trattandosi non già di beneficenza ma di giustizia e di diritti civili, la questione non può non essere politica. E la politica andava sollecitata di continuo.

Dal 1983 al 1987, attraverso l'impegno di Don Luigi, sorgono tre nuove mense, ancora oggi pienamente operative.

Nel 1983, partendo dalla considerazione che "la malattia è di per sé un elemento emarginante, soprattutto per chi non è in alcun modo tutelato", Don Luigi organizza un servizio ambulatoriale di base per coloro che non godono dell'assistenza sanitaria pubblica e gratuita. Il servizio consiste oggi in un poliambulatorio, la cui sede centrale è a via Marsala, e tre sezioni distaccate, tra cui un Centro salute per la donna e il bambino a via dei Gonzaga. Presso via Marsala, è attivo anche un servizio che raccoglie e smista prodotti farmaceutici. Gli extra comunitari possono usufruire anche di un centro odontoiatrico, in via Tullio Levi Civita, mentre, a favore dei nomadi, è attivo un centro medico mobile in servizio 5 giorni a settimana in alcuni campi della città. Proprio l'area circostante la Stazione Termini, storicamente rifugio di molte persone in grave difficoltà, è divenuta negli anni luogo simbolo delle opere realizzate da don Luigi alla guida della Caritas per fronteggiare le emergenze sociali della capitale. Anche per il contenuto simbolico, proprio l'ostello di Via Marsala è stato intitolato a don Luigi dopo la sua scomparsa.

La storia di Via Marsala evidenzia ancora una volta una straordinaria capacità di intervenire sulle priorità sociali attivando una collaborazione virtuosa tra istituzioni, volontariato e aziende pubbliche e private. Don Luigi, con la collaborazione del Comune di Roma e delle Ferrovie dello Stato, nel 1987 fece partire il primo Ostello Comunale per i senza dimora, nei pressi della stazione Termini, all'interno di spazi messi a disposizione dalle FS, con una capienza di 188 posti letto. Nel 1988, viene varato il Servizio di Pronto Intervento Sociale, con sede nell'ostello di via Marsala, rivolto alle emergenze degli anziani in stato di abbandono e in seguito esteso a tutte le categorie degli emarginati romani. A via Marsala, sempre in collaborazione con le Ferrovie, funziona dal 1993 (inizialmente era a via Giolitti) anche una mensa serale, che offre 800 pasti caldi al giorno.

Tre battaglie: l'AIDS, l'immigrazione, l'integrazione
Tra il 1988 e il 1990, don Luigi si troverà coinvolto in alcune battaglie molto impegnative.

Il 5 dicembre del 1988, anno della nomina di don Luigi a Prelato d'Onore di Sua Santità, la Caritas, in accordo con il Comune di Roma, promuove l'apertura di una Casa Famiglia per malati di AIDS nel parco di Villa Glori, nel quartiere Parioli. Gli abitanti del ricco quartiere, spaventati dall'idea di ritrovarsi questo tipo di malattia sotto casa, ebbero una reazione molto dura; ci furono manifestazioni di protesta, assemblee, petizioni, ricorsi al TAR. Don Luigi venne attaccato in modo pesante.

L'AIDS non fu l'unico fronte su cui don Luigi fu costretto a dare battaglia. Fin dagli anni '80, aveva cominciato ad osservare il problema dell'immigrazione, di cui nessuno allora mostrava di preoccuparsi troppo. Negli primi anni '90, a Roma, gli stranieri immigrati erano visti piuttosto male e don Luigi, che amava definirsi "figlio dell'emigrazione", divenne per loro un solido punto di riferimento. Fin dal 1981, la Caritas aveva aperto, a via delle Zoccolette, il Centro Ascolto Stranieri, una realtà che oggi accoglie persone provenienti da più di 100 nazioni diverse, registrando un flusso annuale compreso tra le 6.000 e le 10.000 unità.

La battaglia, forse la più famosa, che coinvolgerà tutta la città, scoppia nell'inverno 1990-91. Teatro degli avvenimenti, l'ex Pastificio Pantanella, nei pressi di San Giovanni, dove erano accampati in condizioni disumane oltre mille immigrati asiatici e nordafricani, una miscela esplosiva di etnie e religioni. Anche qui i benpensanti gridavano allo scandalo e la polizia faceva continue irruzioni per cacciarli via. Don Luigi fu tra i primi ad intervenire, assumendosi il difficile ruolo di mediatore politico e culturale, chiedendo che fossero istallati i servizi igienici. Ma proprio come temevano quei profeti di sventure, alla fine fu deciso di cacciare gli immigrati dall'ex pastificio senza neanche aver provveduto a trovar loro un posto alternativo dove andare. Don Luigi si indignò profondamente e non esitò a parlare di "deportazione".

In Italia e oltre i confini
Se qualche passo verso l'integrazione a Roma si è fatto, lo si deve anche a don Luigi e ai suoi volontari che per anni, in condizioni proibitive, hanno combattuto le loro grandi e piccole battaglie, battendo un difficile terreno di frontiera, con una paziente opera di assistenza e di informazione.

Ma se la memoria collettiva lega ancora oggi don Luigi soprattutto alle iniziative sul territorio della città di Roma, non va,al contrario, dimenticato il consistente operato messo in campo oltre i confini della Diocesi e dell'Italia stessa. Dal terremoto dell'Irpinia a quello in Armenia, dal Sud Est Asiatico alla Palestina fino all'Albania del dopo regime, numerosi sono i viaggi, gli interventi, le iniziative di ricostruzione economica, sociale, culturale, ecclesiale operate da don Luigi, ancora oggi molto vive nella memoria delle persone che lo hanno incontrato e che hanno riconosciuto quel suo senso di carità concreta, viva, di solidarietà reale, incarnata.

Di sé e della sua salute don Luigi non parlava mai. A vederlo sempre tanto attivo ed impegnato, non si sarebbe detto che aveva dei gravi problemi cardiaci. Nell'estate del '97, inseguito ad una crisi cardiaca fu ricoverato presso l'Ospedale S. Raffaele di Milano. Il 12 ottobre 1997, all'una e trentadue di notte, dopo un'ora e mezza di lotta contro l'ennesima crisi, don Luigi muore.

Il 15 ottobre, Roma dà l'estremo saluto al "monsignore degli ultimi" con funerali grandiosi. Al saluto dei romani, si unisce simbolicamente tutta la nazione attraverso il Presidente della Repubblica Scalfaro e quello del Consiglio Prodi, passati a S. Giovanni in Laterano a rendere omaggio al feretro poco prima dell'inizio della cerimonia funebre.

Biografia tratta dal sito della

Fondazione Internazionale Don Luigi Di Liegro

 

Vi invitiamo alla lettura di un bel libro su Di liegro di recente:
Laura Badaracchi, LUIGI DI LIEGRO, Profeta di carità e giustizia, ed. Paoline, pp. 200, 14,00 euro.
"Don Luigi Di Liegro ha segnato la storia della Caritas, quella di Roma, ma anche la Caritas internazionale che hanno trovato in questo uomo mite e appassionato un modello di ispirazione e la spinta a una sguardo lungimirante e sempre schierato dalla parte di quelli che il Vangelo definisce «beati»: i poveri in spirito, i miti, coloro che hanno fame e sete della giustizia. Il libro racconta la vita di don Di Liegro e la sua passione sconfinata per il Vangelo. Più che sulle battaglie sociali, i gesti eclatanti, le parole perentorie del prete di Gaeta (romano d’adozione), l’Autrice si sofferma sul suo mondo interiore, sulle motivazioni che lo spingevano continuamente ad andare controcorrente, a essere radicale e libero, ad aprire, in nome del Vangelo e dei poveri, strade inedite, spesso scomode, ma cariche di forza profetica che, a distanza di anni, si sono rivelati percorsi obbligati anche in nome della convivenza civile".

Nel novembre del 1979 Don Luigi fondò nel la CARITAS diocesana di Roma, visita il suo sito!

Cosa vuol dire "Sporcarsi le mani"? Ecco alcuni esempi: visita la sezione del sito dedicata alle Attività ed ai Campi.

I Testimoni della Carità capaci anche nel nostro tempo di lasciare segni indelebili della Grazia.

Camminare affianco degli ultimi è faticoso, ma fonte inesauribile di energia è la preghiera.

L'opzione preferenziale per i poveri venne esercita con profusione ed impegno anche dai tanti missionari comboniani, leggi le loro lettere! 

La missione inizia col sedersi in mezzo alla gente, ascoltandosi, condividendo, piangendo con chi piange e ridendo con chi ride.

"Germoglia una nuova umanità". Visita la pagina che presenta il campo di lavoro alle mense caritas di Roma, dell'agosto 2005

Un uomo che si sporcava le mani
di Federico Bonadonna


Sette anni fa moriva un uomo scomodo, che aveva dedicato la vita agli ultimi - tossici, malati di aids, homeless, marginali - facendo politica e scontrandosi con chiesa e stato.
Don Luigi Di Liegro morì il 12 ottobre del 1997, nel giorno in cui, a Trento, quattro ragazzi uccisero un barbone. Alcuni commentatori si stupirono dell’indifferenza e del compiacimento degli assassini, definiti «senza causa». Ma come devono reagire degli uomini che hanno appena massacrato a sprangate un altro uomo, finendolo col fuoco? Una parvenza di pentimento avrebbe forse alleviato l’orrore del gesto? Uno dei quattro, appena catturato, come in un videoclip, tirò fuori la lingua davanti alle telecamere. Il carcere probabilmente non servirà loro a migliorare, anzi. Forse, ne usciranno più indifferenti di prima. Don Luigi è morto a pochi giorni dal suo sessantanovesimo compleanno, proprio nel giorno in cui un barbone è stato trucidato. A questi estremi, che spesso si toccano e convivono, ai tossicodipendenti, ai malati di aids, ai migranti, alle persone senza fissa dimora, ai marginali, Don Luigi ha dedicato tutta la vita.
L’avevo conosciuto alla fine del’96, già provato da un ictus cerebrale. Mi aveva chiesto di lavorare sul suo archivio personale perché voleva tirarne fuori una pubblicazione sull’attività della Caritas a Roma da presentare, provocatoriamente, alla vigilia delle elezioni amministrative. Lui che aveva appoggiato la prima elezione a sindaco di Francesco Rutelli, creando qualche scompenso nella gerarchia ecclesiale prima del Grande Giubileo, e che era poi diventato molto critico rispetto all’attività «sociale» della giunta capitolina.
Dal suo archivio emergeva chiaramente il difficile rapporto con quelle gerarchie, con il cardinal Poletti e la città di Roma. Una Roma che lui amava profondamente e che sentiva imbarbarirsi ogni giorno. Sia chiaro: non era un tradizionalista, non pensava ad una città un tempo civile e oggi decaduta. Ne conosceva troppo bene i «mali» perché era un realista nel senso migliore del termine.

I mali di Roma

Nel 1974 fu tra i promotori di un convegno, ribattezzato appunto «i mali di Roma», il cui vero titolo era «La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma», destinato a cambiare le forme dell’associazionismo, e non solo di quello cattolico. In quel convegno, che seguiva di pochi anni l’inchiesta sulla fede religiosa tra i romani, emerse il profilo di una Roma dura, violenta, cinica.
I «mali» non erano solo morali, ma anche molto materiali come ad esempio la mancanza cronica di alloggi: le decine di migliaia di appartamenti sfitti (se ne stimano attualmente 150.000) a fronte di decine di migliaia di nuclei famigliari senza casa (circa 40.000), che vivevano (e vivono tuttora) nelle scuole occupate, nelle baraccopoli, in condizione di coabitazione.
Si può dire che fu da quel convegno che ebbe inizio l’avventura di Don Luigi nel mondo degli ultimi. La Caritas ancora non esisteva, almeno nelle forme in cui siamo abituati oggi a conoscerla: perché, anche se sembra che sia sempre esistita, la Caritas nasce solo alla fine degli anni `70.
Pragmatico nella sua solidarietà, nel 1985 realizza, a Villa Glori, nel cuore della Roma bene, i Parioli, un centro per malati affetti da Hiv. Forse non è chiara a tutti la portata del gesto. Parioli è il quartiere dei benpensanti e dei benestanti per antonomasia. Se infatti a Roma si vuole indicare una persona ricca, con atteggiamenti elitari, si dice che è un pariolino. Negli anni’70 Parioli fu un fulcro del movimento neofascista in doppio petto: Dio, Patria, Famiglia.
Ecco, in quel luogo, don Luigi ha realizzato un centro, il primo della città, per malati di Aids. Ci furono blocchi stradali, sorsero comitati dei cittadini, si raccolsero firme e petizioni. Medici e professionisti, copiosi nella zona, affermarono che c’era un pericolo di contagio per la popolazione intera. Luigi ricevette molte minacce (del resto, poche settimane prima di morire mi confessò di riceverne ancora, ora per gli zingari, ora per gli immigrati), ma non servirono a nulla e il centro si fece comunque.
Era un persona scomoda, che dava fastidio. Al suo funerale, molti rappresentanti delle istituzioni che in vita lo avevano avversato, e a volte anche insultato, lo hanno incensato, esaltandone addirittura la funzione di pungolo per l’amministrazione capitolina e per la chiesa. Ma don Luigi non era un pungolo, era un uomo dal pensiero libero, era un politico, nel senso completo del termine, pur essendo tormentato da questo ruolo. Sferzava la sinistra, poi l’Ulivo, la giunta rosso-verde, con critiche continue e pressanti. Ma non era etichettabile come uomo di sinistra e chiunque tenti di appropriarsi della sua memoria per fini strumentali compirebbe un grave errore intellettuale, un plagio morale e politico.
Io l’ho frequentato per un anno nella sua casa-studio di piazza Poli, lavorando sul suo archivio personale.Voleva scrivere un libro di memorie, un libro sull’altra Roma, quella degli esclusi. Viveva quasi in povertà, con lo stretto indispensabile. Nei ritagli dei ritagli di tempo, parlavamo di Internet, della necessità di entrare in rete. Cercare, sperimentare e poi ancora cercare, questo lo spingeva ad andare avanti. Diceva che per capire e intervenire sulla realtà bisognava sporcarsi le mani. Ma oltre ai tormenti dell’anima e della politica mi diceva di essere preoccupato dall’idea che la Caritas si trasformasse in un «ministero». Sentiva che si stava smarrendo la spinta propulsiva ed entusiasta delle origini.

Una donna, fuori dalla porta

Un giorno della sua ultima estate, il suo intimo amico Paolo mi raccontò che aveva incontrato Luigi alle tre di pomeriggio di una giornata infernale di fine luglio, di ritorno dal poliambulatorio della Caritas. Era andato in autobus perché non aveva trovato un taxi, ed era infuriato. I medici dell’ambulatorio avevano chiuso fuori dalla porta una donna africana incinta perché stavano in pausa pranzo. Lui non poteva comprendere; lui, un uomo sulla soglia dei settanta, gravemente malato e debilitato, reduce da un ictus, aveva preso un autobus all’ora di pranzo, con 40 gradi all’ombra, praticamente in apnea per il tasso di umidità superiore al 90%, per far riaprire l’ambulatorio e accogliere la signora.
Dopo la sua morte un amico comune, un giorno, mi raccontò un aneddoto. Due parenti prossimi di Luigi, che fino a quando era in vita non si erano frequentati tra loro, decisero di incontrarsi per scambiare alcuni effetti personali del congiunto. Poco prima di vedersi, uno dei due si era fermato in un bar per bere un cappuccino e, soprapensiero, aveva appoggiato su un tavolino le voluminose buste di plastica nelle quali erano contenuti gli effetti. Era quindi uscito dal bar dimenticando le buste, ma dopo poche centinaia di metri se n’era accorto e aveva fatto ritorno verso il bar, scoprendo che le buste erano scomparse. Il barista gli disse di aver visto una barbona allontanarsi con due grosse buste di plastica bianche tra le mani.
Forse quest’articolo dovrebbe finire così. Il fatto è che quando si parla di Luigi il rischio di scadere nella retorica compiaciuta è sempre molto alto. Come le proposte che emersero nei giorni immediatamente successivi alla sua morte. Ci si chiedeva come rendergli omaggio. Qualcuno pensò di cambiare il nome a piazza Poli, dove c’era il suo studio, e intitolarla a lui. La toponomastica mi ha sempre lasciato indifferente, i busti mi sembrano roba per piccioni e immagino come lo stesso Luigi la prenderebbe. Certo sarebbe triste se un giorno qualcuno dicesse: «piazza don Luigi Di Liegro? Chi era costui?». Dipenderà da molti di noi, che l’hanno conosciuto o no, portare avanti parte della sua opera, perché delle cose non abbiamo solo il nome.

Pubblicato su "Il Manifesto" di domenica 3 ottobre 2004

Tratto da www.ildialogo.org

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