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E' tempo di fermarsi e adorare

Lettera di Natale di Sr. Marianna, Wau - ­Sud Sudan

Avvento 2014 

Carissimi amici,

vi porto nel cuore, prego stiate bene e viviate intensamente questo nuovo tempo di Avvento che ci è donato. Le letture del profeta Isaia che annunciano la pace e la tenerezza di Dio ci toccano nel profondo in questa terra ferita dalla guerra. Anche il cambio di clima ci ricorda che il Natale è vicino: le piogge sono ormai lontane e hanno lasciato il posto al vento caldo e alla sabbia rossa che ti si appiccica addosso e ricopre ogni cosa.

Il tempo vola: è ormai il mio quarto Natale in terra africana e mi accorgo che piano piano un sentimento sta sempre prendendo più spazio nel mio cuore. Relativizzate le sfide del fare, l'ansia di non essere capace e fatti i conti con l'impotenza (che in fondo riflettono il mio desiderio di onnipotenza), il Signore e i fratelli africani mi stanno insegnando che quello che conta è fermarsi e adorare. Adorare il mistero che ti viene donato in ogni fratello e sorella, nella gioia o nel dolore.

Non perdere l'occasione dell'incontro, inseguendo i nostri piani e logiche, ma lasciarsi sconvolgere­coinvolgere da ogni fratello. Ve racconto di alcuni!


Bakhita, un miracolo dell'amore

Bakhita ha quattro anni, arriva in fin di vita, convulsando, per una brutta malaria cerebrale. Mentre controlliamo le convulsioni e iniziamo il trattamento con il chinino, organizziamo una trasfusione di sangue. Bakhita sopravvive ma sembra rimanere, come purtroppo capita, con gravissime sequele neurologiche. Il corpo è rigido, risponde ad ogni stimolazione con grugniti e pianti inconsolabili.

Vi confesso che ho provato grande rabbia e delusione. La mamma, dopo il pianto iniziale, non si perde d'animo: pulisce, lava, nutre attraverso il sondino nasogastrico la piccola con una cura e un coraggio toccanti giorno e notte. La piccola migliora un pochino. Piano piano Bakhita inizia a deglutire, anche se tre quarti del porridge non finisce al posto giusto. La mamma con infinita dolcezza persevera. Insegnamo alla mamma semplici esercizi di fisioterapia che esegue con diligenza. Dopo un paio di settimane dimettiamo la piccola Bakhita che ha recuperato un pochino ma sembra restare con un danno cerebrale importante. Incoraggiamo la mamma a continuare a casa e le chiediamo di portare la bimba al controllo dopo un mese. Così fa, ma nessuno di noi riconosce Bakhita in quella bimba sorridente, bellissima, con un vestito bianco di tulle bianco che risalta sulla pella scura e allunga la mano per salutarci! La mamma ci viene in aiuto: "E' Bakhita!". Siamo commossi. Non ci sono parole. Un miracolo dell'amore! Non possiamo che tacere e adorare.

Achuil e suo marito, amore autentico

Ho appena finito di ascoltare il Vangelo dell'indomani: "E voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15) e sto per andare a dormire. Ci chiamano dalla maternità: è arrivata una mamma, Achuil, con un bimbo morto di circa sette mesi, con prolasso di braccio. Viene da un villaggio abbastanza lontano, dal mattino e' in queste condizioni. Nel centro si salute non sono riusciti a estrarre il feto. Vedo tanta stanchezza nei suoi occhi e dolore. Il marito le è vicino. Sono gente povera, molto semplice, di quelli che ti prendono il cuore. Il braccino del bimbo è freddo, il collo dell'utero abbastanza dilatato ma non completamente. La bimba è incastrata per bene, la mamma ha male. Considerato che il piccolo è morto, la soluzione meno invasiva è dislocare la spalla del piccolo...con delicatezza faccio spiegare la procedura alla coppia. Il papà accetta, si fida di Dio ("Rabbuna fi", Dio c'è.)

Anche io ripeto che Dio c'è, che si fidino. La mamma accetta e eseguita rapidamente la manovra, la piccola esce. L'ostetrica con delicatezza la poggia su un telino e rimango a fissare la piccola senza vita. Sento alle mie spalle gli occhi pieni di dolore e velati dalle lacrime dei genitori. Il loro dolore e commozione mi toccano profondamente, li vedo non giovanissimi e chiedo se hanno altri figli..."Ne abbiamo avuti sette ­mi rispondono­ ma tutti sono morti". L'ostetrica rompe il mio silenzio cercando di rassicurarli e invitandoli a venire tempestivamente in ospedale durante la prossima gravidanza. Io annuisco. Sono tristissimi, asciugo le lacrime della mamma, le stringo la mano e, dopo essermi assicurata che le diano un antibiotico, li saluto. "Chi sei mio Signore?" Tu sei in questa mamma, in questo papà, in questo amore fedele che unisce questa poverissima ma ricchissima coppia. Davvero sei un mistero di abbassamento per farti come noi.

I prematurini: la tenera follia di Dio!

Un luogo specialissimo è la stanza dei prematuri nel reparto di pediatria. Ora ne abbiamo sette da 800 grammi a un chilo e quattro che si scalciano nelle due incubatrici. Fanno smorfie buffissime, acrobazie con piedi e gambe, nonchè uno è arrivato a strappare il sondino del neonatino vicino!!!

Le mamme, con l'aiuto degli infermieri, hanno imparato a tirare fuori il latte e darlo attraverso il sondino ogni due ore. Si è creata un'amicizia tra loro e tutto lo staff dell'ospedale. Questi piccolissimi ti costringono a fermarti, a commuoverti, a offrire loro continui pazienti gesti di cura e di attenzione. Sono meravigliosi! Puoi passare ore a contemplarli! E ti fa tremare pensare che l'Onnipotente ha scelto di farsi così fragile e bisognoso per starci vicino e indicarci la via del Regno!

La piccola Adut

Appena il tempo della preghiera e di raccontarci la giornata con le sorelle a cena quando il telefono suona:è arrivata una mamma da un villaggio lontano che sanguina profusamente. Ha viaggiato su un mezzo di fortuna per cinque ore... Chiedo al telefono:"E' a termine? Il bimbo è vivo?" "Sembra di sì, ma è pallidissima". Quando arriviamo, la vedo afflosciata sul letto della sala parto in un lago di sangue, mi avvicino subito a lei, il battito del bimbo è lento ma c'è, lei è molto pallida ma si può tentare. Con grande velocità ci precipitiamo in sala operatoria. Iniziamo. La mamma sanguina pochissimo. Il colore del suo sangue ci fa rabbrividire: sembra acqua. Estraiamo la bimba: flaccida, cianotica, ma viva! La brava ostetrica la ventila per qualche minuto....La piccina si riprende e per la gioia di tutti fa il suo primo gemito! Finiamo il cesareo e ringraziamo il Signore.

Il giorno seguente riusciamo a trovare una sacca di sangue per la mamma. Papà e mamma (e anche noi) sono fuori di sè dalla gioia e dalla gratitudine. Sono una coppia molto povera e semplice. Molto belli. Il papà mi confessa che in quel interminabile viaggio verso l'ospedale pensava che la moglie morisse. "Perdeva tantissimo sangue..." Tremo e ringrazio il Signore. Qui capisci che sangue significa vita! E Lui l'ha dato per noi! Dopo alcuni giorni tornano con la piccola Adut (così l'hanno chiamata) al villaggio dove li aspettano gli altri figli. Non hanno soldi per pagare il contributo richiesto per l'operazione ma ci promettono che vogliono vendere una mucca.

Mantengono la promessa e dopo qualche settimana tornano raggianti con la loro piccola. Li riconosco e prendendo la bimba esclamo: "Adut". Il papà sorridendo precisa: "Adut Combonia!", in onore evidentemente dell'ospedale San Daniel Comboni!

Liai, l'amicizia guarisce

Liai ha 13 anni, è alto e magro come caratteristico della sua etnia dinka, vive in un villaggio lontano dalla città. Un giorno mentre pascolava le mucche della sua famiglia viene ferito da colpo di arma da fuoco (in un tentativo purtroppo non infrequente di razzia). Riporta una frattura del bacino con un danno alla vescica. E' sofferente, pieno di terra e l'urina fluisce dalla ferita. Liai piange, non mangia, non ci guarda, tristemente accetta il catetere e le medicazioni... con tanto affetto gli stiamo vicino ma Liai sembra chiuso in un silenzio impenetrabile. Dopo alcune settimane il miracolo: gli occhi di Liai si illuminano e un timido sorriso rasserena il suo volto!

Inoltre ci sorprende con alcune parole in inglese che evidentemente ha imparato da noi! Il danno alla vescica piano piano si ripara, riprende a stare in piedi e a camminare con un deambulatore. Dopo due mesi di ricovero Liai sta bene ed è ormai amico di tutti gli infermieri. Avevo da poco scritto le dimissioni, quando mi chiamano: Liai non cammina più, sente dolore alla gamba... Lo trovo insolitamente a letto nascosto sotto il lenzuolo: gli faccio il solletico e capisco che semplicemente non voleva lasciare i suoi amici dell'ospedale!!!

Il dolce sorriso di Madut

Madut ha nove anni, un addome disteso, è venuto dal villaggio con il papà. Purtroppo non si tratta di una infestazione elmintica come spesso accade ma di una grossa massa che occupa gran parte dell'addome. Spieghiamo al papà che con i mezzi che abbiamo è difficile fare diagnosi con certezza. Con delicatezza chiediamo se hanno qualche possibilità di andare all'estero (Kampala, Nairobi o Khartoum). Il papà scuote la testa. Il chirurgo offre una laparatomia esplorativa nella remota speranza che sia una massa benigna. Il papà felice accetta. L'intervento purtroppo si rivela "un apri e chiudi". La massa retroperitoneale aveva le caratteristiche di un linfoma. Non si poteva asportare. Il piccolo Madut è riportato in reparto. Parliamo con il papà e gli spieghiamo che non abbiamo potuto fare nulla. Addolorato ma con grandissima dignità fa cenno con il capo e rimette tutto nelle mani di Dio. Il piccolo Madut sopporta con grande forza il postoperatorio e già dopo pochi giorni il suo dolcissimo sorriso torna a illuminare il suo volto e tutti noi. La massa cresce ma lui continua apparentemente a stare abbastanza bene e a camminare nel cortile dell'ospedale regalando sorrisi a chi incontra. Dopo due settimane, rimossi i punti, con grande commozione lo salutiamo. Noi non abbiamo potuto aiutarlo, ma lui, piccolo angelo, ha toccato per sempre il nostro cuore.

L'abbraccio di Achan

Achan ha appena tredici anni ma già conosce cosa è il dolore. Geme, è raggomitolata su se stessa, un odore forte di marcio impregna l'aria. Il suo piede destro è stato morso da un serpente mentre lavorava nel campo. Ora il piede e la gamba sono in gangrena. Lei è settica: ha febbre costante, molto anemica, vomita. E' stata curata con metodi tradizionali nel villaggio per quasi un mese senza successo. Achan è l'unica figlia di una coppia relativamente anziana. Con dolore non ci resta che constatare che l'unica possibilità di salvare Achan è l'amputazione dell'arto destro sopra il ginocchio. Ne parliamo con il papà e lui piange sommessamente. Che futuro avrà la sua figlia in un contesto agricolo­pastorale? Qualcuno mi spiega che varrà pochissime mucche... Il papà dapprima resiste poi accetta l'intervento. E'difficile portare in sala operatoria una adolescente per amputarla.

Devo rassicurarla ma come? Faccio fatica anche a guardarla negli occhi... Quando però incrocio i suoi occhi terrorizzati, stendo le braccia per abbracciarla, lei allunga le sue lunghe braccia nere e mi stringe forte...Non mi molla...allora faccio cenno all'infermiere anestetista di addormentarla... Mentre lei sprofonda nel sonno, noi taciturni procediamo all'amputazione sopra il ginocchio. L'intervento va bene. Achan dorme ancora. Nel pomeriggio confesso che sento ancora disagio ad avvicinarmi...ma Achan mi scuote ancora allungando le sue braccia verso di me, mi chino su di lei e mi abbraccia. Nei giorni seguenti rifiorisce: la febbre scompare e lascia posto a un appetito insaziabile! Scopriamo che le piace il cioccolato e siamo felici di condividere con lei le nostre scorte!!! Ci mettiamo in contatto con la Croce Rossa che le fornirà stampelle e, quando il moncone sarà pronto, una protesi. Rivedo Achan qualche mese dopo: radiosa, sorridente, bellissima! Mi viene incontro camminando veloce con le sue stampelle. La abbraccio e sento gli occhi umidi per la commozione! La sento come una sorella più piccola. Achan non ci chiedeva miracoli, ma di esserle sorella. Achan mi insegna che per quanto triste possa essere una situazione quello che conta e rende felici è vivere la fraternità!

Vivere ogni incontro come presenza e adorazione del Mistero! Il piccolo paziente per cui ti chiamano appena hai raggiunto la porta di casa è il Signore che ti viene a trovare ancora! La mamma che ha bisogno di aiuto nel cuore della notte è una nuova Maria che ha un Figlio da donare al mondo! Gli occhioni scuri e il sorriso tenero dei bimbi che ti guardano mentre vai veloce da un reparto all'altro sono Lui che ti invita a fermarti e riposare un poco prendendoLo in braccio! Il volto sereno, ricamato di rughe, di una nonna cui è stata riparata una grossa ernia, è ancora Lui che veglia su di te con sapienza.... Dio prende il nome di Bakhita, Achuil, Liai, Madut, Adut, Achan....

Sento che Dio c'è, è in mezzo a noi e si prende cura di noi. E' l'Emmanuele!

Mentre mi sento benedetta dalla Sua presenza, imparo che gesti apparentemente inutili, deboli, inefficaci hanno un' importanza immensa. Sono gesti che dicono fraternità. Penso a chinarti e stupirti di ogni bimbo, balbettare qualche parola nel dialetto locale perchè i più poveri si sentano accolti, penso a stare accanto per ore a una mamma che ha un parto difficile. Ma soprattutto penso a sederti accanto ad un fratello malato che sai che non riuscirai a curare o abbracciare una mamma straziata dal dolore perchè le morto il figlio. In questi momenti di impotenza che mettono a nudo ogni mia presunzione, scopro la nostra verità e grandezza. Sono povera come il fratello/la sorella che mi sta dinnanzi. Eppure questa povertà Lui l'ha tremendamente amata, l'ha fatta sua carne e ci ha riempiti di gioia! Sento che è tempo di tacere, adorare e osare teneri gesti di fraternità, ovunque ci troviamo.

Buon Natale!

 Sr Marianna, Wau ­Sud Sudan 

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