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Missione é un cuore che ribolle dentro...

Commento libero al Vangelo di Lc 7,11-17 - p. Filippo Ivardi

 Commento libero al Vangelo di Lc 7,11-17 - p. Filippo Ivardi

Nella Galilea del suo tempo Gesu di Nazaret soffre come un matto per l’impoverimento della sua gente. Oppresso da tre tasse che schiacciano, indebitato fino al collo, il popolo non ce la fa più. Con un ferreo regime coloniale romano che stronca sul nascere ogni tipo di contestazione e un sistema religioso che alimenta ingiustizia e diseguaglianza, al limite della soglia di povertà, il popolo é smarrito e attorniato da un atmosfera di morte. Come la donna vedova, simbolo nella Bibbia dei poveri, insignificanti e indifesi, in compagnia degli orfani e degli stranieri. Ha perso tutto, il marito e l’unico figlio. Sono poche le madri che in Africa hanno un solo figlio. Malattie, imprevisti vari, onore sociale e necessità di braccia per i campi dettano l’urgenza di moltiplicare la prole. Intanto la donna di Nain é disperata e piange.


Come il popolo del Darfur, decimato dalle razzie dei “janjawid” i guerrieri a cavallo del presidente sudanese Al Bashir, che vuole fare piazza pulita e accaparrarsi l’oro della regione dopo aver perso il petrolio del sud. Cinquant’anni di vita dell’Unione Africana non sono serviti a molto, se i paesi non riescono insieme a intervenire e dare soluzioni a conflitti laceranti ( Congo RDC, Centrafrica, Mali, Somalia, Darfur...). Dall’inizio dell’anno quasi 30 mila sudanesi del Darfur si sono rifugiati in Ciad dove vengono accolti nei campi profughi di Goz Beida, Tissi e Guereda. “Avevo fame, ero nudo, ero forestiero...”. La comunità cristiana di Abeché, che accoglierà presto una nuova equipe di missionari comboniani, si fà carico con coraggio di questi sfollati, provando a fare causa comune con chi ha perso terra e casa. E molti anche familiari, figli o parenti.
Come gli sfollati di Toukra, alle porte di N’Djamena. Rischiano di dar vita alla prima baraccopoli ciadiana. Cinquemila persone che hanno perso tutto con le grandi alluvioni dello scorso anno e sopravvivono in capanne di paglia e teloni in attesa di un aiuto del governo. In condizioni indegne di vita, con un caldo sovraumano, senza bagni, con scuole di fortuna crollate con l’ultima tempesta di sabbia e con il rischio delle prossime piogge provano a resistere. Con la forza che puó venire solo dallo Spirito, quello di Pentecoste, che abbiato invocato a lungo nell’Eucarestia sotto i teloni. Una donna ha fatto una preghiera che mi ha steso e mi son detto che se il Padre-Madre di tutti non ascolta questa, allora meglio fare le valigie:

“Papà, noi siamo come il popolo di Israele, schiavi sotto le tende, in situazione indegna, di oppressione, tu ascolti il nostro grido, tu conosci la nostra sofferenza vieni a liberarci dal nostro Egitto e portaci con te nella Terra Promessa...”

Gesù nell’incontro con la donna che rappresenta il suo popolo allo stremo si sente ribollire le viscere, si lascia toccare dentro con l’intensità di quell’amore che solo l’evangelista Luca é capace di dipingere così bene. Come il cuore dello straniero (da noi sarebbero i nomadi Mbororo o i musulmani) che si prende cura del moribondo sulla strada (Lc 10,33) e quello del Padre-Madre misericordioso che attende il ritorno del figlio minore (Lc 15,20). Cuori pazzi, capaci di cambiare il corso degli eventi perché osano andare e sognare oltre.
Gesù si avvicina alla bara e la tocca. La sua é una sfida perché cadaveri e oggetti circostanti non potevano essere toccati. Ma la morte non puó contaminarlo perché con lui non ha potere. E’ soltanto un passaggio, quello decisivo, per far fiorire in pienezza la vita. Non si diventa impuri nel contatto con la morte. O con i diversi. Quando i musulmani, vicini di casa o gli amici della Tenda di Abramo a N’Djamena (centro culturale e luogo di incontro islamo-cristiano) mi invitano a mangiare con loro non esito un attimo a lavarmi le mani, mettermi in cerchio e attaccare il piattone unico. Con la gioia di sentimi un pó di più uno di loro.
Gesù invita il figliolo a ridestarsi, “in piedi” come piaceva a don Tonino Bello (quest’anno ricorre l’aniversario dei 20 anni dalla sua morte) incoraggiare i costruttori di Pace, ridà fiato e speranza al popolo. Con una Parola che ha il sapore della tenerezza. Quella di Padre Pino Puglisi (martire e fatto santo anti-mafia da una settimana) con i suoi ragazzi di Brancaccio. Tenerezza capace di riconsegnare alla madre il figlio. Al popolo la sua guida, quel Gesù di Nazaret passato al vaglio dalla passione e dalla morte per dar vita ad un esistenza senza limiti e barriere..
Una storia altamente simbolica quella della donna di Nain. E forse ci siamo dentro tutti, uno per uno. Con la voglia matta di rimetterci in piedi e risorgere tornando alla fonte che ha il sapore di Vangelo. Come la comunità cristiana che, sui passi di Francesco, prepara la nuova primavera. Dopo il lungo inverno ecclesiale finalmente ci siamo! La comunità di Gesù si rimette in piedi e in cammino con fiducia sulle orme dei martiri che dettano la strada. Con Oscar Romero e Lele Ramin (i due in odore di beatificazione) in primafila...

 



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