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di p. John dal Sudan

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Khartoum, Novembre 1999

 

 

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(titolo)

 

Carissimi Amici,

Ho cercato l'indirizzo tematico di….Dio.  C'è da impazzire; in quale cervellone lassù sarà memorizzato? Gli costerebbe così poco giocherellare  un po', e… mettersi in contatto. Sono curioso di chiedergli che cosa ne pensa  Lui del 2000. Dopo tutto è stato proprio Lui ha dar inizio a questa  storia "infinita". Attendo, ma la posta elettronica non apre. Ricorro al un metodo,  un po' antiquato, di una normale lettera scritta a mano e vi leggo: "In passato ha parlato per mezzo di molti profeti (la CNN e la posta elettronica non c'erano ancora!) e ultimamente, in questi giorni, ha parlato per mezzo del suo Figlio". Avrà un recapito questo suo Figlio, oggi? Una cosa è certa: egli parla ai nostri giorni a quattr'occhi, in carne ed ossa, come  parla un Figlio. Questo sì che è una nuova maniera personalizzata di comunicare. Parlare a quattr'occhi e a distanza ravvicinata. Vi racconto come.

Ecco come avvenne. Sono andato a visitare i due preti sudanesi del ben noto caso delle esplosioni di Khartoum (luglio ’98). Sono ancora in prigione. Sono proprio a quattro passi da casa mia. Ero andato altre volte, ma non  si erano ancora totalmente rimessi dalle torture sofferte, dalle privazioni, dalle umiliazioni. Ma questa volta ho trovato il Padre Ilario Boma "su di susta", libero di mente, chiaro, pronto a condividere, a parlare. E mi parlò di quello che gli successe durante tre interminabili ore dopo che quelli della sicurezza (polizia militare nei regimi dittatoriali) lo portarono di fronte al vescovo Sudanese Daniel Adwok perché, questi, sentisse la sua "confessione" di colpevole pentito. Era l'11 agosto 1998. P. Ilario non rispose a nessuna delle domande pressanti che il vescovo gli pose. Veniva, evidentemente, dalla dura prova delle torture. Finito il colloquio lo portarono in un'altra stanzetta. Gli dissero che aveva una mezz'ora di vita ancora, poi l'avrebbero ucciso. Gli puntarono la pistola alle tempia ripetendo continuamente e minacciosamente che aveva pochissimo tempo da perdere. Se voleva salva la vita gli bastava che dichiarasse di essere mussulmano. P. Ilario, (è lui che mi riferisce), dichiarò che gli interessava più Cristo che la vita, che con lui il gioco della pistola non funzionava. Anzi se doveva morire perdonava già tutti in anticipo.

Lo spogliarono nudo perché erano sicuri che questo figlio dell'Africa pagana prima o poi avrebbe ceduto. Bisognava prepararlo alla circoncisione! Per tre ore pistola alla testa, nudo come Cristo sulla croce, la minaccia della circoncisione. Era all'estremo delle forze. Intervenne un ufficiale che si rese conto dello stato di debolezza di P. Ilario. Non volevano farne un martire. Lo trasferirono nella stanza chiamata dell'attesa, quella in cui si attende  solo la morte. Lì P. Ilario vi rimase in isolamento assoluto fino a febbraio 1999. Fu solo a Natale che si rese conto che non sarebbe stato giustiziato. Il primo Vice Presidente gli aveva mandato gli auguri di Buon Natale!

Ora che si trova in una prigione "normale", lontano dalle mani della polizia militare  proclama il vangelo ai prigionieri, compone "canti dalla prigione", insegna ad un paio di cristiani che fanno da direttori di coro come animare coi canti la messa domenicale. Il suo caso e dei suoi compagni è ora, per decreto del Ministro della giustizia, di competenza di un tribunale civile di Khartoum. E' questione di tempo e saranno liberi, speriamo.

Come mi parlava P. Ilario mi appariva via via sempre più come un testimone, non più un accusato. Ha testimoniato Cristo, il Figlio, l'ultima e finale Parola di Dio in "carne ed ossa".  Se ci sono uomini e donne di tale fede e fortezza d'animo, è perché Cristo é vivo. Certamente Cristo non parla solo dalla prigione. In mille maniere lo proclamano vivo i suoi!

Vi auguro che vi parli Cristo, che venga reso presente in mezzo a noi. Occorre solo cuore buono e un briciolo di fede. Un caro abbraccio.

p. John Ramanzini

 

 

 

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