Sono un fratello Missionario Comboniano.
Mi chiamo Luciano Giacomelli e sono nato a Padova.
L’anagramma del mio cognome è “come i Galli”. Come i
galli voglio emergere, comandare…Sono come un fiammifero che
si accende facilmente, ma poi facilmente si spegne e chiede
scusa.
La vocazione è nata da tre componenti:
- L’azione Cattolica e l’impegno parrocchiale e
missionario mi hanno spinto a pensare alle missioni.
- Lo zoppicare a scuola mi ha suggerito una scorciatoia per
essere missionario (una volta per diventare fratelli c’era
molta pratica e poca teoria). A dire il vero preferivo sempre il
lavoro manuale a quello in ufficio con il papà.
- Terzo componente mi sembrava che la vita – casa –
scuola – lavoro – parrocchia fosse monotona, quasi
opprimente. Volevo donare la mia vita per altre persone perché
non soffrissero e fossero amate. Il mio insegnante di Religione
mi indirizzò verso i Comboniani.
Durante le vacanze andai a Thiene e mi accordai per entrare
ad ottobre.
Prima di ritornare a Padova mi fecero parlare con il Padre
spirituale. Alla fine del colloquio mi pose una domanda: “ Hai
mai baciato una ragazza?”. E questo perché se avessi baciato
una ragazza non mi riteneva idoneo ad essere missionario.
Dopo una furibonda lite con mio padre entrai a Thiene nel
1957
(Qui voglio aprire una parentesi: le vicende della vita
avevano inciso duramente sul carattere del papà che ci voleva
molto bene, ma era chiuso, poco espansivo e grande lavoratore e
ognuno dei suoi figli era proprio come l’anagramma e il papà
ci faceva rigar dritto. La lite prima di partire era stata
causata dal mio voler interrompere gli studi e, siccome eravamo
soci in una ditta la mia partenza gli poteva causare
preoccupazioni economiche).
Dopo un breve periodo a Thiene nel 1958 sono entrato in
Noviziato…ma ben presto mi sono ammalato e sono ritornato a
casa.
Nel ’61 rientro in Noviziato a Firenze e lo termino nel
1963.
Dopo i voti mi mandano a studiare a Verona non meccanica
come io avevo richiesto ma sartoria!! Fu molto duro.
Nel ’64 mi mandano portinaio a Carraia e vi rimasi fino
alla fine dell’anno scolastico 1966.
Il 29 settembre di quell’anno partii per il Canada.
Per la prima volta lasciavo l’Italia, ero solo
sull’aereo, avevo 27 anni, mi faceva un po’ paura affrontare
il viaggio e le nuove realtà e… piansi.
Il lavoro in Canada fu la propaganda missionaria, il
“fratellino di P.M.” e la mostra.
Nel ’71 ritornai in Italia per le vacanze e un corso
d’aggiornamento. Poi fui dirottato a Verona con gli ammalati
(altro cambio d’attività).
Nel ’77 fui destinato al Togo. Andai in Francia per un
breve corso di Francese e in aprile del ’78 ero pronto per
partire per l’Africa.
Due sentimenti erano in me:
1)Ancora una volta avevo paura di staccarmi dal mio mondo,
dalle mie sicurezze. Cristo aveva un bel ripetermi: “Non
temere. Sarò con te”;
2)La paura era alternata all’euforia. Partivo, volevo
andare a vivere con la gente. Vivere come loro. Non volevo fare
costruzioni, scuola od altro. Volevo solo andare a lavorare con
loro, per loro e come loro. Volevo spogliarmi della mia pelle
bianca e trasformarmi, quasi fossi un camaleonte, in un uomo
bianco-nero.
Giunsi in Togo il 15 aprile del ’78.
Le mie incertezze cominciarono a scomparire. Stavo
iniziando a Rinascere.
L’accoglienza che ho ricevuto arrivando alla mia prima
Missione mi ha fatto allargare il cuore. Volti sorridenti di
adulti e di bambini. L’Africa stava entrando in me.
La mia Prima Africa, la mia prima elementare. E sì, perché
arrivando ho avuto l’impressione di ritornare bambino, andavo
a scuola per conoscere la lingua del posto, gli usi, i costumi,
la religione…ero ritornato bambino.
Stavo imparando a conoscere l’Africa e la sua gente.
Io che avevo tanto zoppicato per terminare gli studi mi
sono trovato a dirigere una piccola scuola professionale.
I giovani fuggivano il lavoro dei campi e venivano a
imparare un mestiere per cercare di migliorare la loro vita.
Cominciai a girare per i villaggi per conoscere le famiglie
dei ragazzi che avevo a scuola. Seguivo anche un gruppo di
studenti e ci siamo preparati a ricevere il battesimo.
Loro con il battesimo sono rinati in Cristo e io, con loro
facendo lo stesso cammino sono rinato come missionario e sono
nato un po’ Togolese.
Come vi dicevo prima non sono mai stato molto bravo a
scuola e non ho imparato bene la lingua del posto. Ho così
cercato, con l’aiuto del Signore, di parlare la lingua della
Carità, dell’Amore.
L’Amore di Dio per tutti gli uomini mi ha spinto a
rispettare questo popolo, la loro vita, la cultura e la
religione tradizionale. Io cercavo di annunciare Cristo perché
chiunque lo desiderasse potesse conoscerlo, accoglierlo ed
essere così accolto.
Io pensavo che stavo facendo poco di missionario nel senso
“classico” della parola, ma il mio girare per i villaggi,
l’incontrare con rispetto, amore, e la sete di conoscere
questo popolo mi portavano ad essere conosciuto da Tutti.
Poco tempo prima di ritornare in Italia, la prima volta, fui
invitato ad una festa in onore
del primo Antenato del villaggio d’Afagnan.
Era notte fonda nella piazzetta c’era molta gente, i
tamburi suonavano, quando arrivai mi fecero sedere e dopo avermi
salutato fecero un segno a coloro che battevano i tamburi. Per
un attimo ci fu un grande silenzio, poi ripresero a suonare in
una maniera diversa e mi dissero: “Lanciano il Tuo nome verso
il cielo per ringraziarti di quello che stai facendo qui”.
Non avevo fatto grandi cose; avevo, così spero, parlato la
lingua della carità. L’amore di Dio per tutti gli uomini mi
ha aiutato a conoscere la gente, la loro vita e la loro
religione.
Ci fu un secondo periodo in Togo, la mia seconda
elementare. Questa volta fui chiamato a progettare e realizzare
un centro per i non vedenti.
Non è stato facile perché la gente del posto credeva che
il cieco fosse da evitare in quanto la sua menomazione era
ritenuta una punizione di Dio… Ma quando videro, per la prima
volta un cieco leggere in chiesa tutti si meravigliarono e
rimasero ancora più stupiti quando li videro intrecciare corde,
borse, ecc.…
A poco a poco la gente capì che coloro che essi ritenevano
persone da evitare e incapaci d’ogni lavoro erano degli amati
da Dio perché piccoli, poveri ed emarginati.
Contemporaneamente al centro per i ciechi ho iniziato delle
cooperative artigianali per dare lavoro a molti giovani.
Alcuni più dotati furono iniziati alla scultura. Questo è
stato un inizio per inculturare il Vangelo. Facevano delle
immagini Sacre per sostituire a poco a poco quelle che venivano
dall’Europa.
Per molti di loro Dio è bianco ed è il Dio dei bianchi,
per questo rimanevano attaccati alle loro tradizioni religiose.
Mi sono impegnato a conoscere le loro tradizioni, ho
provato a far loro comprendere che il nostro Dio era il loro
Dio, e questo aiutato anche dalle raffigurazioni che essi
facevano.
Dio e i santi non erano più d’importazione! Poi venne il
terzo periodo: altre attività, altri lavori, altre cose
imparate, e questa fu la mia terza elementare.
Poi ci fu un lungo periodo in Italia per assistere i miei
genitori dal ’90 al ’97.
Nel ’98 sono ritornato per la quarta volta in Togo per
aiutare ad aprire una nuova missione –La mia quarta
elementare–.
Gli abitanti di questa zona sono assetati di Dio e nel
villaggio, di 5000 persone, avevano fatto ben 14 chiese di varie
denominazioni.
14 sette che si riunivano per pregare mescolando riti
cattolici e riti della loro religione.
Poi siamo arrivati noi e abbiamo cercato tutto quello che
ci univa.
Il nostro annuncio non è stato mosso da spirito di
proselitismo, ma dall’Amore di Cristo, pensando che egli è
morto per tutti.
Il suo amore di figlio verso tutti è la molla che ci
spinge verso di loro.
Gesù lascia nel mondo, salendo al cielo, un gruppetto di
uomini, buttandoli nella mischia dei popoli, ma essi non sono
soli, c’è sempre Lui al loro fianco.
Con l’ascensione di Gesù accade ciò che avviene ad ogni
bambino quando la sua mamma, improvvisamente, stacca le sue
braccia materne e lo lascia camminare da solo.
Io sono sicuro che Lui è là anche quando ci allontaniamo
un po’, per sorreggerci e per fare quello che noi non
riusciamo a fare.
Sabato 19 gennaio ripartirò per l’Africa per imparare
ancora un po’ e sarà la mia quinta elementare.
Spero alla fine della mia vita di poter dire come il
Comboni: “L’Africa e i poveri si sono impadroniti del mio
cuore, che vive soltanto per loro”.
I fratelli Comboniani con la loro vita, il loro lavoro
cercano di fare una CHIESA dell’Amicizia, delle Cose piccole e
Semplici, della Speranza, del Passo dopo Passo.
Alla base di tutte le cose fatte con Amore nell’Amicizia.
I fratelli aiutano con la loro vita a fare una Chiesa della
speranza che non ha Potere ma semina ogni giorno.
I fratelli aiutano la Chiesa a costruire legami di
fraternità a partire dagli Ultimi e da chi ci ripugna.
Il Comboni diceva: “Per l’Africa ho votato la mia
Anima, il mio cuore, il mio sangue e la mia vita”. Per questo
sabato prossimo ripartirò.
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