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Una bella rimpatriata

Lettera di P. Maurizio dall'Uganda

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Ormai anche in Uganda ho molte appartenenze visto il mio girovagare in tanti anni di lavoro qui. Tante persone con cui ho condiviso tratti di strada sapendo del mio ritorno mi invitano ad andare nelle loro zone a trovarli. E... la voglia c’è. Sennonché occorre trovare l’occasione giusta visto che la gente che conosco è veramente tanta ormai.

Sabato 5 settembre l’occasione giusta si è presentata per fare una bella rimpatriata ad Ombaci, in West Nile, la mia prima e tanto amata missione tra i logbara (di cui ancora ricordo un po' la difficile e musicale lingua che tanto mi ha fatto penare!): l’ordinazione del primo comboniano di Ombaci, Ronald Alionzi e del diaconato di altri due confratelli. Sarebbe stata l’occasione per vedere tanti parrocchiani che si sarebbero radunati per l’occasione ma anche di tanti preti che avrebbero partecipato. Insomma…un’occasione ghiotta! Ma c’è sempre qualche sennonché! E così… guarda caso proprio quella settimana avevo gli esercizi con le suore di Gulu, di cui ti ho parlato. Anche al ripetuto invito di p. Romano Dada, il parroco, avevo risposto di no per coscienza verso le suore. Ma poi loro stesse mi han detto di non preoccuparmi e spinto ad andare. Nel frattempo si è aggiunta anche altra gente che mi chiedeva un passaggio visto che in questo periodo è meglio non viaggiare con gli affollati mezzi pubblici e che avrei voluto tornare in giornata, per cui…bisognava guidare. E così la decisione fu presa: si va!

Misi in croce i miei compagni di viaggio chiedendo loro di partire alle 5 del mattino per essere sicuri di arrivare per la celebrazione fissata per le 11. È vero che si tratta di un viaggio di quattro ore e qualcosa, però non si sa mai. In fondo si tratta di circa 400 Km, ma la strada….

E così col buio pesto delle notti africane siam partiti. Faceva abbastanza freschetto e naturalmente in giro non c’era un’anima, cosa che nel passato avrebbe dato un certo timore. Questo invece era un vantaggio per il traffico, sebbene fosse un sabato e la strada fino ad Anaka, prima di entrare nel Parco Nazionale non sia molto frequentata. Tra l’altro è… bellissima, asfaltata da poco, con tanto di segnaletica orizzontale e verticale. Cose mai viste!!! Lo scotto da pagare sono le hamps, i dossi! Ce ne sono almeno un centinaio su 60 Km di strada. Un incubo. Ci sono quelli piccolini, che con la mia macchina è meglio affrontare a tutta velocità, e quelli che io chiamo Rwenzori type, riferendomi ai nostri Monti della Luna, sui quali… si corre il rischio di decollare. Purtroppo col buio non riuscivo a vederli tutti e veramente un paio di volte abbiamo spiccato il volo; senza danno, per fortuna! L’incubo è iniziato dal bivio di Anaka in poi, visto che era ancora buio e la strada pessima. È stata asfaltata (un sogno che pensavamo irrealizzabile) verso il 1999 quando ho lasciato il West Nile e ricordo le poche volte che l’ho percorsa nel suo fulgore, ricordando i punti precedentemente impassabili nella foresta dove pullman e camion spesso si impantanavano e tutti restavano pericolosamente bloccati. E poi ricordo il convoglio militare che si spostava lentamente negli anni tristi della guerriglia. Solo che in circa vent’anni nessuna riparazione è stata fatta e adesso si trova di nuovo in uno stato pietoso. A volte anche peggio di prima, visto che l’asfalto rovinato è assai peggio della strada in terra battuta. In alcuni punti, per fortuna, l’asfalto è stato completamente rimosso e… si torna ai bei tempi andati. Ironia della sorte nei pochi tratti ancora in buono stato invece ci sono i dossi e così… è comunque un disastro. Come ugandesi siamo particolarmente abili nel rally, sfrecciando e sterzando da una buca all’altra, e il pericolo arriva soprattutto quando ci sono altri veicoli. C’è davvero il rischio di fare degli scontri frontali disastrosi, cosa che malauguratamente succede di tanto in tanto. Bisogna stare attenti anche a chi ti segue che magari è tanto scemo da sorpassarti mentre stai facendo lo slalom; e magari da sinistra! Succede così abbastanza di frequente che ci si trovi dalla parte sbagliata della strada (che per noi è la destra) con un altro veicolo in senso contrario che ti incrocia guidando anche lui contromano…

E poi bisogna sempre stare attenti a guardare nel retrovisore se sei seguito da un autobus o da un veicolo militare per cui bisogna assolutamente farsi da parte, per non essere travolti. Insomma… un Paradiso!

Rarissimamente mi ero trovato a guidare al buio per le nostre strade (qualche rara volta tra le buche di Kampala) e speravo davvero che il sole sorgesse al più presto essendomi già abbondantemente pentito d’esser voluto partire troppo presto. E invece per l’alba bisognava aspettare fin verso le 6.45…

Visto che ero un neofita della guida crepuscolare c’era anche un altro pericolo di cui non avevo tenuto conto: gli animali della savana. Se un elefante non sarebbe stato un problema vista la stazza visibile anche nonostante il colore, per le gazzelle era diverso!!!! Ce ne sono a centinaia e sono proprio belle a vedersi, ma non quando sfrecciano sulla strada a pochi metri da te. Ne abbiamo trovata una bella grossa probabilmente uccisa da poco, visto che ancora nessuno l’aveva caricata per mangiarsela. E se è vero che son velocissime e con due balzi attraversano la strada, trovarsi davanti all’improvviso quella massa in movimento è senza dubbio un’esperienza indimenticabile, in negativo. Vi garantisco che quel tratto di strada mi ha dato davvero un bel batticuore. In uno di questi incontri mi sono anche fermato sul bordo della strada così da vedere meglio la mandria ma in realtà perché volevo aspettare che il cuore rallentasse un pochettino. E meno male che i babbuini a quell’ora stavano ancora dormendo e non erano nella loro consueta postazione di raccolta del cibo che la gente butta loro, soprattutto dagli autobus in corsa. E secondo me rischiano anche grosso perché si spostano solo all’ultimo momento. Avremmo invece voluto intravedere qualche elefante e giraffa ma anche loro erano tra le braccia di Morfeo elefantino. Però … saremmo stati ripagati al ritorno. Prima di attraversare il ponte sul Nilo Alberto, proprio dopo il grande Lago Alberto, a Pakwach, ci siamo fermato un momento a consumare un po' del nostro Pekè, il cibo per il viaggio: full, cioè arachidi arrostite e una banana. E naturalmente pit stop, cioè pipì station e rifornimento d’acqua. Li, abbiamo visto i segni indiscutibili del passaggio degli elefanti, le grosse, inconfondibili, monumentali cacche. Che fortuna che non trovassimo anche i proprietari a pochi metri da noi…

Poi siamo ripartiti alla volta del ponte, passaggio per il West Nile, dove ci sono ancora i binari della ferrovia, di quel treno che ho fatto ancora a tempo a vedere l’altro ieri (era il 1985 ed ero appena sbarcato in Uganda) che termina proprio a Pakwach. Si tratta della ferrovia che parte da Mombasa e via Nairobi arriva fin qui. Il progetto, che credo non si realizzerà mai, è di unire i due oceani, da Mombasa fino a Kinshasa che certamente sarebbe anche una grossa attrazione turistica!

E così via fino a Nebbi sulla strada percorsa appena due settimane prima per l’ordinazione del vescovo Raphael e poi puntando dritti a nord per Arua: casa mia! Purtroppo anche la strada di Arua costruita a fregola d’arte dagli Israeliani inizia ad essere gravemente ammalorata in alcuni tratti. E così: via per tanti luoghi ben conosciuti e tutto sommato non troppo cambiati. Lo shock si ha quando si arriva ad Arua che è, per me, assolutamente irriconoscibile. Intanto ancora prima della città, appena passato il bivio per Vurra per il Congo e la strada delle montagne iniziano uno dopo l’altro le stazioni di rifornimento... Pensare che fino ai miei tempi l’unica pompa di benzina era dentro casa nostra, ad Ombaci. E poi gli edifici, e la strada asfaltata e la miriade di persone…. non riuscivo a riconoscere la caserma della polizia, gli uffici del tribunale, la strada per la cattedrale Ediofe che, una volta impassabile, adesso è asfaltata… Il piccolo bivio per Ombaci è diventato una rotonda e da lì mi son assolutamente perso perché non riconoscevo più nulla: due altre rotonde, la strada così larga, il mercato in muratura. E poi l’aeroporto che al posto di una casetta ha adesso un moderno padiglione con le luci come sala d’imbarco e, prima di Ombaci e il bivio di Manibe per Koboko, il paese di Idi Amin e per il Sud Sudan, un’altra immensa rotonda. Meno male che poi iniziava lo sterrato e così fino ad Ombaci mi ritrovavo abbastanza.

Non avevo appena finito di parcheggiare che già qualcuno mi chiamava e poi un altro e un altro. Che bello, anche se stancante! Un bicchier d’acqua e via verso il sakati, il recinto della celebrazione, visto che ormai eran quasi le 11.00. E invece il vescovo Sabino era tranquillamente seduto davanti all’altare per la promessa di fedeltà degli ordinandi. E già entrare in chiesa fu un’avventura perché fuori mi aspettavano i catechisti, i mei amici di sempre con cui abbiamo lavorato e sudato e condiviso momenti indimenticabili!

La Messa che secondo l’orario da fantascienza doveva durare dalle 11.00 alle 12.00 è iniziata quasi alle 12.00 per terminare verso le 15.30. Ma ancora speravo di poter rincasare per la notte. Cosa che invece fu impossibile perché non potei essere “libero” che per le 17.00. È stato bello risentire il suono degli adungu e dei tamburi, il trillo delle donne logbara e il fischiare dei piccoli corni di capra. Già iniziavo a distinguere volti amici tra la gente e naturalmente tra i preti, alcuni dei quali ho conosciuto prima che entrassero in seminario. Arua, la cui popolazione è incredibilmente recettiva e cooperativa, ha un gran numero di preti e alla celebrazione eravamo una cinquantina, quasi un terzo del numero totale dell’intero presbiterio. All’inizio dell’Eucarestia il vescovo si è raccomandato di rispettare le misure anticovid e infatti tutti erano mascherati, anche se, diceva, il distanziamento non fosse proprio regolare. Eravamo tutti pigiati all’inverosimile anche se per fortuna all’aperto.

Le letture erano alternativamente in logbara e in inglese e mi accorgevo che ancora riuscivo a seguire. Prima dell’ordinazione i Candidati vengono interrogati e sotto il sole cocente riparati da catechisti con grossi ombrelli; vescovo compreso. Prima dell’imposizione delle mani vengono poi fatti distendere sulle kodra, stuoie di papiro. Qualcuno si fece avanti anche lì con degli ombrelli ed altri con dei cuscini per appoggiare la testa ma il p. William, diocesano nativo di Ombaci, li rimandò indietro. Qualcuno poi commentò che la vita sacerdotale non è fatta di cuscini né per stare sotto un ombrello! Dopo l’imposizione delle mani dei due vescovi, visto che c’era anche il neo-vescovo Raphael, toccava a noi preti che dopo esserci disinfettati le mani ci siamo avvicinati ad uno ad uno e poi messi in circolo attorno al neo-prete sempre con le mani distese verso di lui. E così è stato anche per la lunga e toccante preghiera di consacrazione del novello sacerdote. Alla fine della Messa ci sono stati pochi e stranamente brevi spechees di rito tra cui, come un bel segno, il vescovo anglicano e lo sceicco musulmano (che parlava di Gesù cristo meglio di noi…). Il più lungo, e ne valeva la pena, è stato il vescovo Raphael, che ricordava come la sua diocesi del sud del West Nile fosse si figlia di Arua, ma che in realtà ne fosse anche madre perché era lì che 120 anni fa i primi comboniani approdarono iniziando l’epopea dell’evangelizzazione di tutto il nord Uganda. E i frutti son palpabili.

Mentre ascoltavamo già vedevamo le donne cattoliche in uniforme arrivare col cibo, così che alla fine della messa già si poteva mangiare. Erano appena le 4.00; da non credere! Prima delle benedizioni un missionario ha presentato i comboniani presenti ed eravamo tanti tra suore e maschietti, compreso Raphael. Io ero l’unico muzungu, bianco, in tutta l’assemblea. Inaspettatamente quando arrivò il mio turno fui scavalcato e così mi aspettavo un tiro mancino; infatti fui presentato per ultimo come si conviene, fu detto, a un figlio del luogo. Piccole emozioni di non poco conto! Improvvisai così due passi di danza e…apriti cielo!

Dopo la Messa son tornato selvaggio come lo ero nei tempi andati quando durante le feste (ogni domenica in una comunità diversa) mi mettevano a sedere coi VIP e gli anziani e appena potevo sgattaiolavo tra i bambini o in giro tra la gente finché qualcuno veniva a riprendermi e riportarmi all’ordine: un po' di bon ton che diamine! E io…ero già pronto alla prossima fuga!

Così iniziai a sedermi vicino a persone conosciute e tanti altri venivano a salutarmi: i miei compagni di scuola, quando frequentavo la seconda elementare per imparare il logbara, le donne cattoliche, tra cui Molly (che noi chiamavamo mollona e puoi immaginare il perché), la catechista incredibilmente brava Juliet, e poi Skola a cui hanno amputato metà gamba ma che non ha rinunciato a portare il regalo del gruppo assieme alle altre a p. Ronald, danzando appoggiando il ginocchio a una sedia e camminando con essa. E poi i giovani con cui una volta all’anno visitavamo i giovani delle parrocchie vicine con una camminata di 4 – 6 ore. Un’avventura che non si sono mai dimenticati neanche adesso che non son più giovani. E intanto i gruppi continuavano a portare doni di capre e ogni ben di Dio visto che i logbara sono particolarmente cooperativi e generosi.

 

E poi sr. Hellen Lumago. La sua casa si trova proprio dietro al Parish Hall e spesso andavo nel tempo libero a trovare la sua mamma sedendomi vicino a lei. La mamma è morta e sr. Hellen ha insistito che facessimo una scappata a casa perché, e non l’avevo mai saputo, sua mamma si commuoveva che io mi sedessi per terra con lei e mi aveva adottato come figlio. Qualche lacrimuccia me la sentivo venire…

Ormai era chiaro che si faceva scuro e che fosse impossibile tornare a casa per la notte, per cui tanto valeva mettersi l’animo in pace. Fu l’occasione per girare un po’ per la missione, incontrare altre persone care e portare gli ospiti con cui avevo viaggiato a visitare la fossa comune dell’eccidio di Ombaci del 1981, un momento terribile per la nostra comunità. E intanto dopo una giornata prima coperta e poi di sole iniziava a piovere, pioggia che continuò forte per tutta la notte, segno per tutti di benedizione, dopo una giornata tanto speciale!

Alla mattina, con qualche senso di colpa, costrinsi i miei amici a partire per le 6 (che comunque era ancora buio, complice anche la pioggia scrosciante) per arrivare a Gulu per un’ora decente. Non un grande sacrificio per i miei amici, abituati ad alzarsi presto. Arrivando in città da lontano vidi un semaforo e ne fui sbalordito: non poteva essere. E infatti…non era; bensì erano le luci del pullman delle 6.30 che nel buio della notte e la pioggia sembrava proprio un traffic light. E via, abbastanza velocemente verso Nebbi e la nostra comunità di Angal (la chiesa madre del nord Uganda) visto che stavo dando un passaggio al p Justin Ogen, primo comboniano ugandese, persona dotta ma umilissima e molto schiva, per una bella colazione.

Poi ripartimmo per l’ultima tirata e avemmo anche la fortuna di vedere tre begli elefanti al pascolo. Nonostante la fretta non potevamo non fermarci, anche perché alcuni dei miei compagni acholi gli elefanti non li avevano mai visti e dicevano che all’inizio sembravano dei termitai con le zanne. Poi riprendemmo a danzare tra una buca e l’altra facendo lo slalom e quasi risucchiati dagli autobus che ci superavano a tutta velocità.

Riuscii ad arrivare in tempo a Layibi per una bella doccia (ci voleva) ed il colloquio personale alle 12.00 con una delle suore. Ringraziando il buon Dio che tutto fosse andato bene e a tempo di record. Adro amadri mokeni, addaru!

 

P Maurizio Ayiko

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