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Lettera di Giulia dal Mozambico

Il mio cuore ripete il tuo invito:
“Cercate il mio volto!”.
Il tuo volto, Signore io cerco.
(Sal. 27, 8)

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Africa. Mozambico. Nampula. Muahivire. Lar Elda: una casa di formazione e animazione missionaria che da tredici anni accoglie cinquantasei ragazze, di età dai sette ai vent’anni, che sono senza famiglia o in condizioni di abbandono, alcune vittime di violenze e di abusi. Tutte con un passato doloroso e turbolento da rielaborare.
Il Signore ci conosce ad uno ad uno. Per il Signore noi siamo delle identità precise. Dio ci chiama per nome. “Non ti dimenticherò, dice il Signore. Ho scritto il tuo nome sulle palme delle mie mani” (Is 49, 15-16).


Ed è così che è trascorso il mio primo mese qui al Lar Elda. E’ stato un tempo di grazia, dedicato interamente alla conoscenza di queste giovani. Ciascuna con la propria storia, il proprio nome e il proprio volto da scoprire, da contemplare e da accarezzare. Ho passato (e passo tutt’ora) delle ore intere ad ammirare i loro occhi, i loro lineamenti, i loro sorrisi e a meravigliarmi della loro bellezza. E in questo stupore spesso mi trovo a ripetere “meravigliose sono le tue opere Dio, le riconosce pienamente l’anima mia” (Sal. 139, 14) e “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cos’è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato” (Sal. 8, 4-6).


Allo stesso tempo, anche le ragazze mi hanno osservato e studiato per conoscermi meglio. Ed è stato attraverso questo gioco di sguardi che, giorno dopo giorno, ci siamo aperte l’una all’atra offrendoci la possibilità di entrare sempre più in confidenza e in comunione. Abbiamo iniziato a intavolare lunghe e preziose conversazioni, comunicando non solo attraverso le parole, ma soprattutto attraverso semplici gesti, abbracci, sguardi e silenzi. Ascoltando le loro condivisioni, ho potuto scoprire che queste giovani, nonostante quello che hanno vissuto, hanno ancora la forza di ringraziare Dio per il dono della vita. Amano la vita. Mordono il frutto della vita. Non hanno perso la speranza, non l’hanno spenta nel loro cuore, non se la sono lasciata rubare. Anzi sono portartici di speranza.
Ciascuna di loro, infatti, ha il coraggio di sognare e di fare progetti per il futuro. Alcune vogliono diventare maestre, altre dottoresse, infermiere, contabili, chi suora e chi madre di famiglia.
Sono ragazze forti e lavoratrici. Ogni giorno si alzano, puliscono le loro camere, si prendono cura dei loro vestiti e del materiale scolastico, vanno a scuola, raccolgono la legna per cucinare, badano alle galline e ai maiali della missione, si preparano da mangiare, pompano l’acqua nel pozzo e irrigano l’orto. E tutto questo sempre con il sorriso sulle labbra, a ritmo di canti e intramezzi di danza. Ammirando la loro vitalità, determinazione e fiducia, mi risuonano nel cuore le parole del libro dell’Apocalisse “Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate… Io faccio nuove tutte le cose… A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita” (Ap. 21, 4-6).

Nella ricerca e nella scoperta del volto di queste giovani, sento di avere trovato il volto di Dio e contemplato la sua grandezza. Perché è proprio nella povertà, nella debolezza, nell’umiltà che Lui si manifesta e fa meraviglie. “Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore io cerco. (Sal. 27, 8)”.

Vorrei concludere questa breve riflessione, chiedendo a ciascuno di voi una preghiera per queste cinquantasei ragazze che meritano solo il meglio. E vi saluto con questo augurio: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su tutti noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti” (Sal 67, 2-3).


Giulia

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