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INFANZIA TRASCURATA

INFANZIA TRASCURATA




La popolazione del Perù è estremamente giovane, le strade brulicano di bambini, gli adolescenti lavorano come ambulanti e i reparti di maternità traboccano ogni mattina di mamme in attesa, per lo più molto giovani.
Secondo i dati dell’INEI2, la popolazione peruviana stimata a giugno del 2002 è di 26.749.000 abitanti. Il tasso annuale di crescita è del 1.5%,  significa che ogni giorno l’aumento è di 1.101 persone.
Secondo l’area geografica, il 72.2% del popolo vive nelle zone urbane, mentre il restante 27.8% rimane nelle zone rurali. La maggior concentrazione di persone si incontra lungo la costa, principalmente a Lima (29%), Piura, Cajamarca, Junin, Puno e Cuzco. Il PNAIA3 dichiara che il 54% della popolazione vive in condizioni di povertà e il 24.4% di povertà estrema. Di queste famiglie, il 40.4% dei suoi membri sono bambini, bambine e adolescenti, i quali costituiscono il gruppo più escluso della società peruviana.
I minori di 15 anni rappresentano il 33.7% dell’intera popolazione, e coloro che sono in età scolare (3-24 anni) sono il 53%.
Secondo l’OMS, organizzazione mondiale della sanità, nel 1995, il tasso di mortalità infantile nel Perù è il terzo peggiore di tutta l’America Latina, dopo Bolivia ed Equador; risulta infatti che ogni mille bambini nati, 45 muoiano, anche se nelle zone rurali il numero arriva fino a 53.9.
Le principali cause di mortalità rimangono:
· Infezioni respiratorie acute che colpiscono otto bambini su dieci.
· Problemi peri natali vincolati alla mancanza di assistenza medica che riguardano 3.5 bambini su dieci.
· Malattie diarroiche acute che provocano il 14% delle morti.
Durante gli anni novanta vengono finanziate importanti opere nell’ambito della salute e ciò porta a dei miglioramenti. Nel 1990 infatti il tasso di mortalità infantile è del 61.8‰, mentre nel 2000 scende al 34‰.
Tra i bambini peruviani, coloro che più sono messi ai margini della società e che negli ultimi anni sembrano essere divenuti un vero e proprio problema da eliminare sono i bambini di strada. Los pirañas, come vengono comunemente e offensivamente chiamati, sono bambini che hanno abbandonato la famiglia di origine e vivono per strada in piccole bande di coetanei.
La realtà dei bambini e adolescenti di strada non è propriamente recente; alla fine degli anni ’50 iniziano a comparire i primi bambini che lasciata la famiglia vivono in strada, dell’età dai 7 ai 15 anni, fuggiti di casa, dormono nelle porte dei bar delle chiese o dei mercati e vengono chiamati pajaros fruteros  per la loro abitudine di rubare la frutta al mercato all’ingrosso della Parada.
Dagli anni ’80 la situazione si aggrava e il numero di questi bambini aumenta. Oggi circa 1000, tra bambini ed adolescenti, vivono nelle strade di Lima rubando e mendicando. Sono bambini e adolescenti, maschi e femmine, anche se la maggior parte è di sesso maschile.
Il nome di “uccellini da frutta” si è trasformato nell’offensivo “pirañas”, perché come il pesce carnivoro dai denti micidiali, aggrediscono i passanti per sottrarre la borsa o qualche oggetto di valore. Questo nuovo nome li riempie di vergogna e di rabbia e  per questo preferiscono essere chiamati ragazzi di strada.
L’opinione pubblica non ci fa molto caso, ormai non impietosiscono più tranne quando sui titoli dei quotidiani si riportano le loro morti tragiche ed assurde. Anni fa la morte di un bambino fulminato mentre dormiva all’interno di una cassa elettrica in piazza portò la loro ingiusta situazione ai mezzi di comunicazione.
Los chic@s de la calle sono molto più che semplici “orfanelli nomadi”. I ragazzi non amano parlare della loro famiglia e del loro passato, non si confidano facilmente, provano vergogna nel raccontare ciò che hanno vissuto e sopportato. La confidenza si crea con la fiducia e la vicinanza. Solo dopo aver vissuto delle esperienze insieme e avermi “messo alla prova” alcuni di loro si sono lasciati raccontare.
La maggior parte dei ragazzi parla dei suoi problemi accusando la famiglia, la violenza subita e le condizioni di sopravvivenza proibitive in cui ha vissuto. Il perché vi siano bambini e bambine che vivono per strada però necessita di una spiegazione più ampia, visto la complessità della problematica.
La realtà è intricata e per questo si devono prendere in considerazione molti fattori: economici, sociali, politici e psicologici. Le violenze e la povertà familiari che vengono additati come essere le cause di questa brutta realtà infantile sono anch’esse semplici conseguenze di una struttura sociale e di un destino che viene deciso dai piani alti del governo e ancor più dal globalizzato stile di vita del resto del mondo, dedito al consumo e allo sfruttamento.
Purtroppo come dice Eduardo Galeano “il sistema nega ciò che offre”.

“La mia vera mamma mi regalò ad una famiglia che aveva soldi, questa famiglia mi fece crescere come un figlio. La mamma mi teneva sempre chiuso nella sua casa e mi picchiava molto perché non lavavo bene i piatti e il pavimento. A 7 anni scappai e fuggi per un anno alla Selva. Quando tornai a Trujillo conobbi Moises, un ragazzino tetraplegico. Io ero in strada e lui mi chiese “ perché sei in strada?” io gli raccontai la mia storia e lui disse che ne avrebbe parlato a sua mamma. La sua famiglia mi sccolse per 4 mesi, erano affettuosi e Moises era come un fratello. Io lavoravo con suo papà. Scappai perché la famiglia era molto molto povera e mi addolorava stare li cuando già avevano tanti figli e nipoti. Me ne andai per questo.”    
Yolver, 14 anni

Come primo impatto l’arrivo in strada è vissuto con eccitazione e positività. La strada è il luogo sognato, dove non esistono regole, dove si è completamente liberi, dove si può fare e si può essere quel che si vuole al di là di ciò che pensa la gente. I rimproveri, i comandi e le botte non esistono più, il futuro sembra essere di facile progettazione, i sogni finalmente realizzabili. Le prime necessità e i piccoli problemi vengono risolti con ingegno e positività perché il poter arrangiarsi e risolvere da soli la situazione fa crescere l’auto stima e la speranza di poter essere felice.
Da subito, il bambino/ragazzo/a di strada impara ad arrangiarsi e a sopravvivere senza dipendere da nessuno, secondo una legge necessaria che si riassume nel “ si salvi chi può”.
Anche se questo luogo è ostile e pericoloso, abitato e dominato da tanti strani personaggi, diventa una officina dove si imparano lavori, comportamenti e stili di sopravvivenza belli e brutti. La cultura de calle ha norme, punizioni, gerarchie e valori che il ragazzo poco a poco accetta e condivide principalmente per due motivi: primo perché si sente parte di uno stesso gruppo di coetanei che come lui ha sofferto maltrattamenti e violenze; secondo perché una volta giunto in strada, sprovveduto e solo, è quasi costretto ad unirsi alla banda per non perire. Essere un ragazzo di strada significa parlare, comunicare, vestirsi e guadagnarsi il quotidiano in un certo modo. La gente che passeggia per il centro storico di Lima addita questi ragazzi come sporchi e ladri ma la loro cultura de calle altro non è che la cultura insegnatagli dalla stessa società violenta e misera. Come dice A. C. Moro loro sono i veri conoscitori della nostra società, quelli che l’hanno capita e messa in pratica e che “sono allineati sui veri valori” da lei espressi e manifestati.
Paradossalmente la cultura de calle che sembra nascere come contro- cultura, cioè come modo per contrastare il resto della comunità e il suo stile di vita, in realtà non fa altro che esprimere con sincerità e senza vergogna la violenza, la miseria, la precarietà, il disprezzo che la società dichiaratasi  “per bene” gli ha sempre mostrato.

“Molti giovani cosi detti devianti
altro non sono che dei giovani conformistici
perché perfettamente allineati sui reali valori
e non su quelli meramente declamati
che circolano nella nostra società.
Essi hanno recepito il vero codice di comportamento
che regola la vita della nostra società.”
A. C. Moro

La vita di strada si caratterizza di un mondo in continuo movimento, dove l’ingegno e l’astuzia giocano un ruolo essenziale per non soccombere.
Essere un ragazzo di strada porta a cambiamenti nell’auto percezione, nel modo in cui si viene visti e si guarda agli altri. L’avere la strada come casa e il gruppo come famiglia però crea una nuova visione anche di ciò che è il quotidiano, il sopravvivere e le risorse disponibili perché il ragazzo è costretto dalla situazione a trovare nuove strategie di sopravvivenza.
Lo spirito di adattamento scende a livelli impensabili per dei bambini e la capacità di accontentarsi diventa un obbligo. Iniziando a vivere nel mondo di strada, il bambino abbandona la sua storia personale, rinuncia al proprio nome e vive possedendo due sole cose: il proprio corpo e le proprie abilità. La calle è il punto di passaggio dall’infanzia all’età adulta; i ragazzi pur essendo ancora bambini sono costretti a decidere e ad agire come persone adulte, dalla soddisfazione dei bisogni di base, allo svolgimento di lavori illeciti fino alla vita sessuale. Il quotidiano si trasforma in sopravvivenza e la vita è costantemente vissuta in situazioni limite. Ogni situazione deve essere risolta nell’immediato, con le poche risorse disponibili; per questo il ragazzo di strada sviluppa ingegno, furbizia, fantasia e coraggio, armi indispensabili per poter arrivare al domani. Così si dice che “ el callejero tiene lo que ha ganado”, cioè il ragazzo di strada possiede ciò che si è guadagnato.
La giornata è lunghissima, inizia quando la luce del sole ancora non è sorta e termina con il buio della notte inoltrata. Il tempo per dormire è sempre poco. Per il freddo e per la paura si riuniscono, e stretti sotto cartoni e coperte dormono in angoli nascosti di baracche, parchi, piazze e mercati.

"Faceva freddo e dormivamo in strada, con cartoni, tutti…Dove vendevano le scarpe raccoglievamo i cartoni e gli mettevamo lì, e ci dormiamo sopra. Così dormivamo io, mia sorella e due ragazze e il resto erano tutti uomini, non più di 10. A volte dormivamo in 10 e il giorno dopo 15, 16. Apparivano con le loro coperte, altri avvolti con dei sacchi. Così dormivamo tutti insieme. Alcuni tenevano macchie bianche (funghi) in faccia e a volte ci  si contagiava, però tutti erano amici.. Nella notte arrivava la polizia della Commissaria di Cochabamba e ci affrontava, ci picchiava, ci toglieva le nostre coperte e bruciavano i nostri materassi. Ci picchiavano e ci prendevano mentre dormivamo lì.”

Sono magri e denutriti, purtroppo però la loro necessità quotidiana più grande non è il trovare cibo ma riuscire a raccogliere qualche spicciolo per comprare un taro di terokal. Tutti i bisogni di base passano in secondo piano dietro alla droga, inalando infatti la fame, il freddo, la paura e la tristezza se ne vanno, la colla cancella tutti i problemi e conduce in uno stato di allucinazioni piacevoli. . L’uso di droghe infatti cerca di riempire mancanze e bisogni e allo stesso tempo cerca di cancellare pensieri, ricordi o sofferenze. Senza l’uso di queste sostanze molte azioni non verrebbero compiute per mancanza di coraggio (furti). Le sostanze stupefacenti utilizzate dai ragazzi e ragazze di strada sono più di una, in particolare la scelta di una o dell’altra dipende molto dall’età del ragazzo e dalla zona in cui para. Le droghe prevalenti sono: inalanti (58,4%), droghe sociali ( alcol 33.6%, tabacco 29.6%), pasta basica di cocaina (9.6%), marijuana (8.8%) e cocaina(3.2%).
Il tipo di droga dipende, appunto, dall’età del minore, infatti quasi tutti i ragazzi affermano di aver iniziato con gli inalanti, poi crescendo passano anche alla marijuana e alla pasta basica di cocaina. Il passaggio però non è così scontato in quanto queste due sostanze hanno costi più elevati, producono effetti molto diversi dagli inalanti (la marijuana crea appetito) e vengono usate soprattutto in certi posti della città (fumaderos).
Ogni tipo di droga conduce a delle caratteristiche proprie del gruppo che la consuma.
I lavori sono per lo più illeciti, la società li chiama delinquenti, ladri, pirañas ma loro si considerano dei veri lavoratori e con orgoglio usano la parola laburar, che deriva da laborar, cioè trabajar, lavorare. Laburar significa rubare, scippare, appropriarsi di ciò che non è proprio. La realtà è dura, questi ragazzini trafugano borse, portafogli, oggetti di valore, ma lo fanno non senza vergogna, per recuperare le briciole di cui sono stati spogliati.
Il più degli abitanti evita di avvicinarsi ai ragazzi perché si sentono continuamente minacciati, così anche quando un ragazzo si rivolge con buone intenzioni, la reazione è delle più violente.  I ragazzi/e di strada si rapportano con molta diffidenza e sfiducia con le persone che non sono della calle. Sono consapevoli di venire additati come “pirañas”, e di venire ingannati e sfruttati senza limite e sono proprio il pregiudizio esteso e la mancanza di rispetto li portano a comportarsi maleducatamente.
L’opinione della gente comune è di pregiudizio e di severa critica, sono rari i casi di persone che analizzano più in profondità il problema. Tutti si fermano alla spaventosa apparenza senza pensare che sono bambini e ragazzi, e che potrebbero essere i figli propri.
Dall’altra parte ciascun chic@, dice di sentirsi incompreso e per nulla ascoltato. Sanno di essere una presenza scomoda alla città e di venire trattati con ostilità e intolleranza. Accusati di gettare terrore nelle strade, loro, con la condotta illecita e schiva esprimono la paura ancora maggiore di non riuscire a sopravvivere.
I più grandi pericoli di violenza provengono dalle forze dell’ordine. I poliziotti, responsabili della sicurezza cittadina, li considerano elementi scomodi da recludere. La problematica viene risolta attraverso la repressione e il castigo. Spesso i ragazzi vengono trattati peggio che animali, non serve che siano colti a rubare, è sufficiente la loro presenza per essere ricercati, rincorsi e picchiati selvaggiamente.
Las batidas (le retate) e gli scontri sono quotidiani, come le ferite che rimangono sui corpi innocenti. Caricati a decine nelle camionette, vengono portati al commissariato di polizia, dove gli insulti e le beffe continuano più violentemente. Alcuni, chi può, paga ed esce, gli altri, di solito, con il coltello o lo specchietto che tengono in tasca si tagliano braccia, viso o petto. I poliziotti infatti piuttosto che curare il ragazzo o portarlo in ospedale, crudelmente, preferiscono lasciarlo libero.
In particolare dall’inizio dell’anno i ragazzi di strada sono vittime di azioni violente e disumane portate avanti dalle forze dell’ordine e dalla municipalità; così accade che Sandi, una bambina di soli 9 anni venga caricata di forza nella camionetta e reclusa in una specie di carcere perché girava al parco da sola, oppure che Jenny, educatrice di strada, venga offesa, maltrattata e portata al commissariato di polizia solo perché insieme ai ragazzi di strada. Com’è possibile che uno stato che si definisce democratico e che ha come presidente un ex lustrascarpe risponda con pura ed estrema violenza. Sono bambini, ragazzi, non solamente ladri e drogati. La soluzione non può essere la “pulizia sociale” perché questi ragazzini non sono un problema sociale, il vero problema è della società che li crea e poi li abbandona.



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