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"Tra voi non è così" - Mc 14, 12-25

Catechesi GIM Padova 14-15 febbraio 2015

Un dono inatteso

 Gim
 Padova, 18 aprile 2015

Introduzione: Mc 14: 12-25

Questo brano è diviso in tre parti.

    1. Preparativi per la Pasqua (12-16)
    2.  
    3. L'annuncio del tradimento (17-21)
    4.  
    5. L'eucarestia (22-25)
    6.  
     

Insieme esse formano il ciclo dell'ultima cena, comune ai sinottici.

Per comprendere questa sezione, che ha come centro la cena d’addio e che introduce al racconto della Passione, occorre ricostruire un triplice retroterra.

1) Anzitutto, l'intera vita di Gesù, di cui la cena è simultaneamente il culmine e la rivelazione. La cena, in effetti, non è un gesto isolato e improvviso, bensì fortemente radicato nel contesto evangelico: svela in profondità il significato della "via" del Cristo, permettendoci di coglierne la tensione interiore che l'ha guidata sin dall'inizio.

2) In secondo luogo si deve tenere presente il retroterra veterotestamentario (in particolare Is. 53 e Es. 24) e la liturgia giudaica della celebrazione della Pasqua.

3) Infine occorre tenere presente il quadro liturgico della comunità cristiana, nel nostro caso della comunità di Marco. Nel brano evangelico non troviamo solo le parole e i gesti di Gesù, ma troviamo i suoi gesti e le sue parole inquadrate nella liturgia comunitaria, in cui appunto venivano ricordati e riproposti: parole del Signore, dunque, e riflessioni comunitarie, ricordo e meditazione. Con più precisione potremmo dire che i gesti e le parole del Signore ci vengono tramandate in un contesto liturgico e omiletico (cioè di insegnamento per la vita).

La cornice in cui Marco colloca la cena non è un semplice quadro esteriore, una precisazione cronologica, bensì un quadro che avvia già alla comprensione del significato interiore dell'evento.

 1. I preparativi per la cena d’addio

Era vicina la pasqua dei Giudei (14,1) e Gesù intende celebrare la cena pasquale con i suoi discepoli (14,14).

Con ogni probabilità la Pasqua era, in origine, la forma israelita della festa di primavera, comune ai semiti nomadi del deserto. Piú tardi questa festa fu unificata con la festa degli Azzimi (Es 12: 15-20), che inizialmente era una festa agricola in coincidenza con l’inizio della raccolta dell’orzo; mentra si preparava il nuovo orzo, si mangiava pane non lievitato. Ma un testo dell'Esodo (12,1 ss.) pone la Pasqua in riferimento al gesto di Dio che liberò i figli di Israele dall'Egitto e fece morire, invece, i primogeniti degli egiziani. La festa venne in tal modo inserita nella storia della salvezza e la sua celebrazione fu arricchita di gesti fortemente evocatori. Un testo del Deuteronomio (16, 1-8) sottolinea ancora più fortemente l'idea di memoriale: "Così ti ricorderai del giorno che uscisti dal paese d'Egitto, per tutto il tempo della tua vita".

La festa fu sempre accompagnata da una cornice festosa. Al tempo di Gesù la sala ben preparata, il vino e l'agnello caratterizzavano la cena pasquale come il convito della gioia. Si festeggiava la partenza dall'Egitto, la libertà conseguita. Ma non si trattava semplicemente di una gioia che scaturiva da un ricordo: la festa assume la dimensione dell'attesa. La celebrazione del gesto liberatore di Dio non è solo ricordo del passato e non è solo gioia per la libertà posseduta: è anticipo della liberazione escatologica. Al tempo di Gesù questa dimensione escatologica era vivissima. La cena pasquale presentava un doppio aspetto: uno rivolto al passato e l'altro al futuro.

Ed è appunto qui che si innesta la novità del Cristo: egli anticipa nella cena il dono d'amore che farà di se stesso sulla Croce. La via messianica è quella della Croce. 

Questo passo collega l'ultima cena di Gesù alla pasqua giudaica, anche se gli elementi essenziali del pasto (agnello, erbe amare, salsa) non figurano mai nel racconto. Scopo dell'episodio: non riferire che Gesù ha adempiuto il rito pasquale giudaico, ma mostrare che egli stava per celebrare la sua propria Pasqua. La struttura e la fraseologia dell'episodio sono parallele in modo sorprendente a quelle usate nella descrizione del suo ingresso a Gerusalemme (11, 1-6).

Cosí come Gesú entrò in Gerusalemme, così adesso entra nella sala del cenacolo. Ambedue le circostanze segnano il momento decisivo del compimento del disegno di Dio.

 "Un uomo che porta una brocca": la prescienza di Gesù indica un segno caratteristico: i maschi usavano portare l'acqua in otri, le donne in brocche. Quest'uomo singolare che porta la brocca invece dell'otre avrebbe condotto i discepoli alla casa giusta.

 "Il Maestro dice: dov'è la mia stanza?": forse il proprietario della casa era un discepolo di Gesù per il quale il nome "Maestro" era un'indicazione sufficiente.

 "Perché io vi possa mangiare la Pasqua?": ci doveva essere un gruppo sufficientemente grande per consumare un agnello maschio, di un anno, senza difetti (Es. 12,4). Possiamo chiederci se Maria la madre di Gesú, Maria Magdalena e le altre donne che sempre seguivano Gesù non erano con loro, essendo questa la Pasqua giudaica una festa celebrata in familia? Questo senza altro ha implicazioni non indiferenti per noi.

 "Una grande sala con i tappeti": in contrasto con la prima pasqua e l'usanza giudaica primitiva quando l'agnello veniva mangiato in fretta, stando in piedi (Es. 12,4), la cena di Pasqua era diventata nella Palestina del I sec. un pranzo festoso durante il quale anche i più poveri si adagiavano a tavola (un segno della liberazione di Israele dalla schiavitù).

 Due cose colpiscono questo racconto come “prodigiose”: una è l’uomo che porta dell’acqua e l’altro è la “stanza già pronta” per la cena, la provvidenza sembra aver predisposto tutto, e Gesù viene presentato come un profeta che conosce tutto quello che deve avvenire fin nei minimi particolari. Marco vuole mostrare che come tutto avviene secondo la previsione del maestro, questo serà il segno che Dio ha davvero scelto Gesù per diventare il re Messia.

 "Là preparate per noi": forse facevano parte dei preparativi anche l'uccisione dell'agnello, le erbe amare, la salsa (haroset). Nei sinottici, comunque, non si parla di questi elementi della cena pasquale ma soltanto del pane ("massot" cioè non lievitato) e del vino.

 1. Fra intimità e tradimento (17-21)

 Venuta la sera” É di notte che i guidei prendono il loro pasto principale, l'inizio del 15 Nisan, l'agnello pasquale doveva essere mangiato tra il calar del sole e mezzanotte. Marco nota che questo momento è grave, è l’ora delle tenebre.

 "Giunse con i Dodici": non sono "i discepoli" ma gli apostogli, e il simbolo di tutto il popolo di Dio, le dodici tribù d’Israele. Si pensa che costituisca una comunità unita, mentre, invece, porta la divisione dentro di sè.

 Gesù aveva chiamato il gruppo dei dodici per associarli alla sua persona e alla sua missione, avevano visuto tante esperienze asieme, esisteva tra di loro una fraternità ed intimità significativa, ma è proprio tra i suoi seguaci più stretti dove si trova il traditore.

 "Uno di voi mi tradirà": Mc. aggiunge le parole del Sal. 41,10, la preghiera di un uomo abbandonato e tradito, "uno che mangia con me", insinuando in tal modo l'avveramento di una profezia veterotestamentaria: il tradimento di un commensale. È un tradimento dell’amicizia e della elezione. In questo vangelo è vivissimo il senso del tradimento: quello di Giuda, il rinnegamento di Pietro e lo scandalo di tutti i discepoli.  Poichè Gesù non rivela che sarà il traditore , ognuno è spinto a interrogarsi se si tratta di lui: “Sono forze io?”. Marco non ha risposto a questa domanda, affinchè ogni cristiano si interroghi, da parte sua, sui sentimenti che lo animano quando egli partecipa al pasto del Signore.

 "Colui che intinge con me nel piatto": può essere sia un riferimento al fatto di condividere un pasto ordinario sia un riferimento al fatto di condividere la salsa (haroset) della pasqua.

 "Il Figlio dell'uomo se ne va": questo versetto è probabilmente il commento dell'evangelista e rappresenta una fusione cristiana primitiva dei temi del Servo sofferente di Jahwè e del Figlio dell'uomo. Certo questo tradimento rientra nella storia di Dio (e quindi non deve scandalizzare), ma è anche dovuto alla responsabilità dell'uomo: "Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato"; forse non è un giudizio di condanna, quanto piuttosto un lamento e un avvertimento.

 La comunità cristiana scopre nel tradimento di Gesù, le proprie divisioni, ma contemporaneamente scopre che la fedeltà di Dio è più forte che quelle divisioni. Così la memoria di Gesù è insieme giudizio e consolazione. Proprio nel contrasto fra il tradimento e il dono la comunità ha colto la grandezza dell’amore di Gesù, la gratuità del suo dono. Gesù sa che sarà tradito, ma nonostante il tradimento di un amico vuole fraternizzre con i discepoli nell’ultima Cena Pasquale.

 2. L'eucarestia: il banqueto messianico (22-25)

 Il racconto di Marco, sinottico più primitivo dell'istituzione dell'eucarestia, rappresenta una formulazione liturgica di un avvenimento che ebbe luogo durante l'ultima cena. Si tratta di un testo breve e assai schematizzato, o sia un testo liturgico già predisposto.

 L'intento di Mc. non è semplicemente di riferire ciò che Gesù fece e disse in quell'occasione, ma di riferirlo nell'interesse della fede e del culto dei cristiani. Il probabile sfondo della pasqua giudaica colora fortemente numerosi versetti.

 "Mentre mangiavano": la cena iniziava con un antipasto che qui viene presupposto. Per i guidei mangiare insieme, ossia la comunione della mensa, era la massima espressione di intimità e di confidenza. Perciò il tradimento sarà compiuto da un amico molto intimo, ma l’amore di Gesù è più grande del tradimento!

 Adeso, concentriamo ora l’attenzione sui gesti e sulle parole del Cristo. I gesti di Gesù, anche a prescindere dalle parole che li commentano, sono in sè carichi di significato: il pane spezzato, il vino rosso, il pane e il vino distribuiti. Tutto questo indica la morte vicina e il dono che essa racchiude: una vita in dono e un dono inattesso. Non a caso l’evangelista ha collocato questo gesto della donazione di sè (14: 22-25) tra l’annuncio del tradimento di Giuda (14, 17-21) e quello della negazione di Pietro e della fuga degli altri discepoli (14: 26-31). Sottolineando il contrasto tra il gesto di Gesù e quello dei discepoli, Marco dà rilievo, per le comunità di quel tempo e per tutti noi, all’incredibile gratuità dell’amore di Gesù che supera il tradimento, la negazione e la fuga degli amici.

 "Prese il pane": all'inizio del piatto principale Gesù nelle vesti di capofamiglia del gruppo disse una preghiera di ringraziamento sopra i "pani non lievitati" (prima che venisse consumato l'agnello).

 Come sintesi della sua vita, Gesù usa due simboli universali nei rapporti umani: il pane, simbolo della necessità, e il vino, simbolo di gioia. Spezzare il pane è equivalente a condividere il bisogno umano. E passare la copa equivale a comunicare la gioia.

 “pronunziata la benedizione” Questo atto di benedizione e di condivisione non era di per sé straordinario, essendo normale simbolismo della comunione in torno al tavolo durante i pasti.

 lo spezzo” esiste un’analogia tra lo spezzare il pane e il dono di se di Gesù sulla croce. Così come esiste un legame tra la cena del Signore e il condividere con i poveri il pane.

 "Questo è il mio corpo": queste cinque parole si riscontrano in tutti e quattro i racconti del N.T.

 Come il capofamiglia durante la cena pasquale spiegava il significato del "pane del dolore" (Dt. 16,3), così Gesù spiegò il senso del pane che stava per distribuire. Nella lingua di Gesù, l’aramaico, la parola “corpo” non indica solo la carne umana inanimata, ma l’intera “persona”. Mangiare il corpo di Gesù significa, allora, entrare in comunione con lui che va a morire.

 "Poi prese il calice": probabilmente è il terzo calice della cena pasquale, "il calice della benedizione" (1 Cor. 10,16), che seguiva il piatto principale e precedeva il canto dell'Hallel.

 "Il sangue dell'Alleanza": Gesù interpreta il calice di vino in termini di "sangue dell'Alleanza", una allusione al sacrificio che sigillò l'Alleanza del Sinai (Es. 24,8; Eb. 9, 15-22). Soggiacente all'identificazione da lui fatta c'è il significato di sangue come "la vita" della vittima (Lv. 17,11.14). Le benedizioni per Israele contenute implicitamente nel sangue versato durante l'Alleanza del Sinai sono ora viste come una figura delle benedizioni che verranno date a tutti gli uomini tramite il sacrificio della vita di Cristo.

 "Versato per molti": il termine "molti" va inteso nel senso semitico come indicazione di un grande numero senza limite. Il sangue sperso di Cristo introdurrà la massa del genere umano nell'alleanza con Dio. L'eucarestia, pertanto, interpretata come pane e vino (cibo), è chiaramente la fonte di una nuova vita per tutta l’umanità.

 "Fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio": la dimensione escatologica dell'eucarestia è implicita nella sua relazione con il regno nel quale Cristo e i suoi seguaci parteciperanno assieme al banchetto messianico. Ciò avverrà in un modo nuovo e definitivo; l'eucarestia acquista pertanto una dimensione di speranza. Tale dimensione è espressa in Lc. 22, 15-16[1] prima della stessa istituzione; quello è forse il contesto più originale per questa affermazione che si ricollega in maniera più consona al primo calice della cena pasquale.

 La legge suprema dell’esistenza è il dono di se stessi

 “«Alleanza», significa legame, nodo che unisce ciò che era disperso, comunione.

 Ad ogni Eucaristia, ad ogni comunione, per un istante almeno, mi affaccio sull’enormità di ciò che mi sta accadendo: Dio che mi cerca. Dio in cammino verso di me. Dio che è arrivato. Che assedia i dubbi del cuore. Che entra. Che trova casa. Dio in me. Neanche Dio può stare solo. Faccio la Comunione, sono colmo di Dio, ogni volta fatico a trovare parole, finisco per dedicargli il silenzio. E quello che mi pare incredibile è che Dio faccia un patto di sangue proprio con me, che io gli vada bene così come sono, un intreccio di ombre e di paure. Non ho doni da offrire, sono solo un uomo con la sua storia accidentata, che ha bisogno di cure, con molti deserti e qualche oasi. Ma io non devo fare altro che accoglierlo, dire «sì» alla comunione, che è il suo progetto, il suo lavoro dall’eternità.

 «Ecco il mio corpo», ha detto, e non, come ci saremmo aspettati: «ecco la mia mente, la mia volontà, la mia divinità, ecco il meglio di me», ma semplicemente, poveramente, il corpo. Il sublime dentro il dimesso, lo splendore dentro l’argilla, il forte dentro il debole. Il Signore non ci ha portato solo la salvezza, ma la redenzione, che è molto di più. Salvezza è tirar fuori qualcuno dalle acque che lo sommergono, redenzione è trasformare la debolezza in forza, la maledizione in benedizione, il tradimento di Pietro in atto d’amore, il pianto in danza, la veste di lutto in abito di gioia, la carne in casa di Dio.

 Nel suo corpo Gesù ci dà tutto ciò che unisce una persona alle altre: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore. Nel suo corpo ci dà tutta una storia: mangiatoia, strade, lago, il peso e il duro della croce, sepolcro vuoto; ci dà Dio che si fa uomo in ogni uomo. Quando Gesù ci dà il suo Sangue, ci dà fedeltà fino all’estremo, il rosso della passione, il centro che pulsa fino ai margini, vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo e perenne della sua vita, che nel nostro cuore metta radici il suo coraggio, e quel miracolo che è il dono di sé.

 Neppure il suo corpo ha tenuto per sé, neppure il suo sangue ha conservato: legge suprema dell’esistenza è il dono di sé, unico modo perché la storia sia, e sia amica. Norma di vita è dedicare la vita. Così va il mondo di Dio.”[2]

 Giovanni Crisostomo scrive sul legame inalienabile tra l’Eucaristia e la solidarietà con i più miseri:

 “Non era d’argento quella mensa, né d’oro il calice da cui Cristo diede il suo sangue ai discepoli... Vuoi onorare il corpo di Cristo? E bene non tolerare che il corpo di Cristo sia nudo. Dopo averlo onorato cui in chiesa, non permetere che fuori muoia di freddo e resti nudo. Vuoi onorare il corpo del Salvatore? Colui che ha detto: Questo è il mio corpo, confermando con la parola l’atto che faceva, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare. Ciò che non avete fatto ad uno dei più umili, lo avete rifiutato a me! Il corpo di Cristo che ora è sull’altare, non ha bisogno ne di mantelli, ne di pizzi, ha bisogno di cuori puri, mentre quello che sta fuori ha bisogno di grande cura... Impariamo dunque a essere sapienti, e ad onorare Cristo come egli vuole... spendendo le ricchezze per i poveri. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro... Che vantaggio c’è, se la sua mensa è piena di calici d’oro ed egli stesso muore di fame? Prima sazia la sua fame, e allora con il superfluo ornerai la sua chiesa! Fai un calice d’oro e non dai un bicchiere d’acqua fresca? E che vantaggio c’è? Prepari per la mensa paramenti ricamati in oro e non gli offri nemmeno il rivestimento necessario? E che profitto ne deriva?. Dico questo non per vietarvi di onorare Cristo, ma per esortarvi a offrire i doni, perche i tuoi fratelli poveri sono timpio di Dio, assai piú prezioso che il tempio di pietre... “L’elemosina”, vi si legge, “purifica dal peccato..., è più grande del sacrificio..., apre i cieli. Onora dunque il Cristo condividendo i tuoi beni con i poveri» (Omelia 50 su Matteo).

 Spunti per la riflessione:

 

1. Di tutto quello che hai letto in questa catechesi, quale punto ti è piaciuto di più e ti è stato più utile? Perchè?

 

2. Quale messaggio centrale hai scoperto nel racconto di l’ultima cena? Come metterlo in prattica oggi?

 

3. In che modo questa catechesi ti ha aiutato a capire meglio cosa è l’eucaristia? Cosa puoi fare per vivere la solidarietà e la comunione con tutti, in partecolare con i poveri?

  


 
 

[1] 15 Egli disse loro: «Ho vivamente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire; 16 poiché io vi dico che non la mangerò più, finché sia compiuta nel regno di Dio».

 
 
 

[2] Testo di padre Ermes Ronchi

 
 

 

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