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Mt 4,18-22: Entra in rete con Gesù

Catechesi GIM1 Padova - Novembre 2013

 ENTRA IN RETE CON GESÙ

(Mt 4,18-22)

“subito, lasciate le reti, la barca e il padre,
lo seguirono”


GIM1- Padova
24 novembre 2013


Introduzione

All'inizio dell’anno abbiamo detto che i vangeli non hanno lo scopo di raccontare la storia della vita di Gesù, ma che sono invece un annuncio del regno di Dio e di come Gesù, con la sua morte e risurrezione, ne ha aperto a tutti le porte.

Il Vangelo di Matteo, come gli altri, fu scritto a partire dall’esperienza della risurrezione di Gesù e a partire della vita delle comunità cristiane.
A modo di sintesi ricordiamo che negli anni successivi alla distruzione di Gerusalemme (anno 70 d.C), intorno agli anni Ottanta, alcuni farisei avevano assunto la guida delle comunità giudaiche. Il partito che era stato prima al potere, quello dei sadducei, non esisteva più. Un giorno i nuovi dirigenti avvertirono i membri della comunità che quanti, uomini o donne, insistessero a proclamare che Gesù di Nazareth era il Messia, non avrebbero potuto continuare a frequentare la sinagoga. Questo gruppo di ebrei osservanti del giudaismo avevano sviluppato un’interpretazione della legge più rigida e chiusa per sopravvivere nell’impero romano. Questo si chiamò il “giudaismo rabbinico”.
Ogni tradizione troppo radicata, è difficile da superare, e ancora di più se si tratta di una tradizione legata alla religione perché c’è la paura di tradire il sacro e spesso questa paura sfocia in fondamentalismi, intolleranza e rigidità.
Gesù era un giudeo come gli altri, ma possiamo dire che era “diversamente giudeo”, per questo motivo Lui stesso è stato ritenuto un bestemmiatore.

Gli ebrei che invece facevano parte della comunità cristiana (i giudeo-cristiani), si consideravano giudei a pieno titolo anche loro, e amavano il giudaismo, erano abituati all’ambiente della sinagoga e ai rotoli sacri della Torah; ma vivevano questa appartenenza in modo diverso, così, poco a poco si scoprono allontanati e scomunicati, ritenuti quasi “eretici”. Una delle paure che i giudei osservanti avevano nei loro confronti era che questi non obbedissero più i comandamenti di Mosè, e in primo luogo il precetto del Sabato. Ma come Gesù, loro avevano capito che l’uomo non è fatto per il Sabato, ma il sabato è per l’uomo.

Ricordiamo che la comunità di Matteo era una comunità in esilio e viveva tempi difficili. Dopo la guerra che si conclude con la distruzione di Gerusalemme da parte di Roma, gli ebrei avevano dovuto fuggire come rifugiati nella Siria e paesi vicini, per questo motivo si crede che il Vangelo di Matteo sia stato scritto in Siria.
Insieme a Matteo, questa comunità giudeo-cristiana in esilio, emarginata sia dai cittadini del paese dove si trovano come rifugiati che dai capi delle sinagoghe; comincia a ricercare la propria identità. I membri della comunità sentono il bisogno di approfondire meglio la loro nuova identità di giudei diventati discepoli del Messia. Si domandavano chi erano, chi era Dio per loro, chi era Gesù per loro e cosa implicava vivere da cristiani in un ambiente diviso.
Un punto era saldo per loro, e solo da lì potevano partire: Loro avevano creduto che Gesù era il Messia inviato dal Signore, secondo quanto il Dio Liberatore aveva promesso attraverso i profeti; questo non potevano nasconderlo a nessuno. Erano coscienti di avere un messaggio prezioso che non potevano tenerlo solo per loro, per questo motivo decidono di mettere per scritta la proclamazione di Gesù dalla loro esperienza di comunità. Così nasce il Vangelo di Matteo.

Possiamo dire che la BUONA NOTIZIA nasce in queste condizioni di povertà e di emarginazione. Dio invia il Suo Spirito affinché il nuovo sbocci, Novità che sarà in tutte le dimensioni della vita: nelle relazioni, nella religione, nella politica, nella società, nella preghiera, nella giustizia, etc.
Il Vangelo di Matteo comincerà con la genealogia di Gesù, per dimostrare agli ebrei osservanti, che Gesù, il Messia, è perfettamente in linea con Mosè e con tutti i profeti, che Lui procede dalla famiglia di Davide. Afferma la continuità, ma crea anche discontinuità perché con Gesù è iniziato un tempo assolutamente nuovo.

Il tema centrale di questo Vangelo sarà che Gesù predica il “Regno dei cieli”, così dicono gli ebrei per evitare di pronunciare il nome di Dio, si tratta del “Regno di Dio”, cioè dell’agire di Dio nella storia.


Il regno dei cieli è vicino  (Matteo 4)

[12]Avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si ritirò nella Galilea [13]e, lasciata Nazareth, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, [14]perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:
[15]Il paese di Zàbulon e il paese di Nèftali,
sulla via del mare, al di là del Giordano,
Galilea delle genti;
[16]il popolo immerso nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte
una luce si è levata.
[17]Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

La missione di Gesù comincia nel momento in cui viene a sapere della prigionia di Giovanni, così decide di andare in Galilea. Al tempo di Gesù tutta la Galilea era la “Galilea delle nazioni”, cioè dei rifugiati e stranieri ai margini della società.
Gesù va a risiedere a Cafarnao, una città di pescatori sulla riva nord occidentale del Lago di Genesaret. Cafarnao era una città-asilo, di quelle in cui secondo la legislazione biblica, i banditi e qualsiasi fuorilegge potevano rifugiarsi.
La comunità di Matteo vede in questa scelta di Gesù: cioè di vivere a Cafarnao, un atto di obbedienza alla profezia di Isaia, secondo cui la regione oppressa dall’oscurità e dalle tenebre (la Galilea dei pagani), avrebbe “visto una grande luce” (Is 9,1). Questa piccola comunità cristiana vede in Gesù il Servo di Dio che doveva essere luce per i non ebrei (Is 42,1-7; 49, 1-7).
Al tempo di Matteo, la ripartizione della terra per tribù non era più in vigore. Nel ricordare che Cafarnao era nel territorio di Zàbulon e Nèftali, il Vangelo sembra quasi ironico. È come se volesse dire che quella terra è di Dio e lui l’ha data al popolo d’Israele e non ai romani.
L’espressione “al di là del Giordano” è una prova che chi sta scrivendo sta dall’altra parte, come abbiamo già detto, molto probabilmente in Siria.

Nella catechesi del mese scorso abbiamo visto il battesimo di Gesù. È con il battesimo e con le tentazioni che ne susseguono, che Gesù assunse la missione di esser profeta in Galilea, alle frontiere della terra promessa. Lui dava compimento alla proposta di Dio di essere “luce per quanti abitano nelle tenebre”. La sua missione consisteva nell’annunciare e nel testimoniare : “cambiate modo di pensare! Il regno dei cieli è vicino!
Come vediamo, i giudeo-cristiani avevano sperimentato fortemente la vicinanza di Dio in Gesù e la sua intimità, ma nello stesso tempo mantenevano un grande rispetto verso Dio e il Suo mistero, evitavano di banalizzare, di pronunciare il Suo nome superficialmente, per questo preferivano dire “regno dei cieli” invece di “regno di Dio”.
Il capitalismo invece lo ha banalizzato spudoratamente stampando il nome divino persino sui dollari o sulle agenzie delle banche.

Fermati e Rifletti:

1. E tu? In quale Dio credi? che valore ha per te pronunciare il nome di Dio? Senti rispetto verso il Suo mistero? Come reagisci davanti alla bestemmia?
2. Cosa ti dice l’espressione “essere luce per quanti abitano nelle tenebre”? tu come illumini?

Entra in rete con Gesù

[18]Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori.
[19]E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». [20]Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. [21]Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. [22]Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono.

Gesù chiama due coppie di fratelli per mostrare che cos’è la conversione, convertitevi!, aveva detto, cioè cambiate modo di pensare! perché il Regno richiede dai discepoli di Gesù un cambiamento di mentalità e di cuore. Mentre il sistema da sempre incoraggia l’individualismo Gesù non chiama individualmente ma a due a due, questo aspetto di persone in comunione è molto importante per la comunità di Matteo. La comunione tra diversi è un segno chiaro e forte della presenza del Regno di Dio.
Quando Gesù chiama i discepoli in Galilea, Gesù sa che sta rivolgendosi a persone molto influenzate dalla cultura pagana e straniera. Anche i loro nomi ebraici hanno degli equivalenti greci. Simone è il nome di uno dei patriarchi figli di Giacobbe e significa “colui che ascolta”; Shime’on richiama la preghiera Shemà Israele, è la stessa radice, Pietro è il suo soprannome greco. Anche Andrea è un nome greco. Questo significa che Gesù fin dagli inizi, volle un dialogo di culture nella sua comunità.

“Subito lo seguirono”
“Ascolta Israele”: è la grande raccomandazione di Mosè nei discorsi del Deuteronomio: un ascolto che deve essere familiare, intenso, mostrato anche nella prassi. E solo in questa fedeltà all’ascolto Israele potrà avere garanzia di felicità. E quando l’esilio sembrerà smentire questa promessa, i profeti aiuteranno a riconoscere che proprio per il non ascolto obbediente sono finiti in quell’inferno della schiavitù annientatrice.
Per la nostra mentalità odierna questo ”subito” è quasi impossibile da credere, preferiamo pensare che sia un linguaggio metaforico. Ci è difficile pensare che sia possibile lasciarsi appassionare, innamorare e affascinare da una persona in un modo così totale, radicale e determinato, da lasciar tutto e partire.
Oggi si fa fatica a prendere decisioni con fermezza e costanza, c’è piuttosto la tendenza a mettere in discussione la validità di scelte coraggiose e gratuite già fatte, spesso ci si rifugia in ragionamenti vaghi, in calcoli, e interpretazioni personali sulle cose, che spesso si rivelano senza consistenza e mantengono in noi uno stato perpetuamente indefinito.

L’obbedienza del/la discepolo/a
C’è un’attitudine che viene assolutamente richiesta al discepolo: questa è l’obbedienza.
Saper obbedire Dio [ob (dinanzi) audire (ascoltare).
Obbedire quindi significa “ascoltare stando di fronte”; da qui nasce la sequela di Gesù. Chi obbedisce ascolta, ascolta la voce di una chiamata e non ha tanto che pensare, segue quella voce e basta. Questa prontezza è quella che la comunità di Matteo vive di fronte a tanti che mettono in discussione tutta la storia di Gesù.
C’è un modo sbagliato di concepire il termine “obbedienza”, spesso s’intende come un passivo azzeramento della propria volontà, come se fosse cosa da rinunciatari. Chi obbedisce non annulla la sua libertà ma la esalta. Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell’offerta; non si riduce all’umiliante ruolo dell’autonoma, del robot, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell’ascolto e del dialogo. Un’obbedienza senza ascolto e senza dialogo non è obbedienza. L’obbedienza è intrinsecamente connessa all’ascolto e alla preghiera: Shemà Israele, ascolta Israele. Simone è emblema del primo discepolo chiamato in quanto ascolta e obbedisce, cioè “ascolta stando di fronte”, stabilendo una relazione con Gesù.

Perché le folle rimangono stupite davanti all’insegnamento di Gesù? Lo dirà il Vangelo, perché Egli insegnava come uno che ha autorità! Autorità non significa dominio, egemonia, pugno di ferro, esercizio di potere. Autorità viene dal latino “augere”, e dalla derivazione “auctum”, che significa “aumentare”, “far crescere”. Chi ha autorità non schiaccia, ma fa crescere. Il contadino sorveglia il seme e quando vede che la pianticella cresce, l’aiuta a crescere. E se cresce sbagliata la puntella. Questo è l’uomo autoritario!
Gesù chiama i suoi discepoli per farli crescere, e li educa con la pedagogia del Regno: vi farò pescatori di uomini. I discepoli partono subito perché sono convinti, sono certi di Lui perché hanno fatto esperienza dell’amore, dell’accoglienza, dell’inclusione, sono affascinati da questo sogno bello e si sporcano le mani anche loro.
L’obbedienza alla chiamata di Gesù è la via che porta alla fede. Dice Paolo scrivendo ai Romani che “la fede nasce dall’ascolto” (Rom10). Ascoltare il Signore vuol dire farsi grembo, accogliere Dio nel proprio cuore, nella propria mente, nella propria vita di ogni giorno.

Seguimi! Vieni dietro a me.
Camminare dietro Gesù è, in fondo qualcosa senza contenuto. Non è un programma di vita, la cui realizzazione possa sembrare ragionevole; non è una meta, un ideale a cui si possa tendere. Non è una cosa per cui, secondo l’opinione degli altri, valga la pena impegnare qual cosa, e tanto meno se stessi. Questi pescatori infatti non hanno fatto tutti questi calcoli, forse nemmeno capivano cosa significava diventare pescatori di uomini, ma lo seguirono subito lasciando tutto.
Il chiamato abbandona tutto ciò che possiede, non per compiere un atto particolarmente valido, ma semplicemente a causa di questa chiamata, perché altrimenti non potrebbe seguire Gesù. A questo atto in sé non viene dato alcun valore; l’atto in sé resta qualcosa di assolutamente irrilevante, insignificante. Si fa un taglio netto e semplicemente ci si incammina. Si è chiamati fuori e bisogna “venir fuori” dall’esistenza condotta fino a questo giorno; si deve “esistere” nel senso più rigoroso della parola. Il passato resta indietro, lo si lascia completamente.
Il discepolo viene messo in una condizione di mancanza di sicurezza, lascia tutto, ma in realtà riceve l’assoluta sicurezza e tranquillità dell’amicizia con Gesù, del camminare dietro di Lui. Chi lo segue passa da una situazione “sotto controllo” ad una esistenza imprevedibile, si affida totalmente a Lui. Passa dall’ambito delle possibilità limitate ad uno di possibilità illimitate, di fatto l’unica realtà veramente liberatrice. E di nuovo rompe con ogni piano programmato per legarsi solo a Gesù. Perciò non si può dare altro contenuto, perché Gesù Cristo è l’unico contenuto. Accanto a Gesù non possono esserci altri contenuti: Lui stesso è il contenuto.
La vocazione a seguire Gesù è quindi legame con la sola persona di Gesù, è una chiamata della grazia. Cristo chiama e il discepolo segue. Seguire Gesù vuol dire legarsi a lui.
Se Cristo diventa soltanto un’idea si entra in un rapporto di conoscenza, di entusiasmo, forse anche di realizzazione, ma mai di un impegno personale di obbedienza. Un impegno senza Gesù vivente rimane un impegno senza obbedienza; e un cristiano senza un impegno di obbedienza è sempre un cristiano senza Gesù; è un’idea, un mito e basta.
Gesù chiama quindi i primi discepoli e comincia subito a percorrere tutta la Galilea.

Papa Francesco sulla FEDE

La fede non è una cosa decorativa, ornamentale; vivere la fede non è decorare la vita con un po’ di religione, come se fosse una torta e la si decora con la panna. No, la fede non è questo. La fede comporta scegliere Dio come criterio-base della vita, e Dio non è vuoto, Dio non è neutro, Dio è sempre positivo, Dio è amore, e l’amore è positivo! Dopo che Gesù è venuto nel mondo non si può fare come se Dio non lo conoscessimo. Come se fosse una cosa astratta, vuota, di referenza puramente nominale; no, Dio ha un volto concreto, ha un nome: Dio è misericordia, Dio è fedeltà, è vita che si dona a tutti noi. Per questo Gesù dice: sono venuto a portare divisione; non che Gesù voglia dividere gli uomini tra loro, al contrario: Gesù è la nostra pace, è la nostra riconciliazione! Ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità, Gesù non porta neutralità, questa pace non è un compromesso a tutti i costi. Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo e scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi. E questo sì, divide; lo sappiamo, divide anche i legami più stretti. Ma attenzione: non è Gesù che divide! Lui pone il criterio: vivere per se stessi, o vivere per Dio e per gli altri; farsi servire, o servire; obbedire al proprio io, o obbedire a Dio. Ecco in che senso Gesù è «segno di contraddizione» (Lc 2,34).
Dunque, questa parola del Vangelo non autorizza affatto l’uso della forza per diffondere la fede. E’ proprio il contrario: la vera forza del cristiano è la forza della verità e dell’amore, che comporta rinunciare ad ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili! Fede e violenza sono incompatibili! Invece fede e fortezza vanno insieme. Il cristiano non è violento, ma è forte. E con che fortezza? Quella della mitezza, la forza della mitezza, la forza dell’amore. Cari amici, anche tra i parenti di Gesù vi furono alcuni che a un certo punto non condivisero il suo modo di vivere e di predicare, ce lo dice il Vangelo (cfr Mc 3,20-21). Ma sua Madre lo seguì sempre fedelmente, tenendo fisso lo sguardo del suo cuore su Gesù, il Figlio dell’Altissimo, e sul suo mistero.

Fermati e Rifletti:

3. Cosa ti dice l’espressione “a due a due”? come vivi tu la dimensione comunitaria? Cosa puoi fare per nutrirla? Qualche volta ti sperimenti più individualista? Come?
4. Senti che questa prontezza nel seguire Gesù ti appartiene?
5. Come vivi la dimensione dell’obbedienza, del ascolto, della preghiera? Senti la SUA voce?

"I giovani devono dire al mondo:
è buono seguire Gesù"

Ecco il messaggio di papa Francesco durante la Celebrazione liturgica della Domenica della Palme e della Passione del Signore del 24 Marzo 2013.
“Gesù entra in Gerusalemme. La folla dei discepoli lo accompagna in festa, i mantelli sono stesi davanti a Lui, si parla di prodigi che ha compiuto, un grido di lode si leva: ‘Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli’ (Lc 19,38). Folla, festa, lode, benedizione, pace: è un clima di gioia quello che si respira. Gesù ha risvegliato nel cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata, quella che non conta agli occhi del mondo. Lui ha saputo comprendere le miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è chinato per guarire il corpo e l’anima.
Questo è Gesù. Questo è il suo cuore che guarda tutti noi, che guarda le nostre malattie, i nostri peccati. È grande l’amore di Gesù. E così entra in Gerusalemme con questo amore, e guarda tutti noi. È una scena bella: piena di luce, – la luce dell’amore di Gesù, quello del suo cuore – di gioia, di festa.
Anche noi abbiamo accolto Gesù; anche noi abbiamo espresso la gioia di accompagnarlo, di saperlo vicino, presente in noi e in mezzo a noi, come un amico, come un fratello, anche come re, cioè come faro luminoso della nostra vita. Gesù è Dio, ma si è abbassato a camminare con noi. È il nostro amico, il nostro fratello. Qui ci illumina nel cammino. E così oggi lo abbiamo accolto. E questa è la prima parola che vorrei dirvi: gioia! Non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo! Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù! Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù.
 
Che tipo di Re è Gesù? Guardiamolo: cavalca un puledro, non ha una corte che lo segue, non è circondato da un esercito simbolo di forza. Chi lo accoglie è gente umile, semplice, che ha il senso di guardare in Gesù qualcosa di più; ha quel senso della fede, che dice: Questo è il Salvatore. Gesù non entra nella Città Santa per ricevere gli onori riservati ai re terreni, a chi ha potere, a chi domina; entra per essere flagellato, insultato e oltraggiato, come preannuncia Isaia nella Prima Lettura; entra per ricevere una corona di spine, un bastone, un mantello di porpora, la sua regalità sarà oggetto di derisione; entra per salire il Calvario carico di un legno.

Croce. Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce! Penso a quello che Benedetto XVI diceva ai Cardinali: Voi siete principi, ma di un Re crocifisso. Quello è il trono di Gesù.
Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche – ciascuno di noi lo sa e lo conosce – i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte.
 
Giovani: voi avete una parte importante nella festa della fede! Voi ci portate la gioia della fede e ci dite che dobbiamo vivere la fede con un cuore giovane, sempre: un cuore giovane, anche a settanta, ottant’anni! Cuore giovane! Con Cristo il cuore non invecchia mai! Però tutti noi lo sappiamo e voi lo sapete bene che il Re che seguiamo e che ci accompagna è molto speciale: è un Re che ama fino alla croce e che ci insegna a servire, ad amare. E voi non avete vergogna della sua Croce! Anzi, la abbracciate, perché avete capito che è nel dono di sé, nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia e che con l’amore di Dio Lui ha vinto il male. La portate per dire a tutti che sulla croce Gesù ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli, e ha portato la riconciliazione e la pace.
I giovani devono dire al mondo: è buono seguire Gesù; è buono andare con Gesù; è buono il messaggio di Gesù; è buono uscire da se stessi, alle periferie del mondo e dell’esistenza per portare Gesù!

Gesù missionario del Padre
[23]Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. [24]La sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva. [25]E grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.

È significativo che la comunità di Matteo dice che Gesù insegnava nelle sinagoghe. La sinagoga, a differenza del tempio, era un luogo in cui si predicava un giudaismo più laico. Gesù preferisce questo tipo di culto e di annuncio, annuncio in un ambiente di dialogo e discussione. La sinagoga era il luogo del circolo biblico o della comunità che si riuniva intorno alla parola di Dio. Sinagoga vuol dire “casa di riunione”.
Oltre ad insegnare, Gesù curava le persone, come un rabbino itinerante. A quel tempo, era abbastanza comune la figura del maestro popolare, che nella sua attività, abbinava elementi di profetismo alla funzione di operatore pastorale che, in nome di Dio , si prendeva cura della gente, insegnando e curando infermità e malattie. Solo che Gesù rivelò da subito di avere autorità propria e una fama che andava oltre le frontiere, tanto che prese a seguirlo “molta gente dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e dalla Transgiordania”
La comunità di Matteo presenta quindi Gesù come un rabbino popolare che va di sinagoga in sinagoga, annunciando il Regno. La sua maniera di vivere la fede giudaica era tale che essa davvero si apriva a tutti, giudei e non giudei, rappresentando, di fatto, un segno del Regno.

Professa la tua Fede:

Oggi si conclude l’Anno della Fede,oggi celebriamo Gesù con Re dell’universo.
Scrivi il tuo credo, il Dio in cui tu credi, quel Dio del quale hai fatto esperienza, lo presenteremo poi durante l’eucaristia.

Il Dio in cui Io credo …

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