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Lc 24,1-12: Perchè cercate il Vivente tra i morti?

GIM Padova, aprile 2010

GIM1, Limone sul Garda

 
PERCHÈ CERCATE IL VIVENTE
TRA I MORTI?

(Lc 24,1-12) Ma il primo giorno della settimana, la mattina prestissimo, esse si recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparati. E trovarono che la pietra era stata rotolata dal sepolcro. Ma quando entrarono non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre se ne stavano perplesse di questo fatto, ecco che apparvero davanti a loro due uomini in vesti risplendenti; tutte impaurite, chinarono il viso a terra; ma quelli dissero loro: «Perché cercate il vivente tra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordate come egli vi parlò quand'era ancora in Galilea, dicendo che il Figlio dell'uomo doveva essere dato nelle mani di uomini peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno risuscitare». Esse si ricordarono delle sue parole.
Tornate dal sepolcro, annunciarono tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri. Quelle che dissero queste cose agli apostoli erano: Maria Maddalena, Giovanna, Maria, madre di Giacomo, e le altre donne che erano con loro. Quelle parole sembrarono loro un vaneggiare e non prestarono fede alle donne. Ma Pietro, alzatosi, corse al sepolcro; si chinò a guardare e vide solo le fasce; poi se ne andò, meravigliandosi dentro di sé per quello che era avvenuto.

Secondo Paolo, "se Cristo non è resuscitato (...) è vana anche la vostra fede" (1Cor 15,14): quindi è importante credere che Gesù sia resuscitato, ma cosa significa che Gesù è resuscitato?
Su questo purtroppo abbiamo le idee un po’ confuse o addirittura deviate; nessun Vangelo descrive la resurrezione di Gesù: l’unica descrizione della resurrezione di Gesù la Chiesa non l’ha considerata autentica, ed è purtroppo invece quella che ha eccitato la fantasia degli scrittori e degli artisti. La conosciamo tutti l’immagine del Gesù trionfante che esce dalla tomba con il vessillo della vittoria: non appartiene ai Vangeli, ma è in un testo apocrifo del 150 chiamato il Vangelo di Pietro.
Quindi nessun Vangelo ci descrive la resurrezione di Gesù. Tutti la descrivono in forme diverse, ma il significato che intendono proporre è identico: ci offrono la possibilità di sperimentarlo resuscitato. Non è possibile credere che Gesù è resuscitato perché ci viene insegnato dalla Chiesa, e neanche perché è scritto nei Vangeli: fintanto che non si sperimenta nella propria esistenza la realtà di Gesù vivo e vivificante, non è possibile credere a Gesù resuscitato.

Ecco perché, mentre nessuno dei Vangeli ci dice come Gesù è resuscitato, tutti, in maniera differente l’uno dall’altro, danno l’indicazione di come sperimentarlo resuscitato. La resurrezione di Gesù non appartiene alla storia ma alla fede, non è un episodio della cronaca, ma è un episodio che si chiama teologico.
Cosa significa? Se al momento della resurrezione di Gesù fosse stata presente, oggi, la televisione con fotografi, non avrebbero fotografato e ripreso assolutamente niente, perché la resurrezione di Gesù non è un episodio storico, ma un episodio che riguarda la fede: non è possibile vedere con gli occhi, con la vista fisica Gesù resuscitato, bisogna vederlo con la vista interiore.
 
Questo può sconcertare, ma è quello che ci presentano gli evangelisti. Se avete dimestichezza con i Vangeli, provate ad andare a leggere i racconti della resurrezione: ogni evangelista ce la presenta in maniera differente e non è possibile conciliare un Vangelo con l’altro.
Quello che ci sembra il più normale come relazione è il Vangelo di Giovanni. Nel Vangelo di Giovanni Gesù è stato assassinato a Gerusalemme, quindi è morto a Gerusalemme, è resuscitato a Gerusalemme; i discepoli sono racchiusi nel cenacolo per paura di fare la stessa fine di Gesù a Gerusalemme, Gesù appena resuscitato appare ai suoi discepoli.
Questa è la relazione che ci sembra, anche storicamente, la più plausibile; quindi Gesù resuscitato, la prima cosa che fa, appare ai suoi discepoli. Questo nel Vangelo di Giovanni: ma nel Vangelo di Matteo, l’episodio è completamente diverso. Gesù, morto a Gerusalemme, resuscitato a Gerusalemme, non compare ai discepoli; manda a dire: "mi volete vedere? Andate in Galilea!" (cfr. Mt 28,10).
Allora vedete che tra i due episodi non è possibile alcuna conciliazione. O Gesù è apparso il giorno della sua resurrezione ai suoi discepoli a Gerusalemme o, come dice Matteo, li ha costretti ad andare in Galilea. Da Gerusalemme in Galilea ci sono normalmente 4 giorni di cammino, perché questa bizzarria? Ma non è più normale quello che ha scritto Giovanni, che Gesù resuscitato appare subito ai suoi discepoli? Perché li manda in Galilea e ritarda l’esperienza importantissima della resurrezione? Tutti gli evangelisti indicano la stessa cosa: il significato è lo stesso, le forme per presentarlo sono differenti. Tutti gli evangelisti ci vogliono dire questa profonda verità: è possibile sperimentare Gesù resuscitato soltanto mettendo in pratica il suo messaggio, vivendo come lui è vissuto.
Ecco allora in un altro Vangelo, per esempio nel Vangelo di Luca, conosciamo tutti l'episodio dei discepoli di Emmaus: anche lì non è possibile conciliarlo né con Giovanni né tanto meno con Matteo. Tutti gli evangelisti indicano la stessa cosa: nessuno ci dice come è risorto Gesù ma tutti ci dicono come è possibile sperimentarlo resuscitato. E come è possibile sperimentarlo resuscitato? Vivendo come lui è vissuto.
Nel Vangelo di Giovanni Gesù dirà: "Come il padre ha mandato me, anch’io mando voi" (Gv 20,21), cioè praticate il mio messaggio e avrete in voi una qualità di vita talmente forte da essere indistruttibile, - cioè una vita divina -, e quindi sperimenterete che io sono vivo.
Nel Vangelo di Luca, quand'è che i discepoli si rendono conto chi è Gesù? Quando Gesù spezza il pane: è Gesù che si fa pane per gli altri. In quel momento sperimentano nella propria esistenza la presenza di Gesù vivo e vivificante.
La resurrezione è una nuova creazione che compie Dio nella persona. La resurrezione non è la rianimazione del cadavere, ma è una nuova creazione: come dice Paolo, "si semina un corpo animale risorge un corpo spirituale" (1Cor 15,44). Quindi la resurrezione non è la rianimazione dell’individuo, ma una nuova creazione compiuta da Dio.
Ecco perché è importante: una volta che Gesù è resuscitato compare in una forma diversa, in un aspetto diverso che non è possibile percepire se non mettendosi in sintonia con la lunghezza d'onda dell'amore di Dio.
Ecco allora la chiave di lettura dell’episodio della resurrezione di Gesù, che non è un privilegio concesso duemila anni fa a qualche decina o qualche centinaio di persone, ma una possibilità per i credenti di tutti i tempi.
Vogliamo sperimentare che Gesù è vivo? Vogliamo incontrarlo e tentare nel nostro interno - questo non significa avere visioni o allucinazioni, ma una profonda convinzione, una profonda esperienza -?
L’evangelista ci dice come si fa: mettete in pratica il suo messaggio, quel messaggio che Gesù ha annunciato nel discorso nelle Beatitudini, e che possiamo riassumere così: "beati quelli che si occupano degli altri perchè questi permetteranno a Dio di occuparsi di loro; chi nella propria vita si sente responsabile della felicità degli altri permette a Dio di prendersi cura della sua felicità".
È un cambio meraviglioso; come abbiamo visto altre volte, più la persona dà agli altri e più Dio le comunica capacità da dare. La linea di sviluppo e di crescita della persona è quella del dono generoso; per Gesù il valore di una persona sta nella generosità, perché tutti possiamo essere generosi.

Stile di vita dei discepoli:
PER UNA VITA AD ALTA RESISTENZA

Gesù vuole intorno a sé persone autentiche, cuori sinceri, amici credibili. Gesù sa che il popolo è stanco di falsi maestri, di parolai e di capi religiosi che vivono nella loro comodità, frutto del sudore dei poveri. Gesù sa che il popolo per poter credere ha bisogno di maestri che vivono ciò che predicano. Il popolo è stato troppo deluso dalle autorità religiose per le loro ipocrisie e bramosie, per la loro esteriorità di santità e la loro lontananza dalla sofferenza del popolo. Gesù mette in guardia i suoi discepoli, li istruisce ed insegna loro il cammino da seguire per essere suoi discepoli/e autentici/che. Tutti coloro che continueranno la missione di Gesù dovranno vivere e mettere in pratica un nuovo decalogo, il suo decalogo:
1. Amate gli ultimi :“Predicate: il regno di Dio si avvicina. Annunciate  il lieto messaggio di speranza ai poveri, proclamate la liberazione ai prigionieri e la vista ai ciechi. Predicate un anno di grazia del Signore a tutti. Guarite gli infermi perdonate i peccatori, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi e scacciate i demoni”.
2. Abbiate fede in me sempre: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile”.
3. Fidatevi del Padre vostro Celeste: “ Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? Non procuratevi oro, né argento, né denaro nelle vostre cinture…l’operaio ha diritto al suo nutrimento. Non preoccupatevi di come difendervi e che cosa dire; lo Spirito Santo vi insegnerà che cosa dovrete dire. Non abbiate paura. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”.
4. Pregate e rimanete in me: è la nuova relazione con un Dio Padre/Madre che vuole che tutti i suoi figli abbiano vita piena in abbondanza. Da Lui solo viene l’acqua viva che disseta per sempre.
5. Predicate con la testimonianza di vita: “Rimanete in me e siate il sale della terra; se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini”.
6. Portate la croce con animo forte: “ Chi non  rinnega sé stesso e non porta la propria croce ogni giorno, non può essere mio discepolo”.
7. Evangelizzate con la gioia nel cuore: “ Vi perseguiteranno e vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. Piangerete, vi rattristerete mentre il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia… e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia”.
8. Abbiate un cuore generoso: “ Chi ama suo padre o sua madre più di me non è degno di me. Chi mette mano all'aratro e poi si volge indietro, non è degno di me. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.
9. Donatevi a tutti senza riserve: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri fratelli”.
10. Siate perseveranti nella missione affidatavi: “Non abbiate paura di coloro che possono uccidere il vostro corpo. Abbiate piuttosto paura di coloro che possono distruggere il vostro spirito. Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Chi persevererà fino alla fine è degno del regno dei cieli”.

DISCEPOLI del COMBONI

Comboni non si perdeva in chiacchiere. A lui le cose complicate non piacevano. Per i suoi seguaci aveva preparato poche norme, ma chiare. Voleva che i/le suoi/e missionari/ie fossero persone di virtù profonde. Nelle sue lettere parla di come egli voleva i suoi missionari. Li voleva così:
  • Persone santi e capaci: “Voglio missionari Santi e capaci. Prima di tutto santi, ma non col collo storto, pieni di egoismo e di se stessi, perché la missione ha bisogno di gente sveglia e capace, di persone audaci, generose, capaci di  soffrire e morire”. Comboni dunque li voleva santi, cioè molto vicini a Dio. E capaci, cioè vicini all'umanità.
  • Persone disposte ad abbandonare tutto: La missione dell’Africa è una delle più difficili e  richiede una donazione totale. Comboni non ammetterà “nessun candidato che non sia disposto a consacrare tutto se stesso e non abbia l’animo fermo e risoluto ad abbandonare tutto per propagare il regno di Dio in quelle vaste e sconosciute contrade e non abbia l’animo fermo e risoluto di morire per questa causa”.
  • Persone umili: “Il missionario deve considerarsi come un individuo inosservato in una serie di operai, i quali hanno da attendere i risultati non tanto dell’opera loro personale, ma quanto da un concorso e da un lavoro guidato da Dio…..in una parola, il missionario deve sovente riflettere e meditare, che egli lavora in un’opera di altissimo merito sì, ma sommamente ardua e laboriosa, per essere una pietra nascosta sottoterra, che forse non verrà mai alla luce, e che entra a far parte del fondamento di un nuovo e colossale edificio, che solo i posteri vedranno spuntare dal suolo ed elevarsi poco a poco. Il missionario, in altre parole, lavora come docile strumento nelle mani di Dio e ripete in ogni situazione le parole insegnate da Gesù: siamo operai inutili ed abbiamo fatto quello che dovevamo fare”.
  • Persone di profondo amore a Cristo: “Confidenza in Dio! La confidenza è rara anche nelle anime pie, perché si conosce e si ama poco Dio e Gesù Cristo. Se si conoscesse e si amasse davvero Gesù Cristo, si farebbero trasportare i monti” “Tutta la nostra fiducia è in Colui che morì per i neri, e che sceglie i mezzi più deboli per le sue opere, perché vuole mostrare che è Lui l’Autore di ogni bene”.
  • Persone di profonda preghiera. Il tema della preghiera è uno dei punti più costanti nel pensiero e nella vita di Daniele Comboni. In modo incisivo, egli riassume così l’importanza della preghiera per il missionario: “L’onnipotenza della preghiera è la nostra forza”. Egli raccomanda ai/alle suoi/e missionari/ie: “La preghiera è…il pane quotidiano dei Missionari. Senza di essa, non si può mantenere il fervore della vocazione in questi paesi, dove è facile dimenticarsi di Dio e dei propri doveri religiosi”. Ma la vera preghiera del missionario non si può ridurre a pratiche di pietà, staccate dal contesto della vita. Essa consiste nel rimanere con Dio per poi donarsi totalmente alla missione: preghiera è rimanere con Lui per poi andare e rimanere con il popolo.
  • Persone di ardente carità: Secondo Comboni la fede e la preghiera si concretizzano “nel fuoco della carità”. Per Comboni lo spirito di carità è segno infallibile di una vocazione missionaria chiara. Lo spirito di carità e di donazione totale deve distinguere i suoi missionari. Vuole che essi siano uomini di carità. “Voglio i missionari e le missionarie santi e umili, ma non basta: ci vuole carità che fa capaci i soggetti. Una missione così ardua e laboriosa come la nostra non può vivere di patina, e di soggetti dal collo storto, pieni di egoismo e di se stessi, che non curano come si deve la salute e la conversione delle anime. Bisogna accenderli di carità, che abbia la sua sorgente da Dio e dall’amore di Cristo; e quando si ama davvero Cristo, allora sono dolcezze le privazioni, i patimenti, il martirio”.
  • Persone con mentalità cattolica: Per Comboni i suoi missionari devono avere una mentalità “sopranazionale”. Per Comboni la missione è cattolica nel senso vero della parola, katà olon, “presso tutti”; è andare ovunque, a chiunque e con chiunque. Il missionario deve superare una visione ristretta e nazionalistica: la sua, è una visione universale. Le ampie vedute dei suoi missionari devono dare una testimonianza alla Chiesa ed aiutarla a non chiudersi in se stessa ma ad aprire nuovi orizzonti, ad aprire le sue porte verso i più poveri ed i più dimenticati. Ed offrire loro quella profonda trasformazione – rigenerazione. la chiama Comboni - individuale, sociale e culturale, che solo la parola di Cristo può operare. Andare verso i popoli, non per conquistarli ma per stimolarli e vivificarli col messaggio liberatore di Cristo.

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