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Ecco la catechesi sul Vangelo di Marco del GIM di Padova.

Casa di preghiera o covo di ladri? (Mc 11, 11-26)

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La narrazione di Gesù nel tempio, contornata dalla scena del fico seccato, avviene al culmine del cammino che porta Gesù a Gerusalemme. Il grande viaggio verso il centro politico ed economico di Israele raggiunge l’apice con un’entrata nella città che Marco presenta come un gesto profetico, programmato e coreografato con una rappresentazione che ricorda tanto il teatro di strada. Mentre Israele attendeva l’ingresso di un messia potente, conquistatore militare, Gesù fa uso di simboli – vedi il suo entrare sul dorso di un asinello – che parlano di nonviolenza e del ripudio del nazionalismo e del ritorno di un re che domina militarmente. Ma cosa ci va a fare Gesù a Gerusalemme? Va a portare il grido dei poveri e a contestare la mentalità, l’ideologia politica e le strutture di potere che li opprimono. In altre parole, Gesù fa “all in”, confronta e destabilizza i poteri forti in modo nonviolento. Anziché andare a Gerusalemme come un pellegrino, mostrando la sua lealtà al sistema politico-religioso che ruotava attorno al Tempio, si presenta come un leader del popolo che mette sotto assedio la classe dominante, interpretando delle profezie di Isaia e Geremia, ma anche di Zaccaria e Malachia.

Il racconto che leggiamo oggi annuncia la fine del dominio dei poteri forti e dell’oppressione sulla gente, e proclama l’avvento di un nuovo Regno, quello di un Dio che non si può manipolare per gli interessi dei potenti di turno. La scena centrale mostra Gesù nel tempio che compie un’azione carica di significato simbolico, critica del tempio come centro dell’economia politica giudaica che di fatto sfrutta i poveri. Questa scena è contornata, come in un trittico, da due scene laterali, in cui appare un fico che non ha frutti – nella prima – e che si secca fino alle radici nella seconda. Queste due scene compongono una storia parallela che rinforza il messaggio della scena centrale.

 

Leggiamo il testo: Mc 11, 11-26

11Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.12La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. 13Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. 14Rivolto all'albero, disse: "Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!". E i suoi discepoli l'udirono.

15Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 16e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. 17E insegnava loro dicendo: "Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri".

18Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. 19Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città.

20La mattina seguente, passando, videro l'albero di fichi seccato fin dalle radici. 21Pietro si ricordò e gli disse: "Maestro, guarda: l'albero di fichi che hai maledetto è seccato". 22Rispose loro Gesù: "Abbiate fede in Dio! 23In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: "Lèvati e gèttati nel mare", senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. 24Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. 25Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe». 26[Ma se voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei cieli perdonerà le vostre colpe.]»

 

Un fico sterile: “Non porteranno frutto”

Entrato a Gerusalemme, Gesù fa una ricognizione al tempio… e non succede niente! (Mc 11, 11). Si guarda intorno e ritorna a Betania. Questo dettaglio è importante, perché smonta le attese di un messia venuto a riabilitare lo Stato centrato sul sistema del tempio, nella tradizione regale del grande re Davide. Il giorno dopo ritorna e causa uno shock senza precedenti, interrompendo le operazioni del tempio. Questa azione simbolica è comunque preceduta da una scena che a prima vista suona proprio strana: ritornando a Gerusalemme da Betania Gesù ha fame e vedendo un fico rigoglioso di foglie si avvicina cercando dei frutti che non trova. Non era infatti la stagione dei fichi e proclama che nessuno mai più possa mangiare dei suoi frutti. Per capire cosa sta succedendo, dobbiamo intendere i riferimenti simbolici e biblici di cui fa uso il testo. Il fico era un emblema di pace, sicurezza e prosperità. Ancor più specificamente, era una metafora per lo stato giudaico basato sul tempio e il culto. La sua fioritura e primi frutti accompagnano, nella letteratura biblica, le scene in cui Yahwè visita il suo popolo con benedizioni. Il suo seccarsi e la mancanza di frutti simbolizzavano il giudizio di Dio sul suo popolo o sui loro nemici. Molto spesso la ragione di questo giudizio era l’aberrazione del culto, la corruzione del culto e del sistema di sacrifici.

Allora il testo ci dice che non era il “tempo” dei fichi. Come mai allora Gesù li cercava? Ci sono due parole in greco che significano tempo: “chronos”, il tempo che scorre come nel nostro cronometro, e “kairos”, che significa il momento favorevole, il momento di grazia in cui viene l’azione salvifica di Dio. Nel testo leggiamo che non era il kairos dei fichi: Gesù cercava frutti di giustizia nel tempio (simbolizzato dal fico), ma non ne trova perché in quella istituzione corrotta non si verifica il passaggio della grazia di Dio.

 

Quando Gesù proclama che nessuno mangi più dei frutti di quel fico: più che una lanciare una maledizione invoca la fine del sistema oppressivo del tempio, che non produce frutti di giustizia.

 

Un covo di ladri

Finalmente Gesù arriva al tempio e mette in scena un’azione simbolica di grande drammaticità. Il suo primo obiettivo è lo spazio commerciale del tempio, nella sua parte più esterna. Lì Gesù caccia via tutti, quelli che vendono e quelli che comprano, interpretando l’oracolo di Osea (Os 9, 15):

Per la malvagità delle loro azioni
li scaccerò dalla mia casa,
non avrò più amore per loro;
tutti i loro capi sono ribelli.

Le attività commerciali presso i templi e santuari erano del tutto nella norma di qualsiasi culto nell’antichità. Il tempio di Gerusalemme era fondamentalmente un’istituzione economica attorno a cui ruotava la vita commerciale della città. Non solo di vendevano e compravano gli animali per i sacrifici, ma c’era anche un indotto di impiego per artigiani di ogni genere. Mettendo fine alle attività commerciali, Gesù attacca gli interessi economici della classe dirigente, che controllava le imprese commerciali nel mercato del tempio. E poi fa anche di più: rovescia i “banchi” (cioè le “banche”) dei cambiavalute – le tasse per il tempio dovevano essere pagate solo con moneta giudaica, mentre i pellegrini che venivano dalla diaspora disponevano dio valuta greca o romana. – I cambiavalute erano i rappresentanti di interessi bancari di notevole entità, considerato anche il grande numero di pellegrini che annualmente si recavano a Gerusalemme. Agli occhi di Gesù, i cambiavalute dovevano apparire come un simbolo dell’oppressione delle istituzioni finanziarie. Gli obblighi del culto erano particolarmente oppressivi per i poveri. Gesù prende posizione contro il sistema del culto nel tempio che fa finire i poveri nell’indigenza, come poi l’evangelista racconta (Mc 12, 41 e seguenti) nella storia di una vedova che rimane completamente senza alcuna risorsa per la sopravvivenza per dare il suo contributo al tesoro del tempio. Il rovesciare le sedie dei venditori di colombe riguarda soprattutto i sacrifici che facevano i poveri, che non si potevano permettere altri sacrifici più costosi.

I poveri e gli impuri erano doppiamente oppressi: erano considerati e trattati come cittadini di seconda classe e obbligati a riparare al loro status inferiore attraversi sacrifici, arricchendo così la classe dominante.

Come se ancora non bastasse, Gesù poi opera un blocco totale di tutte le attività del tempio proibendo a tutti di portare dentro qualsiasi strumento per il culto. Ovviamente un’azione così estrema richiede una spiegazione, una buona giustificazione ed infatti a quel punto vediamo Gesù che si mette ad insegnare nel tempio. Lo fa riprendendo la visione del profeta Isaia (Is 56, 1-8) che mostra un’immagine inclusiva di Israele, in cui Yahwè promette allo straniero e agli emarginati che la casa di preghiera sul monte santo (Sion) sarà un luogo di gioia per tutti gli impoveriti. Con questa citazione, l’evangelista ricorda che cosa il tempio doveva rappresentare: un sistema inclusivo di redistribuzione delle risorse, di comunione accessibile a chi sta al al margine delle strutture sociali. Invece il tempio – al tempo la più grande banca del medio oriente – era divenuto un’istituzione corrotta che si arricchiva a scapito dei poveri, attraverso i sacrifici e i contributi prescritti dalla legge giudaica. Qui affiora la profezia di denuncia di Malachia (Mal 3, 5 -10) che condanna gli imbrogli perpetrati approfittando del sistema centralizzato di redistribuzione del tempio, risultando nell’oppressione dei segmenti più poveri della società. In altre parole, il tempio, che sarebbe dovuto essere un meccanismo per assicurare la condivisione e la giustizia sociale, era diventato un apparato di stratificazione socio-economica.

La metafora del “covo di ladri” è ripresa dal profeta Geremia (7, 11) che proclama che l’alleanza con Yahwè garantisce una terra ad Israele fintanto che c’è giustizia verso lo straniero, l’orfano e la vedova (le tre categorie di persone più vulnerabili nella società ebraica). Se dunque non cessa lo sfruttamento dei poveri, il tempio non ha più senso e deve finire. Gli scribi e i sacerdoti colgono subito forte e chiaro il messaggio di Gesù e cercano un modo per eliminarlo per difendere i propri interessi.

Fede e immaginazione politica

Il terzo giorno, la scena ritorna al fico del giorno prima, che viene trovato seccato alle radici. Risuona ancora la profezia di Osea (Os 9, 16):

Èfraim [= il popolo di Israele] è stato percosso,

la loro radice è inaridita,

(…) non daranno più frutto.

Gesù aveva trovato il fico rigoglioso di foglie, come il culto nel tempio era solenne e maestoso, ma non aveva frutti, alludendo ai frutti di giustizia che accompagnano la benedizione di Dio. Israele è urgentemente sollecitato a pentirsi – cioè a restaurare la giustizia economica – per poter sperimentare ancora l’abbondanza di vita (“benedizione”). Altrimenti, rimanendo nell’ingiustizia, sperimenterà sempre più la morte e distruzione.

Nel mondo sociale del vicino oriente del I secolo, un tempio manifestava l’esistenza della divinità. Era così anche per i giudei: non si poteva ripudiare il tempio senza provocare una profonda crisi nella fede della presenza di Yahwè nel mondo. Gesù mette in discussione questo modo di pensare, sostenendo che lasciare la fede nel tempio non significa lasciare la fede in Dio. La fede nel Dio che non è nel tempio significa che i discepoli devono ripudiare lo Stato basato sul tempio. Il testo parla di questo attraverso la metafora del monte (Sion) sradicato e gettato nel mare. É un’immagine che richiama la storia della mandria di 2.000 maiali precipitata nel “mare di Galilea” nell’episodio dell’indemoniato di Gerasa. Per quanto sembrasse impossibile, Gesù fa capire che la schiacciante potenza delle legioni e del tempio (che si innalzava sul monte) avrà fine se i discepoli crederanno veramente nella possibilità di un mondo nuovo. Cioè la fede autentica comporta un’immaginazione politica, la capacità di pensare e costruire un mondo senza oppressione e dominio. Se quella montagna può essere sradicata, allora tutto è possibile! Il mondo può essere ricostruito, ma tutto ciò dipende dalla preghiera. Non una preghiera “magica”, che fa chiudere gli occhi e attendere che Dio venga a cambiare le cose; ma una preghiera che apra allo Spirito, che colga quello che lo Spirito sta operando e lo assecondi, chiedendo e operando quel cambiamento secondo il Regno di Dio. Siamo invitati a chiedere di essere strumenti di quel Regno, di operare secondo il sogno di Dio. E per cominciare, in un sistema di oppressione costruiamo una vita nuova vivendo la misericordia di Dio. L’alternativa al culto nel tempio è la nuova pratica del perdono. Quindi il nuovo luogo per la preghiera non è né geografico né istituzionale, ma etico: la difficile ma imprescindibile pratica del perdono reciproco nella comunità. Un perdono che al tempo di Gesù aveva anche un connotato economico, come vediamo chiaramente anche nella preghiera del Padre Nostro: “rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Le disuguaglianze si possono prevenire solo attraverso vive pratiche di riconciliazione e rinuncia al potere sugli altri e al privilegio.

Solo assieme si può costruire un mondo nuovo. I Romani lo sapevano bene, per questo seguivano la politica del “divide et impera” (dividi e comanda/ domina). Gesù invita alla solidarietà, a costruire relazioni nuove, di fraternità e questo richiede dei passi coraggiosi, superando la paura di rimanere “fregati”.

 

La corruzione dell’economia
Anche oggi l’economia conosce una corruzione che colpisce la gran parte della gente, soprattutto i più deboli. Ce lo spiega papa Francesco nella esortazione Evangelii gaudium (53 – 56):
Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.
Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società.
Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta.
Per la tua riflessione
1. Che cosa ti ha colpito maggiormente di questo vangelo? Che cosa suscita in te?
2. Di fronte ad un sistema economico che impoveriva ed escludeva, Gesù ha sentito una forte indignazione. Cosa senti tu davanti all’economia “che uccide” dei nostri giorni?
3. Gesù ci invita a pregare per un mondo più giusto ed equo, credendo che sia possibile nonostante tutto concorra a scoraggiarci. Gandhi invitava ad “essere noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”.
Come ti interpella questo invito alla preghiera? Come questa preghiera per un mondo diverso può concretizzarsi in azioni che rendono presente un mondo più giusto ed equo?
4. Come ti provoca, personalmente, l’invito di Gesù al perdono ed a costruire relazioni di eguaglianza e solidarietà oltre le divisioni, i privilegi e la spinta ad accrescere o preservare il proprio potere sugli altri?

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