Gennaio 2016: FATTI FURBO... NON SCARTARE LA GIOIA! - Lc 6,20-35
OrmeGiovani Nigrizia - padre Diego dalle Carbonare
Fatti furbo… Non scartare la gioia!
Lc 6,20-35
Poche pagine del vangelo hanno la profondità della pagina delle beatitudini. Poche pagine raccolgono in così poche parole un messaggio che è allo stesso tempo profondissimo ed amplissimo. Profondo perché penetra l’essenza stessa di Gesù, è come il suo autoritratto, la sua carta d’identità – ed allo stesso tempo è un viaggio nella profondità dell’umano, questo animaletto senza pelo che soffre la fame, il freddo e la paura, eppure è stato coronato del privilegio di essere l’immagine per eccellenza del Creatore dell’universo. Amplissimo, perché è un messaggio che raggiunge uomini e donne di ogni tempo e spazio, al di là delle appartenenze di confessione, di religione, di lingua, colore, continente. È una proposta per tutti.
Peggio di così...
La pagine delle beatitudini secondo me non fa eccezione. A volte mi chiedo se Gesù non voglia giocare su una certa ironia popolare. Beato chi è già in fondo, perché dal fondo non può che risalire... Non fraintendetemi, non parlo di cinismo, ma di sano realismo dei semplici. La vita è una ruota, e chi sta già in fondo ha la consolazione – umanissima – di aspettare il suo turno. E viceversa, a chi oggi se la ride toccherà prima o poi di dover stringere i denti e piangere. Fin qui arrivava la saggezza popolare.
Attaccati a cosa?
La lista dei “guai a voi”, allora, non sembra più un’aggiunta tanto per controbilanciare l’eccessivo ottimismo delle beatitudini. Serve invece a commentarle, a spiegare a chi non ha fatto la sua scelta cosa lo attende. A chi non ha scelto perché attaccato alle sue sicurezze, il maestro ricorda che queste non durano che un po’ di tempo. Tutte – senza eccezione – sono destinate a passare: i soldi, la comodità, il successo, addirittura la buona reputazione. Qualcuno un giorno mi ha detto che nella vita o facciamo delle scelte o facciamo delle fughe. La “non-scelta” è fuga, è chiudersi in un vicolo cieco.
Mentre scrivo queste righe, sento in me la tentazione di scrivere che i poveri ci insegnano la gioia, che chi vive nella miseria materiale è ricco umanamente e spiritualmente. Personalmente, come missionario, mi son sempre guardato da certe riduzioni semplicistiche che continuano a dividere il mondo in buoni e cattivi, dove i materialmente poveri sono i buoni che aiutano noi cosiddetti ricchi del nord del mondo a sentirici in colpa – così da redimerci dopo aver tirato fuori qualcosa di materiale. Dividere il mondo in due non è certo dar ragione alla verità. La verità è che essere materialmente poveri è duro e fa male. E avere la pancia piena piace a tutti. Dice un proverbio sudanese “Il pane è il sogno del povero”.
A testa alta
Gesù invita i suoi a delle scelte dure, che richiedono tanta determinazione e lucidità. Amare i propri nemici non è cosa da poco, ma è estremamente liberante. Libera me e il mio nemico dalla logica che lui mi voleva imporre. Lui voleva la guerra? E io gli rispondo invitandolo a dialogare. Lui voleva togliermi la dignità di un saluto, voleva picchiarmi? E io gli porgo la guancia in segno di affetto. “Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” altro non è che l’antenato della famosa frase di Ghandi “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Purtroppo di questo tempo i media ci stanno convincendo della necessità della guerra, e allora rispondiamo alle bombe con bombe. Ma questa strada non ci porta lontano. Non è una scelta, ma una fuga. Fuga dalle nostre responsabilità. Abbiamo lasciato che il terrorismo attecchisse sul terreno dell’ignoranza – unico vero oppio dei popoli. E adesso vogliamo far tabula rasa, cancellare tutto, anche i nostri fratelli e sorelle. Come stessimo giocando ad un videogioco. La pace va costruita, anzi, seminata e curata con la pazienza del contadino. Non si impone. O la scegliamo insieme, oppure è un’altra finzione.