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Maggio 2015 - RINASCE LA SPERANZA: GRIDA VITA!

Mc 16, 1-8 - fr. Alberto Parise

Rinasce la speranza : Grida Vita!

Mc 16, 1-8

 1Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. 2Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. 3Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?». 4Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. 5Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. 7Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». 8Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura. 

 

 

A seguito del massacro di Garissa che mira a provocare un conflitto tra cristiani e musulmani, per la prima volta nella storia del paese la comunità musulmana e quella somala kenyana sono scese in strada a manifestare contro la radicalizzazione dell’islam e il terrorismo. 

 Settimana santa. Ho l’occasione di accompagnare un ospite nel nord del Kenya a Marsabit. Grandi sono le nostre attese per questa visita. La gioia di celebrare il mistero pasquale con alcune comunità di popoli di pastori: gabra, rendille, samburu e borana. La rivisitazione della passione, morte e resurrezione di Gesù avviene però in modo diverso da ciò che pensavamo: al Giovedì santo si consuma il massacro di Garissa, 142 studenti universitari e 6 poliziotti trucidati al Garissa University College – nel nordest del paese, verso il confine con la Somalia – da 5 terroristi di Al Shabaab. A Marsabit non arrivano nemmeno i quotidiani, ma nell’epoca dei media elettronici la notizia si diffonde velocemente, in tempo reale. Il motivo dichiarato dagli assalitori è un’azione di rappresaglia contro il Kenya che mantiene truppe in Somalia per combattere il gruppo armato somalo. Tutto il paese è sotto choc. C’è tanta confusione, dopo giorni di ricerche mancheranno ancora all’appello una decina di studenti, nessuno sa dove siano finiti. Il racconto commosso e toccante dei sopravvissuti narra di come gli assassini abbiano risparmiato gli studenti musulmani e infierito su quelli cristiani.

 La strategia del terrore è lucida e spietata. Colpire luoghi e istituzioni rappresentativi della società che vogliono rovesciare, fare clamore per avere risonanza internazionale che amplifichi la portata della loro azione. Ma soprattutto, si tratta di un attacco alla convivenza pacifica dei diversi e di creare un clima di insicurezza e conflitto tra cristiani e musulmani. Gli attacchi a scuole, università e ad altri obiettivi simili potrebbero anche causare una paralisi delle istituzioni locali, con personale statale che per la paura di attacchi non accetta più di lavorare in quella parte del Kenya.

 Quando le notizie cominciano a diffondersi, mi trovo a Shurr in una manyatta gabra. Qui c’è una piccolissima comunità cristiana, che vive in mezzo a una maggioranza musulmana e a fianco di una comunità di somali kenyani. Quando il catechista sente della persecuzione dei cristiani da parte di Al Shabaab, la sua reazione è di incredulità: dice che non è vero... o forse non può accettarlo vista la loro esperienza e situazione di vita pacifica in mezzo a una comunità musulmana.


I poveri vittime della violenza 

Intanto i media continuano a far rimbalzare notizie, commenti, immagini sensazionali e ad alimentare ansia e paura. Nell’epoca del consumo di intrattenimento, la drammaticità degli avvenimenti finisce per venire spettacolarizzata. 

Le autorità pubbliche conoscono bene il gioco e sanno che dal punto di vista mediatico non possono permettersi di apparire deboli, inefficienti, se non addirittura impotenti. Emettono grandi proclami dicendo che non lasceranno impuniti questi atti barbarici, che sconfiggeranno il nemico e poi subito dopo lanciano una rappresaglia spettacolare per far vedere che sono in controllo della situazione: un bombardamento di presunti campi di addestramento di Al Shabaab in Somalia. A quanti si interrogano sulla capacità del governo di controllare veramente la situazione, queste azioni dimostrative appaiono come un’operazione di immagine. Il dibattito nazionale, infatti, si concentra sui ritardi dell’intervento, sulla debolezza della prevenzione nonostante informazioni e allarmi, sulla corruzione a cui vengono attribuite le falle nella sicurezza. 

L’esperienza dei poveri, invece, è molto diversa. Loro non hanno la capacità di usare la forza, anzi non possono che subire la violenza. Non soltanto quella dei terroristi e della criminalità, ma anche quella dei poteri costituiti, troppo spesso protagonisti nell’infrangere quei diritti umani che dovrebbero difendere. Giornalmente i poveri sono soggetti a vessazioni ed estorsioni della polizia, a perdite di denaro per la corruzione negli uffici pubblici, a repressione con impunità ogni qual volta rivendicano un diritto. La loro è l’esperienza del Venerdì santo, come quella di Rose, un’insegnante rimasta vedova e condannata a morte per l’omicidio del marito. In realtà, era stato ucciso dai suoi fratelli che volevano impossessarsi della sua terra. La corruzione arriva anche nei tribunali penali. 

Per la loro vulnerabilità e debolezza, ai poveri non resta che pagare il prezzo dell’ingiustizia e affidarsi al Signore. Non è una rinuncia, una rassegnazione fatalistica. È una forma di resistenza all’ingiustizia, uno sperare al di là di ogni disperazione. Una speranza che si traduce in solidarietà e compassione con chi soffre ed è caduto nella morsa della violenza e dell’oppressione. Significa ricostruire i legami comunitari e la pace attraverso nuove relazioni tra comunità che sono state divise e manipolate da chi ha interesse a farlo.

La forza rigeneratrice della fede 

C’è bisogno di sostenere queste comunità nel loro impegno di cambiamento. Anzitutto risvegliare le coscienze, ma questo non basta se poi non si organizzano. In un contesto dove tutto divide, non è facile. Il ministero sociale è una risposta, o meglio un piccolo contributo, per sostenere questi percorsi di pace. La sua forza sta nell’andare al di là delle tecniche e metodi di intervento: si basa anche sull’esperienza di fede delle persone, aiutandole a liberarsi dalle ideologie, paure e pregiudizi. Il cammino di fede aiuta le comunità a riscoprire la propria chiamata alla solidarietà e alla fraternità, suscita nuove energie e motivazioni, genera creatività e nuove prospettive. La vita, però, molto spesso non è una favola a lieto fine. Quante volte ho visto qui in Kenya iniziative di ricostruzione sociale venire affondate proprio quando erano arrivate a un passo da risultati importanti! Quello del male rimane un mistero nella nostra esperienza umana. Nella pratica ministeriale, comunque, la cosa importante è la fedeltà, non il successo, nella consapevolezza che c’è una dimensione che va al di là delle nostre capacità, impegno e forze senza però prescinderne. La grande gioia è l’esperienza della rigenerazione che Gesù opera anche nelle situazioni che ci possono apparire senza sbocco. 

Così rimaniamo incoraggiati a vedere, per esempio, che per la prima volta nella storia del Kenya, la comunità musulmana e quella somala kenyana sono scese in strada a manifestare contro la radicalizzazione dell’islam e il terrorismo. Analogamente, il consiglio supremo dei musulmani kenyani ha ora preso l’impegno di monitorare le istituzioni religiose islamiche per fermare la radicalizzazione dell’islam. Rinasce la speranza di una società solidale, fraterna e in comunione, della convivialità delle differenze e del rispetto della dignità umana.

fratel Alberto Parise 


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