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Febbraio 2015 - “TRA VOI NON E' COSI'"

Mc 10, 32-45 - fr. Alberto Parise

 

"TRA VOI NON E' COSI'"

(Mc 10, 32-45)

32Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro  erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: 33«Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e  agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, 34lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà». 35E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: 37«Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». 39E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». 41All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle  nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. 43Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, 44e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. 45Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto  per molti».


Tra i vari programmi che offriamo all'istituto del social ministry, uno di quelli a cui sono più affezionato è un diploma per agenti di pastorale sociale. É progettato per chi è impegnato in attività di cambiamento sociale, sia in comunità cristiane che nella società civile. Lo offriamo a distanza, così che gli studenti non debbano lasciare o sospendere il loro ministero sociale per studiare. 

Uno degli obiettivi del programma è infatti quello di aiutare gli studenti a trasformare la propria pratica e la comunità con cui lavorano. Il loro stile di leadership, il loro modo di relazionarsi e interagire con la gente è una delle chiavi di questa trasformazione. Accompagnando gli studenti nella loro crescita, mi sono reso conto che la cosa più importante non è poi la maggiore “efficienza” o abilità nel servizio; quanto piuttosto la crescità in umanità e la rigenerazione di persone e comunità. 

Questo richiede, anzitutto, un profondo cambiamento negli studenti. Tina, ad esempio, da alcuni anni lavora nel carcere femminile di Lang'ata, a Nairobi. Coordina dei programmi di riabilitazione delle prigioniere. Motivata, con gran senso di dedizione, ha cominciato il suo servizio con un impegno idealistico di cambiare e migliorare la vita delle carcerate. Le condizioni del carcere sono pietose, con alti livelli di violenza, ma Tina non si scoraggia e si dà molto da fare, prende iniziative per rispondere ai bisogni delle detenute. Queste all'inizio sembrano rispondere positivamente alle sue proposte, eseguono le sue istruzioni; ma poi Tina si rende conto che lo fanno solo quando lei è presente. Allora aumenta i propri sforzi, fino ad arrivare al limite dell'esaurimento e rendersi conto che i suoi tentativi non sono efficaci. Capisce che il suo approccio non funziona, ma non sa né perché, né che alternativa provare. 

Si iscrive al corso di diploma di pastorale sociale e da subito scopre un modo molto diverso di impostare il servizio, usando metodi che promuovono la partecipazione dei beneficiari. Tina descrive il suo cambiamento spiegando che ora non cerca più di dirigere le detenute e controllare le loro decisioni nel programma di rieducazione. Invece, le coinvolge attivamente nel prendere decisioni sull'organizzazione e pianificazione del programma. Da subito nota un cambiamento evidente nelle donne: “i furti tra di loro sono diminuiti sensibilmente – spiega Tina – e le detenute cominciano e completano responsabilmente le attività anche senza supervisione; c'è molta più disciplina e i conflitti, un tempo dilaganti, non sono che un lontano ricordo del passato”. Soprattutto, le donne riscoprono la loro dignità, trasformano le relazioni tra di loro e con le guardie carcerarie e cominciano a guardare a se stesse in modo diverso. 

“Il corso di pastorale sociale – continua Tina – mi ha cambiata. Ho imparato un nuovo stile di leadership e di servizio. Ero frustrata dai tanti vani tentativi che non portavano i frutti sperati. Il cambiamento che cominciavo a vedere nelle donne ha poi messo in discussione i miei pregiudizi ed atteggiamenti giudicanti verso di loro. Mi sono resa conto che prendevo decisioni al posto loro perché, in fondo, non avevo fiducia in loro. Ora sono convinta che quando credo in loro e lascio loro la possibilità di fare esperienza della propria dignità e autostima, diventano autonome e responsabili. Si aprono, diventano creative nelle loro attività e sono in grado di autogestirsi e collaborare”. 

Tina ha imparato che il riconoscimento, l'apprezzamento e la capacitazione delle detenute, anche di quelle condannate per omicidi plurimi, facilita la loro trasformazione. Gloria è una di queste. Arrivata in prigione, era violenta ed in conflitto con chiunque le stesse accanto. Al punto di ricevere punizioni disciplinari che l'allontanavano dalle attività riabilitative promosse da Tina. Poi Gloria cambia e attribuisce questa svolta alla fiducia nata dall'ascolto e premura da parte di Tina verso le detenute: “ho capito che potevo fidarmi di Tina perché avevo sentito diverse altre detenute fidarsi di lei e nessuna lamentarsi di mancanza di riservatezza. Così le ho scritto che volevo parlarle e da lì ho cominciato il mio percorso”. 

Viviamo in una società in cui i rapporti di potere e la socializzazione sono spesso gerarchici ed ineguali. Impariamo a relazionarci agli altri secondo logiche di dominio-dipendenza, anche quando cerchiamo di fare del nostro meglio, perché questo è il modello implicito che ci viene normalmente proposto, mentre non abbiamo familiarità con modelli alternativi. Ciò finisce per avere una forte influenza nella vita delle comunità. Padre Matindi, un altro studente del diploma in pastorale sociale, lo ha scoperto nella sua nuova parrocchia. Al momento di prendere servizio, trova subito una richiesta di una delle comunità parrocchiali di prendere in mano e completare il progetto di costruzione di una sala comunitaria. Il progetto, cominciato 14 anni prima, è fermo alle fondazioni per mancanza di risorse. P. Matindi si accorge presto che questa comunità locale manifesta segni di dipendenza e mancanza di fiducia in se stessa. “Difficilmente facevano qualcosa per conto loro, ma per ogni piccola cosa dovevano consultarmi – ricorda Matindi – chiedemdomi di risolvere il problema”. Vede che da un lato ci sono dei leader di comunità che controllano le decisioni ma non agiscono; dall'altro la comunità rimane passiva ed insicura. Una situazione abbastanza comune nel paese, sempre alle prese con situazioni di povertà e dipendenza dagli aiuti. 

Matindi cambia approccio. Comincia ad ascoltare attentamente i parrocchiani, a dare loro la possibilità di esprimersi, ad apprezzare le loro idee e contributo ed a responsabilizzarli nella gestione dei progetti della chiesa, dal processo decisionale all'implementazione e verifica delle attività. Anche nel suo caso, i frutti arrivano quando comincia lui per primo a cambiare: è più accomodante e capace di apprezzare il modo diverso della comunità di comprendere situazioni e problemi e questo lo porta a scoprire – “sorprendentemente” dice lui – che la gente ha un gran capitale di conoscenze e capacità di cui prima non sospettava. Fino a quel momento pensava, come anche i suoi parrocchiani, che il parroco avesse il monopolio delle idee e di come tradurle in pratica. Ora invece la sua esperienza gli insegna che ciò che riceve e impara dalla comunità è molto di più di quanto lui non riesca a contribuire. Era il suo approccio a limitare la partecipazione e la creatività della comunità in precedenza. 

Così propone ai leders di organizzare una tribuna aperta a tutta la comunità per ascoltare i loro suggerimenti ed idee sulla loro chiesa. Questo arriva come uno shock culturale e il fatto che fosse il parroco a proporlo era ancore più incredibile, abituati come sono ad una comunicazione dall'alto al basso. Ma la comunità risponde positivamente a questa iniziativa e – tra gli altri suggerimenti – propone di farsi carico del completamento della sala comunitaria. Si auto organizza e prende l'iniziativa di raccogliere fondi localmente. Ma soprattutto porta a compimento il progetto da sola, anche dopo che p. Matindi viene destinato dal vescovo ad un nuovo incarico. 

Il cambiamento avvenuto in Matindi ha fatto venir fuori il meglio dalla comunità. Ha modellato un nuovo approccio a atteggiamento che è stato contagioso ed ha trasformato le relazioni tra la gente, cambiato lo stile di leadership comunitaria, generato consapevolezza dei propri mezzi e capacità, e nutrito partecipazione e collaborazione comunitaria. Un'esperienza forte, attraverso cui la gente fa un'esperienza nuova della presenza del Signore nella comunità, della sua grazia e provvidenza. Da un senso di impotenza, la comunità e cresciuta nella consapevolezza di sé e delle proprie capacità di cambiare la realtà, a partire dalla riscoperta della propria dignità nell'incontro con Gesù. 

Una delle più grandi gioie del missionario è vedere la vita rifiorire, in persone, comunità e situazioni trasformate da nuove relazioni che donano vita. Questo è lo scopo del ministero sociale, in cui la nostra più significativa influenza non viene tanto da quello che diciamo, insegnamo, o facciamo, quanto piuttosto da come ci relazioniamo con la gente.

fratel Alberto Parise 


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