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Dicembre 2014 - SOGNARE INSIEME: QUANDO SONO I POVERI A ORGANIZZARSI

Mc 3, 20-21; 31-35 - fr. Alberto Parise


SOGNARE INSIEME: QUANDO SONO I POVERI A ORGANIZZARSI 

(Mc 3, 20-21; 31-35)

 20Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. 21Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».

 31Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. 32Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». 33Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 34Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! 35Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». 


 


Nei dieci anni passati all'Istituto per il ministero sociale a Nairobi ho accompagnato centinaia di studenti nel loro percorso di formazione come agenti di trasformazione sociale. Li aiutiamo a scoprire e mettere a fuoco la loro chiamata al servizio ed a sviluppare delle iniziative sociali concrete fin dai giorni dell'università. Le tesi di laurea, per esempio, sono veri progetti di sviluppo da realizzare in vari contesti. Trovo molto arricchente, di tanto in tanto, andare a visitare gli ex studenti per sentire come stanno implementando il loro sogno di trasformazione.

E' ancora molto vivo il ricordo della visita fatta a Consolata e Peter, due ex studenti con un sogno ed anche una vita in comune (si sono sposati al termine dei loro studi). Li visito a Kosele, una località rurale non lontana dal lago Vittoria, dove hanno organizzato un programma comunitario che si prende cura degli orfani per l'AIDS.

 “Questa realtà mi ha provocata fortemente – ricorda Consolata – per le condizioni di vita di questi bambini e per le dimensioni del problema. Come prendersi cura di loro? Avevo visto diverse case di accoglienza, ma non era quella la strada per rispondere al problema. I bambini hanno bisogno di una comunità in cui crescere e la comunità ha bisogno di loro. Ci si appartiene a vicenda e abbiamo degli obblighi di solidarietà perché siamo tutti fratelli e sorelle."

 Così durante gli studi, Consolata aveva ricercato dei modelli alternativi agli orfanatrofi, che fossero più appropriati dal punto di vista culturale e più efficaci di fronte alle migliaia di ragazzi bisognosi. Era andata fino in Tanzania, dove aveva prestato servizio in un progetto, chiamato Mango Tree, che si prendeva cura di tali ragazzi attraverso famiglie e comunità di villaggio. Di lì è nata l'idea per il progetto a Kosele, che ad oggi si prende cura di circa 5000 orfani e coinvolge oltre 100 volontari su un vasto territorio di 50 villaggi. Queste zone dal punto di vista economico sono depresse, e si genera un circolo vizioso in cui povertà e AIDS si rinforzano a vicenda. Il progetto mira a sostenere famiglie e comunità locali perché possano prendersi cura loro stesse degli orfani. Quindi da un lato c'è un supporto per l'educazione e la salute dei bambini, dall'altro un programma di formazione e promozione economica perché le famiglie gradualmente possano farsi carico sempre di più con le proprie risorse della cura dei ragazzi.

 Sono a casa di Consolata e Peter, e la cosa che mi colpisce subito è che loro stessi, direttori del progetto, hanno accolto e stanno crescendo due orfani assieme agli altri loro tre figli. "Per noi è uno stile di vita – mi spiega Peter – non un lavoro come un altro. Quando eravamo piccoli, la nostra mamma accoglieva sempre altri bambini bisognosi in casa. Abbiamo imparato il valore della generosità, attraverso la condivisione, il dare tempo a chi ha bisogno di essere ascoltato, il saper donare parole di riconciliazione, il condividere i propri talenti, così come le gioie e le sofferenze degli altri."

 "Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre" (Mc 3,35). Queste parole del vangelo mi sovvengono di fronte all'esperienza di questa comunità. La volontà di Dio è una chiamata, un'urgenza che sboccia nel cuore delle persone, che le invita ad amare come sono state amate. Non è pertanto un generico "fare del bene", ma una risposta personale e storica a degli eventi, a degli incontri e momenti decisivi nella vita. E così Consolata, Peter e le famiglie coinvolte nel progetto sono diventati fratello, sorella e madre di quei 5000 ragazzi.

 Visitiamo la sede del progetto e vediamo i campi di dimostrazione di buone pratiche per l'agricoltura e l'itticultura. Questa è una strategia per sviluppare nuove attività produttive e consolidare l'economia dei villaggi attraverso la sensibilizzazione e formazione delle famiglie coinvolte nel progetto. "Cerchiamo di stimolare le comunità a crescere – continua Peter – vogliamo che siano loro i protagonisti del cambiamento, ma dobbiamo rispettare i loro tempi ed il loro passo. E soprattutto, è importante crescere tutti assieme. L'impulso iniziale che ci ha aiutati a far partire il progetto è venuto da una fondazione inglese, che credeva nel progetto Mango Tree in Kenya. Quando abbiamo preparato il bilancio preventivo, si sono meravigliati che chiedessimo molto meno di quanto non si aspettassero. Dopo aver analizzato la nostra proposta, ci chiesero perplessi perché non avessimo incluso le scarpe per i bambini. Li disturbava il fatto che non ci preoccupassimo che andassero a scuola scalzi. Il fatto è che neanche gli altri bambini da queste parti hanno le scarpe per andare a scuola e vivono assieme, nelle stesse famiglie e villaggi. Anche questo è un aspetto da considerare per la sostenibilità del progetto."

 Inoltre, crescendo in famiglia e nel villaggio, i ragazzi passano attraverso un sistema di socializzazione che li forma ai valori ed agli atteggiamenti fondamentali verso la vita. Imparano la condivisione, la fiducia, la compassione verso chi è in difficoltà e il servizio alla comunità.

 Tutto questo ci fa anche riflettere sul significato della fraternità e come può essere vissuta come missionari in Africa. Lo impariamo dalla gente, dalle lore espressioni di umanità. Anzitutto, fratello significa mutua appartenenza, fare causa comune: accettazione incondizionata del prossimo, l'armonia delle relazioni e la responsabilità, soprattutto verso chi è nelle difficoltà e avversità. Poi c'è l'accoglienza, che è ascolto, empatia, comprensione, ospitalità gioiosa, che sa vedere nell'altro un dono, una benedizione. Come fratelli missionari, inoltre, siamo chiamati ad accompagnare persone e comunità nel cammino di crescita e liberazione. Qui servono anche delle competenze per facilitare lo sviluppo umano e sociale, risvegliando la coscienza e i talenti della gente, invitandola a diventare protagonista della propria trasformazione. Senza dimenticare la capacità di aiutare le comunità a scoprire la presenza trasformante del Signore nella loro storia e la propria chiamata a una vita in pienezza. Tutto questo, infine, richiede anche un sistema di sostegno, strutture comunitarie e di solidarietà organizzate perchè da soli non si incide sulla realtà. Come dice papa Francesco, sono i poveri organizzati i veri protagonisti del cambiamento verso un mondo più fraterno ed umanizzato.

fratel Alberto Parise


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