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Ottobre 2014 - IMMERSI NELLA STORIA

Mc 1, 1-12 - fr. Alberto Parise


IMMERSI NELLA STORIA 

 

(Mc 1, 1-12)

1 Inizio del vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio.

2 Secondo quanto è scritto nel profeta Isaia:

«Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero
che preparerà la tua via.
 3 Voce di uno che grida nel deserto: 
"Preparate la via del Signore, 
raddrizzate i suoi sentieri"».

Venne Giovanni il battista nel deserto predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati. 5 E tutto il paese della Giudea e tutti quelli di Gerusalemme accorrevano a lui ed erano da lui battezzati nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

6 Giovanni era vestito di pelo di cammello, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi, e si nutriva di cavallette e di miele selvatico. 7 E predicava, dicendo: «Dopo di me viene colui che è più forte di me; al quale io non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari. 8 Io vi ho battezzati con acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo».

9 In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano. 10 A un tratto, come egli usciva dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito scendere su di lui come una colomba. 11 Una voce venne dai cieli: «Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto».

12 Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto; 

 

 

 

Dal 2004 lavoro all’Institute of Social Ministry, del Tangaza University College, un’università Cattolica di Nairobi. Fondato vent’anni fa in risposta all’appello del sinodo africano per una nuova evangelizzazione in Africa, l’Istituto promuove una trasformazione sociale ispirata ai valori evangelici di giustizia, pace, bene comune e vita in pienezza. Come da mandato delle università, il nostro contributo si articola in tre dimensioni: la formazione, la ricerca scientifica, e il servizio comunitario. La nostra opzione preferenziale per i poveri ci richiede di rendere accessibile l’università agli esclusi, costruendo capacità e reti sicché i poveri e le comunità marginalizzate diventino gli agenti del loro proprio sviluppo e trasformazione. È una continuazione del sogno di Daniele Comboni: la rigenerazione dell’Africa con l’Africa. Si tratta di un cammino lungo, al fianco della gente, immersi nella loro esperienza di vita, aspirazioni, limiti e contraddizioni. Un cammino che non facciamo da soli, ma in comunione con molti altri, comunità e istituzioni. Una di queste è il Kenya Peace Network, una rete di quasi una ventina di organizzazioni della società civile che si adopera per la costruzione della pace e convivialità tra gruppi umani in conflitto, a livello locale e nazionale. Purtroppo nei media occidentali sentiamo solo storie di violenza, morte, e la ricerca del sensazionale; ma ci sono anche molti eventi che segnano un nuovo principio, un mondo nuovo che trasforma quelle realtà negative. È bello sentirlo raccontare dagli anonimi protagonisti, con semplicità:  

“Vivo in una regione abitata da tre gruppi umani diversi: i Borana, i Rendille e i Gabra. Il clima è arido, si vive di pastorizia, ma i pascoli e le sorgenti d’acqua sono insufficienti. La scarsità di risorse è una delle cause degli scontri, che si protraggono da molti anni ormai. Io sono Borana, sono sposata ed ho un bambino. Sono anche la catechista della parrocchia di Dirib Gombo, non lontano da Marsabit. Devo riconoscere che anche io ho in qualche modo contribuito a questi conflitti etnici. Ho preso le parti della mia comunità, reputando gli altri come dei pianta grane e ladri di bestiame.  Ho propagato questa percezione nelle mie conversazioni quotidiane, nelle discussioni con i vicini senza rendermi conto che i miei commenti potevano alimentare l’ostilità e l’animosità tra le parti. Eppure era proprio sotto i miei occhi: molte famiglie hanno sofferto la morte dei loro cari, genitori e coniugi. Molti bambini sono rimasti orfani. La situazione stava velocemente scappando di mano mentre l’odio tra le diverse comunità cresceva. Ricordo molto vividamente anche la perdita dei miei parenti, di vicini e parrocchiani in questo conflitto, un’esperienza dolorosa. Nel 2012, l’ufficio pastorale della diocesi di Marsabit prese l’iniziativa di farci fare un esercizio di gestione dei conflitti e costruzione di pace. Capi di diverse comunità etniche vennero radunati e formati alla non-violenza attiva. Poi, ritornati a casa, addestrarono a loro volta altri membri della loro comunità su come convivere pacificamente in armonia. Io ero nel gruppo che fece il corso all’inizio, e questo mi aiutò a cambiare la mia percezione delle altre comunità. Prima le consideravo inferiori e non avevo tempo da perdere con loro. Credevo che la mia gente avesse sempre ragione, mentre gli altri erano, nel migliore dei casi, problematici. Imparammo che il nostro comportamento poteva bloccare interazioni pacifiche e aggravare le tensioni per l’uso di stereotipi e il voler stare sopra agli altri ad ogni costo. Fui molto colpita dall’insegnamento del corso, specialmente dall’idea che “la pace comincia con me, un’idea che mi provocò seriamente. Fu l’inizio di una grande trasformazione: cambiai il mio modo di valutare la realtà e iniziai a promuovere una coesistenza pacifica nella mia zona. Ero abituata a disprezzare le altre comunità, ma ora ho un atteggiamento nuovo. Interagisco liberamente con loro, mi sento libera di partecipare alle loro celebrazioni e feste. Diventai una costruttrice di pace nella mia comunità, promuovendo l’interazione e condividendo le mie risorse con gli altri. Attraverso il mio ruolo di catechista, guidai le piccole comunità cristiane e le incoraggiai a promuovere la pace a livello personale e di relazioni. Le comunità cristiane furono recettive e mi ascoltarono: la pace era ciò che più desideravano. A loro volta, le piccole comunità cristiane cominciarono anche iniziative per sensibilizzare altri circa il bisogno di cambiare atteggiamenti, percezioni e pratiche culturali che fomentano il conflitto e la violenza. L’uso della Bibbia fu una delle risorse chiave per le nostre comunità. La mia parrocchia ha invitato ed ospitato gente di altri gruppi etnici per promuovere la conoscenza reciproca, l’ascolto e la collaborazione, contribuendo alla mutua accettazione e dialogo. Gruppi di donne cattoliche intraprendono assieme attività economiche come la fabbricazione di cesti e adornamenti di perline per avere fonti alternative di guadagno. Spesso si scambiano visite e condividono idee ed esperienze. Anche questo costruisce la pace.” 

Immersi nella storia: una storia che non si presenta mai come l’ideale che vorremmo che fosse, secondo la nostra idea di ciò che è giusto, il nostro bisogno di avere ragione, l’essere dalla parte che merita il bene. È invece una storia che richiede un cambiamento radicale, una conversione, cioè la capacità di cambiare i nostri atteggiamenti, lasciar perdere i vecchi schemi di come ci relazioniamo con gli altri, non fosse altro perché siamo stufi di continuare in un vicolo cieco e di pagarne il prezzo. Ciò che ci blocca in questa trasformazione è la stessa immagine di Dio che abbiamo. Chi non vorrebbe essere bravo, senza colpa, sempre nel giusto e vedere così realizzate le proprie aspirazioni di vita più profonde? E invece il volto di Dio che ci è rivelato da Gesù nel suo battesimo è quello di un Dio che si fa solidale con noi nel luogo stesso del nostro peccato. Il Signore ci incontra proprio dove non vorremmo essere, facendo causa comune con noi, rivelandoci che Dio ci vuole bene così come siamo: da questo incontro nasce un mondo nuovo. Si apre un’occasione di trasformazione non solo a livello personale, ma anche sociale che richiede un profondo cambiamento di mentalità e di strutture sociali.  

Questo è l’obiettivo del ministero sociale: una risposta ispirata dalla fede in Gesù a situazioni, bisogni e problemi sociali. Si pratica con l’accompagnamento di persone, comunità e istituzioni usando gli strumenti delle scienze sociali e della tradizione di fede. Ciò richiede anche una preparazione sistematica che integri competenze in tre aspetti essenziali: servizio, spiritualità e organizzazione. Non ci si improvvisa agenti di trasformazione sociale, ma lo si diventa attraverso un percorso di crescita e formazione, come da vent’anni stiamo cercando di fare a Nairobi.

fratel Alberto Parise 


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