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Ottobre 2013 - L'altro è il mio nome

Mt 4,12-17

“L’altro e’ il mio nome” (Mt 4,12-17) 

“Anche quando la vita sembra una lotta contro i mulini a vento,

eroe è colui che non si arrende,

che ogni volta si rimette in piedi e prosegue il suo viaggio,

incurante degli ostacoli, incurante della sconfitta.

Invincibili sono tutti coloro che hanno ereditato l'ostinazione di Donchisciotte.

Invincibili sono, per esempio, i migranti,

uomini e donne che attraversano il mondo a piedi

per raggiungerci e non si fanno fermare da nessun campo di prigionia,

da nessuna espulsione, da nessuna legge, da nessun annegamento,

perché li muove la disperazione e vanno a piedi”.

(Erri De Luca)

Quando accompagnavo i giovani del GIM (Giovani Impegno Missionario) di Padova, ricordo che queste parole di Erri De Luca mi avevano marcato molto, e dicevo a me stesso: anche noi missionari dobbiamo avere la stessa ostinazione dei migranti, che nasce dalla disperazione e dall’andare “a piedi”. Allora mi sembravano parole “poetiche”, oggi sono macigni, parole pesanti e vere, impossibili da schivare.

“Li muove la disperazione”

Vivo a Tumaco, all’estremo sud della costa pacifica colombiana, un municipio che conta 180.000 abitanti circa, di cui 100.000 nel casco urbano. L’ 88% della popolazione e’ afrocolombiano. E’ stata decretata come una delle citta’ piu’ violente del mondo, dovuto alla confluenza in quest’angolo del mondo di molteplici interessi legati al conflitto armato colombiano, al narcotraffico, all’accaparramento delle abbondanti risorse naturali che offre questo territorio.

In Tumaco confluiscono tutti i gruppi armati – guerriglia, paramilitari, nuove strutture emergenti con la participazione di ex combattenti, narcotrafficanti – e confluiscono ovviamente tutti i loro interessi.

Nella nostra parrocchia chiamata “La Resurrezione” tutti questi gruppi armati sono presenti, e si spartiscono il territorio, creando frontiere invisibili che la gente dei quartieri non puo’ oltrepassare. Ogni quartiere diventa un ghetto, da dove e’ difficile uscire senza rischiare l’incolumita’, dove e’ difficile entrare, anche solo per visitare un parente, un ammalato o un amico.

“Eroe e’ colui che non si arrende”, dice Erri. Voglio dare testimonianza di tante persone che nella disperazione continuano ad andare avanti con fede e resistenza. Lo faro’, mese dopo mese, in questo spazio che Nigrizia mi offre.

Qui c’e’ disperazione: in alcuni “gruppi di famiglie”, che sono piccoli gruppi di lettura popolare della Bibbia che cercano di camminare insieme dentro i differenti quartieri, riunendosi una volta alla settimana, spesso sono testimone della fática di vivere, delle lacrime, del dolore contenuto dentro bocche che non possono parlare, non possono gridare la rabbia e l’abbandono che vivono. E comunque, si resiste! La resistenza si fa preghiera semplice, fede, fedelta’ alla vita di tutti i giorni con i suoi gesti essenziali, casalinghi, si fa canto, danza, Vita.

“Vanno a piedi”

Dentro questa realta’ difficile da vivere e capire siamo una comunita’: viviamo in 5 comboniani, 4 padri e un fratello, divisi in due casette, che chiamiamo le due “ali” della comunita’, una casa in un quartiere in mano alla guerriglia (FARC-EP), e l’altra in un quartiere in mano ai paramilitari (RASTROJOS). Questa duplice presenza ci permette di stare in equilibrio sul filo del conflitto armato, di attraversare le frontiere invisibili per proporre spazi comunitari dove respirare e vivere il vangelo di Gesu’. Viviamo in affitto, ci muoviamo a piedi, viviamo la vita che fan tutti, cucinando, lavando, facendo la spesa, ascoltando e vivendo tutto quello che succede nel quartiere. Questo stile di presenza lo riteniamo fondamentale per poter essere fedeli alla vita della gente alla quale apparteniamo, fedeli alla nostra vocazione religiosa. Non e’ una scelta di “inserzione radicale”, non e’ una scelta “eroica”: semplicemente cerchiamo di vivere la vita normale che tutti attorno a noi vivono, e dentro la realta’ cerchiamo di scovare il Regno di Dio. Siamo felici di vivere cosi’.

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Questi due aspetti credo mossero la vita di Gesu’: la disperazione del suo popolo, che lui condivideva e viveva sulla sua pelle, e l’andare a piedi, in fila con gli altri, al fiume Giordano, o nella sua itineranza, da Nazareth,  a Cafarnao, dalla Gallea a Gerusalemme.

Quel giorno, al fiume Giordano (Mt 3,13-17), Gesu’ fu ad ascoltare Giovanni il Battista, un uomo che leggeva con occhi sinceri la situazione disperata che viveva il popolo di Gesu’, oppresso e umiliato dal potere romano e sacerdotale. Quel giorno la disperazione di Gesu’ si trasformo’ in speranza. Furono le parole del Padre a compiere il miracolo: “tu sei mio Figlio, io ti amo, e mi fido di te”. La speranza ha la stessa forza della disperazione, anche lei nasce dalle viscere del nostro naturale attaccamento alla vita, ma veicola un Progetto, una scelta, parte dalla Fiducia ed ha come motore l'amore. È “lucidità critica” e sceglie la nonviolenza. Fu la chiamata, la vocazione di Gesu’.

Da li’, comincia la sua itineranza (Mt 4,12-17):

“Avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato”; Gesù sceglie di uscire allo scoperto dopo l'arresto di Giovanni Battista. Non è casuale: l'itineranza di Gesù per tutta la sua terra e l'annuncio della Buona Notizia del Regno parte da questo evento propulsore.

“Gesù si ritirò nella Galilea”: da questa zona, la Galilea, Gesù vede il miglior punto di partenza per iniziare il rinnovamento di tutto il popolo. Il Regno di Dio può essere annunciato soltanto partendo dal contatto stretto e diretto con le persone più bisognose di sollievo e di liberazione. La buona notizia di Dio non può provenire dallo splendido palazzo di Antipa a Tiberiade, e neppure dalle sontuose ville di Sefforis né dal lussuoso quartiere residenziale delle élite sacerdotali di Gerusalemme; il seme del Regno può trovare terra buona solo fra i poveri della Galilea.

“e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali”: non va nel DESERTO, come Giovanni Battista, ma si immerge DENTRO la storia del suo popolo.

La vocazione di Gesu’, come la nostra, si basa su alcuni pilastri fondamentali:

- saper ascoltare il grido di disperazione dell’umanita’, e partecipare direttamente nella vita disperata della gente, senza fughe ne’ distanze; (VEDERE)

- accogliere le parole semplici del Padre: “tu sei mio Figlio, io ti amo, mi fido di te” come motore dell’azione, come principio-Speranza; (GIUDICARE)

- muoversi a piedi, al passo della gente, in continua relazione. (AGIRE)

Manca una cosa: la COMUNITA’… ma continueremo a leggere il vangelo di Matteo, e vedremo che sara’ esattamente il prossimo passo di Gesu’. Arrivederci al prossimo mese.

Un abbraccio,

p. Daniele Zarantonello

 

 

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