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APRILE 2013

Restiamo umani - Fiducia di Gesù nel Padre e nei fratelli: Passione, Morte e Resurrezione (Lc 23,44-49)

Restiamo umani!

Fiducia di Gesù nel Padre e nei fratelli: Passione, Morte e Resurrezione

Lc 23,44-49


44 Ed era già circa l’ora sesta e la tenebra fu sull’intera terra fino all’ora nona,

45 essendo mancato il sole. Ora si squarciò il velo del tempio nel mezzo.

46 E, esclamando a gran voce,Gesù disse:

Padre, nelle tue mani affido il mio spirito. Ora, detto questo, spirò.

47 Ora, visto l’avvenimento, il centurione glorificò Dio, dicendo: Davvero quest’uomo era giusto.

48 E tutte le folle presenti insieme a questa visione, contemplati gli avvenimenti,
colpendosi il petto ritornavano.

49 Ora da lontano stavano tutti i suoi conoscenti, e le donne che insieme lo seguivano dalla Galilea a contemplare queste cose.


E’ il momento cruciale della storia dell’umanità. Crocifissori che ancora inchiodano vite e speranze dell’Africa e del mondo. Ingiustizia e male che, ieri come oggi, sembrano trionfare. Ripetuti attentati di Boko Haram in Nigeria, povertà e fame dilaganti, la carestia nel Sahel, lo sterminio in Siria, il rischio di conflitti nucleari (Israele e Iran), il creato allo sbando, le terre e i minerali rubati dalla neocolonizzazione, l’esplodere della mentalità economica neoliberista della “società liquida”, come la definisce Zygmund Bauman.

Dopo il processo farsa e il ping pong tra i poteri forti (Lc 23,1-25), Pilato ed Erode, la comunità di Luca ci presenta l’uomo di Nazaret condotto verso la morte. Quella voluta dalle autorità religiose, sacerdoti, scribi e farisei venduti alla convenienza (Gv 11,50), all’interesse di bottega, alla carriera, al dio denaro. Ancora oggi se ne trovano in giro, come diceva Carlo Maria Martini: “Purtroppo ci sono preti che si propongono di  diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero”.


L’unico libero, dentro la vicenda della Passione e dell’odio straripante, è proprio Gesù di Nazaret, capace di un crescendo di amore e umanità. Invita le donne a non piangere (v.28), chiede al Padre di perdonare i carnefici perché non sanno quello che fanno (v.34), accoglie oggi, e non domani, il malfattore nel Regno (v.43). “Restiamo umani!” gridava Vittorio Arrigoni in Palestina nei territori occupati prima di essere rapito e ucciso da due musulmani della corrente jihadista-salafita.


E’ l’ora della macellazione degli agnelli per la Pasqua, la sesta. Gli ebrei erano soliti squarciare gli animali la vigilia della festa nell’ora più calda del giorno. Quando il sole a picco batte dritto sull’arida terra di Palestina. Ma stavolta non sono animali, Gesù stesso è la vera vittima, l’agnello condotto al macello (Is 53,7), la carne viva di ogni derelitto dell’Africa e della storia. Oggi più che mai dei profughi eritrei che muoiono attraversando il deserto, del popolo Sarhawi privato della terra, dei 18.845 fratelli e sorelle annegati nel Mediterraneo dal 1988 al 6 settembre 2012, delle giovani ragazze congolesi stuprate come bollettino di guerra dal Movimento ribelle M23 sostenuto dal Ruanda, degli abitanti del Delta del Niger che soffrono l’atroce inquinamento ambientale della Shell e delle altre compagnie petrolifere, dei contadini a sud del Ciad invasi nei campi dai buoi degli allevatori del Nord.


La luce del mondo (Gv 8,12) è inchiodata alla croce. Solo oscurità attorno e regressione al caos delle origini (Gn 1), dove l’uomo prova ad essere padrone del mondo (Gn 3). E’ l’eclissi cosmica e dell’umanità! (Lc 22,53).  Anche la creazione soffre con il Creatore e sciopera. Resta soltanto la fame e sete di tornare a vedere oltre l’orizzonte. Come Mwalimu, Julius Nyyere, padre della Tanzania e dell’Africa libera: "Vorrei accendere una candela e metterla in cima al monte Kilimanjaro affinché illumini al di là delle nostre frontiere, dando speranza a quanti sono disperati, portando amore dove c’è odio e dignità dove prima c’era solo umiliazione”.


Il velo del tempio, che divideva il Santo dei santi dal resto, i puri dagli impuri, è spezzato. Il vero tempio è soltanto l’uomo di Nazaret (Gv 2,21), che riconcilia a sé l’umanità ferita, chiamata ad adorare il Padre in spirito e verità (Gv 4,23) nelle vittime del sistema (Mt 25,31-46). Basta divisioni e distinzioni di pelle, religioni, sessi, etnie! Basta apartheid razziali, economici e sociali! Gridava Martin Luther King, pastore battista e difensore della causa dei neri in Nord America:
Sogno che gli uomini, un giorno, si alzeranno e comprenderanno finalmente che sono fatti per vivere insieme come fratelli. Sogno ancora che, un giorno, ogni nero di questo paese,ogni uomo di colore nel mondo intero, sarà giudicato sul suo valore personale piuttosto che sul colore della pelle. Sogno ancora che la fraternità sarà un giorno un po’ più di qualche parola alla fine di una preghiera, ma che sarà, al contrario, il primo soggetto a dibattere nell’ordine del giorno legislativo”.


Tempo di morte e di passaggio dalla schiavitù alle mani tenere del Padre. Fiducia incontenibile che la vita non può finire perché consumata per il Regno. L’ultima azione del crocifisso è allora un gesto carico di resurrezione, l’alito di vita, il soffio dello Spirito che crea l’uomo (Gn 2,7). Dentro la morte esplode la vita! Le sorelle, morte (così cara a Francesco!) e Resurrezione, si prendono per mano. Non c’è vita senza pasqua, senza passaggio al vaglio di dolore, disperazione e rinascita. “Siamo nati per nascere” diceva Pascal. Serve solo il coraggio della fiducia radicale, senza sicurezze, calcoli e appoggi, quella dei martiri africani e di tutti i tempi, dell’Esodo dal mondo vecchio e conosciuto ai cieli e terre nuove (Ap 21,1). Serve la follia di crederci e di osare l’amore fino in fondo. Così Charles Lwanga, martire di Uganda sul punto di morte il 3 giugno 1886: “Amici io resto qui. Tra qualche istante ci ritroveremo in Paradiso. Ad-Dio”.


 Un soldato romano, considerato un “lontano” dagli ebrei, partecipe dei maltrattamenti a Gesù (Lc 22,63), è toccato nel vivo da quella sofferenza. Si rivolge a Dio cogliendo in quella morte un segnale forte di vita. Uno spiraglio di luce, quella di un uomo giusto, che ha attraversato la storia ribaltandone la direzione. Per riportarla al Padre. Passione e amore che liberano i cuori assonnati dai soldi, potere, comfort, pubblicità e sguardi concentrati sui propri ombelichi. “Se la sofferenza dei fratelli non ci tocca dentro, non siamo neanche più umani” ci ricordava a Lima anni fa Gustavo Gutierrez, padre della Teologia della Liberazione.


 Il resto è cronaca di spettacolo e intrattenimento che rincoglioniscono l’Homo coca-colens. Davanti all’Uomo autentico che muore in croce. Chi versa lacrime di coccodrillo, chi si batte il petto inutilmente per aver taciuto, complice con il potere, chi ritorna dopo aver abbandonato nel momento del bisogno. Contemplano un morto dopo non essere stati capaci di seguirlo da vivo! Ecco le nostre fughe e paure endemiche, l’incapacità dell’indignazione etica e di schiodare i crocifissi dalle croci! Ecco l’impotenza della Comunità Internazionale e l’ipocrisia delle Nazioni Unite  di fronte alle stigmate del mondo, bloccate da interessi più grandi di loro. Quelli delle grandi corporation multinazionali che dominano la finanza e quel che resta dell’economia. Intervengono se ci sono petrolio e minerali (Irak, Libia, Congo RD), lasciano fare se c’è “solo” gente (Darfur, Siria, Mali, Centrafrica, Somalia).


 Non così Steve Biko, che nel Sudafrica della segregazione razziale, dedica tutta la vita, sogni e lotte per il riscatto e la libertà dei neri e del suo popolo. Giovane dal sogno alto e dal coraggio da vendere, fonda alla fine degli anni ’60 la “Black Consciousness”, il movimento della lotta antiapartheid, espressione di una generazione di giovani neri capaci di lottare per alti ideali di uguaglianza e di giustizia contro ogni sopruso.


Tuona ancora oggi in fondo al Sudafrica, in tutti i sottofondi delle miniere di oro, diamanti e platino in rivolta, l’eco della sua voce disarmante: “E’ meglio morire per un idea che vivrà, piuttosto che vivere per un idea che morirà”.

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