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Febbraio 2013

Cosa posso farci io? Ap 3,14-22;15,2-4

 

3,14 All’angelo della Chiesa che è a Laodicèa scrivi: “Così parla l’Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio. 15 Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16 Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. 17 Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. 18 Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. 19 Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. 20 Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 21 Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono. 22 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”».

15,2 Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco e coloro che avevano vinto la bestia e la sua immagine e il numero del suo nome, stavano ritti sul mare di cristallo. Accompagnando il canto con le arpe divine, 3 cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell'Agnello: "Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti! 4 Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno davanti a te, perché i tuoi giusti giudizi si sono manifestati".

Tuffarsi nel libro dell’Apocalisse (ri-velazione, togliere cioè il velo) è immergersi dentro il fine della storia, non certo la fine. Ventata di ossigeno che straripa dentro la sofferenza e la persecuzione delle piccole comunità cristiane travolte dell’impero romano. Per stare in piedi, ostinatamente nonviolenti, di fronte al sistema che affama e uccide (Ap 15,2). Perché la vita vince! (Ap 3,21; Gv 16,33)

Lo Spirito, che dà energia e passione al mondo prende la Parola (Ap 3,22). Incoraggia le comunità nel duro cammino della liberazione e dell’ amorizzazione del mondo, come direbbe Pierre Theillard de Chardin . Ne va della felicità del Regno, il sogno e progetto di Dio (Ap 1,3). Ne va della vita delle piccole comunità cristiane e dell’umanità. Ne và del futuro del Sudafrica, in piedi a resistere contro l’apartheid economico e finanziario delle multinazionali, dopo aver sofferto per tre lunghi secoli quello razziale. Nella Miniera di Marikana il 16 agosto 2012 la polizia ha ucciso 34 persone che manifestavano pacificamente per l’aumento dei salari da fame. E ora i minatori invadono le strade per protestare e tenere alta la dignità. Ne và del futuro della Repubblica Democratica del Congo dove un milione di congolesi ha firmato nel settembre 2012 una petizione all’Onu per dire “no” alla guerra nel Kivu e alla balcanizzazione del paese.

Di fronte alla persecuzione e al dilagare dell’ingiustizia strutturale nasce la domanda: c'è futuro per le comunità?

Certo! Ma serve mettere nero su bianco la speranza. Per farne memoria che circola e che contagia la resistenza. Come la durissima lettera alla comunità di Laodicea, l’ultima delle sette Chiese, un importante centro manifatturiero, medico, oftalmologo (dove si produceva una pomata per gli occhi chiamata Kolirion) e bancario. Dove la ricchezza dà alla testa e mette la miccia all’orgoglio.

La comunità cristiana non è esente dall’orizzonte culturale che respira. Si considera superiore agli altri e non ha bisogno di nessuno. Autosufficienza antievangelica oggi molto presente in tante comunità del mondo obeso che ormai hanno ben poco di cristiano. Invece qui in Africa, non si esiste senza l’altro. Almeno così era nella sana tradizione. Anche se, purtroppo oggi, le eccezioni sono sempre più numerose in quell’ Africa necrofila, come l’hanno definita certi vescovi, che mette in primo piano la gelosia e l’invidia degli uni verso gli altri. I musulmani del Ciad invece sono imbattibili quanto a solidarietà interna: se un membro della comunità cade in difficoltà a causa del commercio, della salute o della famiglia tutti gli altri componenti del suo gruppo intervengono per rimetterlo in piedi!

Lo Spirito tuona duro e vomita addirittura sulla freddezza e distanza della comunità dalle questioni vitali dell’umanità ferita di oggi: la fame e i prezzi alle stelle delle materie prime, l’acqua che scarseggia, lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo da parte delle multinazionali, il fenomeno del land grabbing (l’accaparramento illecito delle terre), la difesa del creato, i conflitti armati, le armi che si moltiplicano, i rifugiati.

Il ricco che si considera a posto, che si tratti di singolo o comunità, con polizza assicurata su presente e futuro, é invece un infelice perché è concentrato su di sé, il davvero miserabile perché non si sente parte della famiglia umana, cieco perché non vede la sofferenza dei fratelli e sorelle attorno e nudo perché spogliato della fame e sete di giustizia e del gusto di spendersi per un avvenire migliore. “Ahimé per voi ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Ahimé a voi che ora siete sazi, perché avrete fame” (Lc 6,24-25).

La denuncia è schietta e bruciante. Ma porta in grembo la possibilità di una via d’uscita e di una proposta per rimettersi in carreggiata attraverso alcuni passi:

  1. comprare da lui, non da altri, oro purificato dal fuoco, simbolo non dei privilegi e degli inchini ma della regalità di Gesù di Nazaret inchiodato alla croce che spende la vita per l’umanità. Un oro che deve passare al vaglio del fuoco, quella passione irresistibile per l’Uomo che accompagna tutto l’itinerario del Galileo sulla terra (Lc 12,49).

  2. Mettersi abiti bianchi, quelli della resurrezione, dello stare in piedi. Segno emblematico della dignità umana che non si lascia calpestare. Con lo spirito dell’Ubuntu africano, l’arte dello stare tutti insieme in piedi. La forza umile e naturale che ci porta sulle spalle per farci superare le nostre paure affinché la nostra presenza liberi automaticamente gli altri. Parola di Nelson Mandela.

  3. Mettersi collirio negli occhi per vedere e leggere la realtà, toccarla con mano, informarsi a fondo, cercare la verità e le cause strutturali dell’impoverimento dei popoli allo stremo.

Il Padre ama alla follia l’uomo al punto da volerlo sempre più simile a lui. Per questo ci provoca, ci propone di cambiare rotta passando per la porta stretta (Mt 7,13). Ha fatto così con il suo popolo, come un padre con il figlio (Dt 8,5), perché non dovrebbe svegliarci fuori oggi?

Lui è il Dio che bussa. A noi di ascoltare la voce (lo Shemà Israel di Dt 6,4) e di aprire la porta. Ci invita a sederci per spezzare e condividere il pane dell’Eucarestia. Per farci alimento dell’umanità.

Di cosa avere paura? Perché noi come Chiesa cattolica siamo tanto stanchi, troppo ricchi di noi stessi (ma anche di soldi!) e tiepidi da non tenere il passo coi tempi?

Se lo chiede Carlo Maria Martini nella sua ultima intervista prima di morire: “«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall'aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l'amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l'amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

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